La presentazione di Orfani, la serie a colori di Sergio Bonelli Editore, a Lucca Comics & Games 2013

Creato il 11 dicembre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Il 2 novembre al Lucca Comics & Games 2013 si è svolta nella Sala Incontri di Palazzo Ducale la presentazione ufficiale di Orfani a cui hanno preso parte i due co-creatori della serie Emiliano Mammucari e Roberto Recchioni, il curatore Franco Busatta, i disegnatori Alessandro Bignamini e Gigi Cavenago e il colorista Lorenzo De Felici.

In occasione dell’evento è stato proposto in anteprima l’Official Action Trailer di Orfani, realizzato da Giovanni Bufalini e dalla Scuola Romana di Fotografia e Cinema con l’ausilio di Lorenzo Ceccotti (LRNZ) per ciò che riguarda effetti speciali e la post-produzione.
Il trailer, che raccoglie numerosi applausi, è un chiaro omaggio agli anni 80: in primis per l’evidente e voluto rimando al telefilm Capitan Power, poi per la presenza di spot e marchi dell’epoca (la pubblicità dei Pennelli Cinghiale e l’icona Odeon TV fissa in schermo) e dulcis in fundo per il tipico effetto tremolante della VHS rovinata.

Segue la visione un breve intervento di Luca Valtorta, direttore di XL, che definisce il progetto un’iniziativa interessante e innovativa e che proprio per questo ha dedicato alla nuova serie Bonelli la copertina di ottobre, illustrata da Massimo Carnevale. Viene quindi raccontato il primo dei divertenti aneddoti che coloreranno l’incontro: i due creatori della serie si sarebbero infatti pentiti di non aver usato l’illustrazione ceduta alla rivista come copertina dell’albo numero uno. Prende poi parola Recchioni, descrivendo in breve il fumetto:

 Orfani è una miniserie a stagioni, di cui le prime due stagioni sono già state messe in lavorazione: la prima è ormai una storia completa, la seconda allo stadio avanzato. Queste stagioni sono composte da 12 albi e raccontano una storia di fantascienza. Al momento è uscito solo il numero uno e la serie ha ancora quasi tutte le carte nascoste. Infatti, per rispondere ai lettori che all’uscita del primo numero sono rimasti perplessi, affermando: “Qui qualcosa non torna!”, tutte le cose che non quadrano verranno spiegate più avanti poiché io stesso mi sono domandato certe cose, come ad esempio “gli alieni non avevano una contraerea per rispondere all’invasione terrestre?” durante la fase di scrittura. La struttura della serie è fatta su due binari narrativi e ciò significa che ogni albo, come il primo, proporrà una parte di racconto dedicata ai bambini, che inizieremo a conoscere mese dopo mese, e una parte dedicata al futuro, dove vedremo come la loro educazione tecnica li abbia trasformati e come questa trasformazione avrà poi una ricaduta sulle azioni che avranno luogo nel presente. Orfani è un progetto lungo, è un progetto che con Mauro Marcheselli e Sergio Bonelli abbiamo fatto nascere quasi quattro anni fa.

 Mammucari precisa.

Più di quattro anni fa. Era il settembre 2009.

Recchioni continua, raccontando (a proposito di aneddoti) le prime fasi di lavorazione ed elenca gli abbozzi delle prime storie concepite, che verranno poi soppiantate dal fumetto di fantascienza, che abbiamo avuto modo di conoscere con largo anticipo grazie alla convulsa campagna pubblicitaria e comunicativa messa in piedi attorno al prodotto.

La storia nasce dall’idea mia e di Emiliano di presentare qualcosa alla Sergio Bonelli. Sergio e Mauro hanno acconsentito a leggere un nostro progetto e noi abbiamo scritto una “splendida storia” su un veterinario che curava animali mitologici, curava gli unicorni, curava Godzilla. A questa abbiamo lavorato per quasi sei mesi e poi ci siamo detti: “Mmmmmh…Forse non va bene!”. Quindi la seconda storia che abbiamo preparato è stata su un gruppo di supereroi in un ospizio; a questa ci abbiamo lavorato solo tre mesi. Poi siamo arrivati a Orfani. Lo abbiamo presentato a Sergio, è stato dato l’ok e ci è stata data l’occasione di farlo tutto a colori su loro proposta, poiché all’inizio la serie doveva essere in bianco e nero. Infatti io volevo fare solo il primo numero a colori, invece Mauro mi disse: “No! No! Facciamola tutta a colori” e noi abbiamo detto: “Ok, va bene. Da qui ad un anno usciamo”. Quattro anni dopo siamo finalmente in edicola!

