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La postilla (finita nella spazzatura) che avrebbe fatto una farsa della legge sull'equo compenso

Creato il 30 gennaio 2014 da Mariellacaruso
La postilla (finita nella spazzatura) che avrebbe fatto una farsa della legge sull'equo compenso

Eccoci qui a fare i conti con la "farsa" dell'equo compenso

In attesa di scoprire se mai un giorno la legge sull'equo compenso diventerà realtà. E soprattutto a chi, scremando scremando, sarà applicata, ecco scoprire che già una "postilla" ad arte stava per neutralizzarla prima che emettesse il primo vagito. 


Diciamo che, prima di scoprire grazie al collega Giuseppe Vespo (che sta cercando con altri di organizzare un movimento sindacale lontano dalle sigle e dalle solite facce) il cestinamento della postilla in questione ero piuttosto indignata perché l'equo compenso sarebbe stato uno strumento efficace soltanto per pochi intimi. Ovvero quei collaboratori "sfruttati" a un paio di euro a pezzo e ricattati dagli editori. Quelli che, se ci fosse un Ordine professionale o un Sindacato (del quale, comunque, faccio parte anch'io perché è "unitario", dicono) all'altezza dei propri ruoli, sarebbero stati comunque già tutelati dall'art. 2 o dall'art. 12 del CNLG in vigore. Senza bisogno di andare a fare battaglie contro i mulini a vento. Anzi forse nemmeno per i suddetti visto che la postilla recitava a patto che, «il prestatore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente», un'esclusione di fatto di tutti i collaboratori "coordinati e continuativi" (per chi non lo sapesse, i giornalisti sono l'unica categoria ancora autorizzata a questo tipo di contratti) che lavorano da esterni. Del resto le notizie non si fabbricano in redazione, come si tende a pensare. I fatti, infatti, vanno raccontati consumando i tacchi e non soltanto la tastiera del computer o lo schermo del tablet. Ma questo è un altro discorso.

Le considerazioni sull'equo compenso e sulle categorie di applicazione, però, rimangono le stesse visto che nella stragrande maggioranza i cosiddettigiornalisti freelance sono quelli che si barcamenano tra:

- editori che commissionano e non pagano creando service che poi scompaiono per aprirne altri;

- proposte opportunamente elaborate per questo o quell'altro tipo di media, che i "colleghi" comodamente seduti in redazione, spesso e volentieri, neppure leggono, figuriamoci poi dare una risposta anche del tipo: "No, grazie";

- un mercato talmente depresso, per la presenza di migliaia di aspiranti giornalisti che scrivono gratis o per qualche centesimo di euro (c'è chi paga 0,08 millesimi a parola);

- editori, ma anche direttori e capi redattori che poi avallano le scelte dei primi adeguandosi, ai quali la qualità non interessa alcunché. Quindi, fregandosene in primis, dei loro clienti: i lettori. Chi tornerebbe a mangiare in un ristorante che ha servito cibo avariato? 


E non ci si venga a dire che esiste la contrattazione privata tra giornalista ed editore, perché in ambito giornalistico è morta e sepolta da molto tempo. Fatto salvo, naturalmente, per pochi eletti e amici dei pochi eletti.

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