Prende parola Emiliano Mammucari che immediatamente spiega il difficile approccio con il colore e le difficoltà generate dal bisogno di trovare una nuova via innovativa e tutta italiana  per risolvere le problematiche riscontrate.

 La cosa che abbiamo fatto quando ci è stato proposto di farla tutta a colori è stato dire: “Ok, bello! Però il colore lo vorremmo fare noi” perché in primis io e Roberto siamo due accentratori e quindi soltanto l’idea di far colorare la nostra serie a qualcun altro per noi era la morte. Però è stata la morte anche inventarci il colore per la serie. Anche perché se devi fare un fumetto americano, tu sai alla perfezione come deve essere colorato; se devi fare un albo francese, tu sai perfettamente come deve essere colorato; con un albo Bonelli no. È da poco che si è affacciata al colore e quindi abbiamo dovuto studiare una maniera che non fosse copiare un’altra scuola, ma che valorizzasse il nostro modo di raccontare, anche perché non avevamo la minima intenzione di abbandonare l’oggetto Bonelli.

E sul desiderio di non abbandonare il tradizionale formato bonelliano Recchioni ribadisce:

 Poi il formato Bonelli è il formato proprio del fumetto italiano: infatti devo dire che, al di là del fatto che vengano prodotte edizioni economiche per cui un fumetto in formato Bonelli vende dieci-venti volte di più di un qualsiasi altro formato, io non ho mai capito perché a noi autori italiani viene chiesto di cambiare questo formato che è proprio della nostra tradizione e non viene chiesta la stessa cosa agli americani. Ogni scuola di ogni nazione ha un proprio linguaggio che nasce da motivi commerciali, motivi produttivi e motivi artistici. Abbiamo il formato Bonelli? Piace? E allora perché non usarlo? […] La nostra idea di colore era quella di trasformarlo in un elemento narrativo: quindi il colore deve essere uno strumento del messaggio, del linguaggio stesso del fumetto. Le informazioni che noi versiamo con i disegni e con le parole devono essere in accordo nella stessa maniera coi colori.

Viene coinvolto Franco Busatta che narra come sia venuto a conoscenza del progetto ancora in fase di realizzazione e si sia interessato da subito a seguirlo.

 Ho richiesto io di collaborarvi. Sono entrato in Orfani che era in corsa, nel senso che il progetto era già partito, c’erano già alcune tavole disegnate e persino qualcuna colorata e vedendo questa cosa bellissima girare per i corridoi ho chiesto a Michele Masiero di poterci lavorare. Gli dissi:”Mi piacerebbe tanto seguirla io” e lui mi disse: “Prendilo!” perché ovviamente sapeva che era una rogna pazzesca…In realtà sono molto contento di lavorarci perché mi sembra un progetto bellissimo e ho molta stima di tutti gli autori coinvolti.

Viene poi introdotto Andrea Bignamini, disegnatore del numero due, che spiega alla platea il suo metodo di lavoro e come è stato passare da Greystorm, di ambientazione ottocentesca e tendenzialmente steampunk, alla fantascienza bellica di Orfani.

È stata una sfida perché arrivavo da tutt’altro. Chi conosce il mio modo di lavorare, sa che io lavoro mediante il tratteggio per tentare di dipingere alcune situazioni e alcune atmosfere. Il tratteggio è una tecnica che mi piace e spesso mi viene in soccorso per risolvere delle cose che altrimenti con dei neri pieni non riuscirei a rendere. Ho dovuto ridimensionare, se non azzerare, questo mio modo di lavorare dal momento in cui ho accettato di disegnare Orfani.
Orfani è un progetto che mi ha convinto sin da subito, poiché vedere una squadra di personaggi e sapere che poi li avrei dovuti muovere in un certo modo mi è sembrata un cosa stimolantissima e quindi ho accettato da subito. Di conseguenza mi è venuto abbastanza naturale cercare la sintesi, perché quando si sono iniziate a vedere un po’ di tavole colorate mi sono reso conto che il colore sarebbe stato il colore che generalmente mi aspetto da un fumetto dove c’è molta azione, dove girando pagina ci sono cose che ti devono colpire. Allora ho iniziato a tranquillizzarmi perché mi son detto che il lavoro che non facevo io lo avrebbero fatto i coloristi. Ciò mi ha messo in uno stato d’animo che mi ha portato a fare il lavoro in maniera serena proprio perché sapevo che chi si occupava della colorazione lo faceva con un gusto e con delle capacità che avrebbero portato il mio lavoro ad essere spettacolare, anche se, una volta finita la tavola, io la vedevo spettacolare fino ad un certo punto.
Quindi, il ruolo del colore è talmente forte e protagonista che ad un certo punto io mi sono abbandonato e ho deciso che alcune cose avrei cercato di viverle con equilibrio, anche se guardando le tavole colorate per la prima volta la mia reazione è stata di stupore e spiazzamento. Quando ho capito che il lavoro finito avrebbe dato quel tipo di risultato, sarò troppo coinvolto per dirlo, però l’ho trovato davvero bello! Questo fumetto è una figata!

 E poi il turno di Gigi Cavenago, disegnatore del numero tre ed uno dei primi entrati a fare parte dell’equipe, che parla della sua esperienza in questa prima fase per poi ricordare, tra sorrisi e sfottò, gli innumerevoli prototipi delle tute dei cinque guerrieri.

Sostanzialmente il primo lavoro che ho fatto in Bonelli è stato su Cassady che, se devo cercare un corrispettivo non fumettistico, somigliava un po’ ad un telefilm degli anni ‘70-‘80 ambientato in Arizona; si tentava in senso buono di fare televisione. Quando sono passato al progetto e ho visto le tavole di Emiliano, ho visto che lì c’era cinema sostanzialmente e che era fantascienza spettacolare.
Sono stato il primo disegnatore a liberarsi, anche se il mio volume è il terzo, e sono entrato nel progetto che c’erano una quarantina di tavole fatte del numero uno e ancora alcune cose da pensare e da creare poiché non si era ancora definito tutto. Ho avuto modo di sviluppare in via definitiva il character degli alieni partiti da Werther Dell’Edera e di studiare la colorazione delle tute dei protagonisti. Quindi ho avuto questo privilegio di fare e di veder ancora sul nascere la serie poiché ho iniziato a disegnare i protagonisti da ragazzini quando gli studi non erano ancora finiti. Solo in seguito è arrivato il compendio, la bibbia, cioè quella massa di studi materiali su ambienti e personaggi e da lì, di punto in bianco, gli Orfani sono diventati quelli che avete avuto modo di vedere.

E sulle varie tipologie di armature dei comprimari ne hanno molte da raccontare: dalla “fase power rangers” (in cui tutti avevano la stessa armatura, ma ognuna di un colore diverso), alla “fase nazista” (con spolverino in pelle tipo agenti speciali tedeschi), alla “fase tuta mimetica” (non funzionale sulle piccole dimensioni), alla “fase portiere di hockey” (momento davvero basso!), alla “fase armature dorate”, alla “fase parti solide in cristallo” (per il terrore dei coloristi), le divise dei cinque combattenti hanno subìto infatti numerosissimi restyling e ripensamenti. Mammucari conclude il “light moment” rammentando il periodo in cui per una quindicina di giorni erano state reinventate le varie versioni delle mute di Orfani a seconda dell’ambiente, ideandone una per il deserto color cachi, la versione urban per la città, la versione giungla, la versione spazio e così via e desistendo una volta compresa la difficoltà e la non funzionalità della realizzazione.

Si cita a questo punto: l’importanza di internet e della possibilità di sfruttare server cloud, strumenti fondamentali per permettere a tutti gli interessati di osservare i disegni gli uni degli altri subito dopo la realizzazione; la difficoltà di rendere la tridimensionalità delle navi spaziali con il colore e la difficoltà di scrittura, determinata dall’esistenza dei due flussi temporali (e di schemi folli che vengono persi chissà dove).

Prende parola per ultimo Lorenzo De Felici, il primo colorista ad essere convocato da Emiliano Mammucari, con cui aveva già collaborato in Caravan, che si sofferma a spiegare il suo rapporto con l’opera e il modo in cui è stato pensato il colore per la serie, tenendo in considerazione le limitazioni esistenti.

Emiliano mi ha presentato questo progetto che da subito dava l’impressione di essere una cosa immensa, molto ambiziosa e anche molto innovativa. Proprio per questo devo dire che ho tentato di tenermi all’oscuro il più possibile dalla storia perché vorrei leggerla senza sapere bene dove va a parare, anche se ovviamente dalle tavole un po’ di spoiler visivi li ho avuti. Sin dall’inizio ho avuto l’impressione che il lavoro fosse veramente grande anche perché c’erano tanti paletti che però, in un certo senso, ci hanno dato l’occasione di aggiungere qualcosa di nuovo proprio perché era tutto molto difficile. Quindi, come diceva prima Emiliano, bisognava trovare un modo di colorare che non ricordasse gli americani o che anche solo accennasse a quel tipo di colorazione e nello stesso tempo tenere conto del macro, della colorazione più dettagliata, della carta, che essendo molto porosa, assorbiva l’intensità del colore e ne abbassava la vivacità. Da queste condizioni io insieme ad Annalisa Leoni e a tutti gli altri abbiamo creato questo nuovo modo di colorare in maniera da superare tutti i problemi e in maniera da arrivare al risultato finale che potete vedere sugli albi.

Mammucari e Recchioni raccontano l’ennesimo aneddoto sul colore, che vede loro come protagonisti: i due creatori della serie hanno di fatto scoperto che la stampa sarebbe avvenuta sui fogli per il bianco e nero solo alle fine di una lunga riunione in cui Masiero aveva taciuto la cosa, riservandosi di passare l’informazione importante nel finale “un po’ come Steve Jobs durante le sue presentazioni”. A proposito Recchioni ribadisce:

E lì qualcosa dentro Emiliano è morto! È stato un problema interessante questo perché ha costretto Emiliano per primo e di conseguenza tutti i coloristi a sviluppare un tipo di colorazione che compensasse quello che fa questo tipo di carta, che è una carta eccezionale per il bianco e nero, ma non pensata per il colore. Era necessario compensare l’effetto che aveva questa carta sui colori e lavorare con colori davvero sballati nelle tavole originali, cercando di proiettare il risultato nel lavoro definitivo. 

Tale inghippo ha convinto Mammucari stesso a recarsi più volte in tipografia per controllare le pagine stampa, ritoccare alcuni toni e alzare l’intensità di alcuni livelli, divenendo a tutti gli effetti il primo disegnatore ad avervi messo piede.

Recchioni incentra poi il discorso sull’ètà media della squadra e sul diverso panorama da cui vengono disegnatori impegnati nel progetto.

Credo che Orfani sia la testata italiana con la media d’età minore con un tetto di 43 anni…E poi abbiamo i due quasi minorenni! (riferendosi a Gigi Cavenago e Annalisa Leoni). È una testata poi composta da molti autori esterni dalla Bonelli. È stato preso Giorgio Santucci che viene dal fumetto indipendente più estremo, è stato preso Massimo Dall’Oglio che viene da un tipo di esperienza totalmente differente, c’è Werther Dell’Edera che ha lavorato per John Doe e per il fumetto americano, poi c’è Davide Gianfelice sempre nel mercato americano, c’è Matteo Cremona con cui ho fatto David Murphy e che ha disegnato la storia di Diego Cajelli Mexican Standoff. Penso che i disegnatori che abbiano fatto più lavori in Bonelli siano Alessandro ed Emiliano.

Precisa infine alcuni concetti relativi al lancio promozionale della testata, ribadendo che esso non è solo un enorme investimento per la Sergio Bonelli Editore, che si è aperta al mondo della comunicazione e della promozione vera e propria con la collaborazione con Multiplayer, ma è anche una sorta di esperimento comunicativo, che ha reso visibile l’interesse della stampa e dei quotidiani nei confronti della casa editrice. E su Massimo Carnevale, copertinista della serie:

Io Massimo lo scordo perché ci collaboro da tanti anni: è stato il copertinista di John Doe, di Detective Dante e di Orfani e, glielo dico sempre, dietro di lui posso affrontare qualsiasi problema. Ti dà un enorme valore aggiunto (conosco tante persone che comprerebbero un fumetto con copertina di Massimo Carnevale solo per la copertina e non per quello che c’è dentro), Massimo è un artista eccezionale, riesce sempre a modulare e a cambiare segno a seconda delle esigenze con grande facilità. Le copertine dell’uno e del due sono quelle in cui ha fatto un po’ più fatica ad entrare per il fatto che i temi della serie sono molto lontani da lui, già con la terza copertina ha fatto davvero un ottimo lavoro.

Infine le domande del pubblico portano Roberto Recchioni a spiegare le sue scelte narrative all’interno della miniserie, dapprima in rapporto ai numerosi riferimenti presenti negli albi, in secondo luogo in rapporto alle scelte inerenti il linguaggio e il tempo di fruizione dei volumetti:

 Non è tanto un discorso di riferimenti a Starship Troopers, alla Guerra Eterna di Haldeman e a Il gioco di Ender, che poi non sono altro che gli archetipi della fantascienza bellica. Non mi interessa discostarmi da essa in parte perché so dove va a parare la serie e quando si differenzierà in seguito, un po’ perché è mio interesse giocare con tutti gli archetipi in maniera da non aver bisogno di dare al lettore tutta una serie di informazioni di base, che invece avrà in automatico riconoscendo i luoghi topici di quel genere e quindi lasciando me in grado di cambiare le carte in tavola numero dopo numero. Inoltre, più ti faccio credere di essere in Fanteria dello Spazio, più quando andrò a cambiare le carte in tavola l’effetto sarà importante.

 E di seguito:

 A me piace avere una narrazione molto rapida e infatti quelle di Orfani sono molto veloci e per renderle molto veloci cerco di trovare il modo più adatto di dare le informazioni nella maniera più naturale possibile. Certo a volte avviene in maniera così naturale che neanche te ne accorgi ed esse passano in un attimo, però di fondo una delle innovazioni di Orfani è proprio questa: l’abbassamento dei tempi di lettura. Io non utilizzo, per esempio, i balloon di pensiero né le didascalie descrittive e ho dato luogo a tante pagine silenziose che sì rallentano la lettura e costringono il lettore a soffermarsi, ma che al contempo cambiano la fruizione dell’albo.
Dimezzare il tempo di lettura è il mio scopo: se il mio lettore mi molla per leggermi in due tempi io ho perso. Così come non si guarda un film con le pause in mezzo, io vorrei che Orfani sia un fumetto che venga letto tutto insieme senza fermarsi mai, al contrario della media delle letture Bonelli che si svolge in due riprese. Vorrei che il lettore incominci a leggere l’albo, che in venti minuti l’abbia finito e che dica “ne voglio ancora!”; spero di esserci riuscito. […]
Mi sono preso tutta una serie di rischi, è una serie che non cala subito tutte la carte: io le risposte le ho ma non ve le posso svelare adesso. Un altro rischio che mi sono preso è questo. Io ho un’idea alta del lettore, credo che il lettore capisca molto meglio di quel che si crede e quindi non credo ci sia la necessità di spiegare delle cose che sono molto semplici e soprattutto io detesto quando il testo spiega quello che il disegno già mostra, quindi se il disegno è lampante per l’azione il testo non serve a ribadire quell’azione.

Mammucari interviene per sottolineare che non è vero che in Orfani non vengano date informazioni (l’apocalisse viene narrata, i ragazzi reduci dal massacro sono stati fatti vedere) e che gli spiegoni in realtà ci sono, ma sono mascherati e velocissimi (la sequenza giapponese, ad esempio, è stata studiata appositamente in modo tale che tutte le informazioni passassero in maniera indolore, riuscendo a spiegare sia come si devono comportare i soldati, sia informando il lettore).

Dopo un breve confronto con l’antitetica serie fantasy Dragonero, l’incontro termina tra i boati e gli applausi dei fan, che dopo lunghi mesi di attesa e dopo aver letto il primo dei dodici volumi che comporranno la prima storia conclusiva della miniserie, sono qua in tanti per festeggiare Orfani, vento di novità e innovazione per l’azienda di via Buonarroti.

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