La prima cooperativa di prostitute riapre in Spagna il dibattito sulla regolarizzazione della prostituzione

Da Rottasudovest
A Ibiza, a novembre, è stata registrata la cooperativa Sealeer, formata da donne che si sono associate "per la prestazione di servizi sessuali". Si tratta, insomma, della prima cooperativa spagnola di prostitute, che si sono unite per cercare di vedere riconosciuti i propri diritti: le prostitute si trovano infatti in un limbo legale, per cui non hanno diritto alla disoccupazione, all'assistenza medica o al permesso per maternità o per malattia. Il primo a rivelare l'esistenza della cooperativa è stato il sito web elconfidencial.com. Le fondatrici sono undici e tra loro, oltre a spagnole, ci sono slave e italiane. L'unica che non esercita la professione è la presidente María José López Armesto, che è la portavoce di tutte. Sono tutte donne che esercitano la prostituzione volontariamente, sebbene, per quanto dice la presidente, alcune sono state spinte dalla crisi economica, "una madre prende anche un chiodo ardente" dice, per spiegare la situazione di molte socie, che mantengono la famiglia con il loro lavoro. Perché una cooperativa di lavoratrici del sesso? "Per l'autonomia, per pagare la Seguridad Social (lo Stato Sociale: l'iscrizione alla Seguridad Social dà diritto all'assistenza sanitaria, alla pensione, alla disoccupazione, ecc) e soprattutto per avere un sostegno. Nella cooperativa abbiamo un avvocato, per esempio. Qui trovano copertura legale, consulenza, si appoggiano l'una con l'altra". Sealeer è al prima cooperativa di prostitute in Spagna, come si diceva, anche se non è il primo tentativo delle prostitute di riunirsi in qualche tipo di associazione per vedere riconosciuti i propri diritti. Le donne di Sealeer sono le prime che possono pagare la Seguridad Social con il loro lavoro di "prestatrici di servizi sessuali". "Sono lavoratrici che si autogestiscono, che stabiliscono i propri orari, le tariffe e le condizioni della prestazione sessuale" commenta il magistrato Glòria Poyatos, giudice decano a Lanzarote, nelle Canarie, che ha studiato i tentativi precedenti di associazione delle prostitute. Ha anche scritto un libro sull'esperienza, La prostitución como trabajo autónomo, in cui teorizza che le prostitute, che esercitano volontariamente la professione, possano essere riconosciute come lavoratrici autonome o possano associarsi in cooperative: "L'obiettivo finale è che si autogestiscano, che possano stabilire chi come e quando. Che siano loro a stabilire le norme e non il cliente o il prosseneta". La cooperativa delle prostitute di Ibiza ha riscatenato l'eterno dibattito sulla prostituzione. Giusto abolirla perché stabilisce comunque un rapporto di subordinazione della donna verso l'uomo, dato che chi paga comanda? O è giusto che una donna che sceglie liberamente di vendere il proprio corpo e farne una professione veda riconosciuti i propri diritti e abbia accesso allo Stato Sociale, come un qualunque lavoratore? Poyatos è favorevole a quet'ultima ipotesi, perché, spiega a elconfidencial.com, "conviene regolare chiaramente quest'attività, dato che si tratta di un lavoro soprattutto giovanile e di ritiro anticipato. Liberandole dal lavoro in nero, prima di tutto si otterrebbe di liberare le donne dal limbo legale e dal rifiuto sociale, secondo si otterrebbe un beneficio per loro, che potrebbero avere accesso a disoccupazione, crediti bancari, ecc e terzo, affiorerebbe un'attività che muove circa 50 milioni di euro al giorno in Spagna". Poyatos non apprezza neanche la controversa Legge di Sicurezza Cittadina, che, tra le varie discutibili norme, ha quella di vietare la prostituzione in strada: "Si può penalizzare che si pratichi il sesso negli spazi pubblici, ma non che si negozi, perché così si favorisce la prostituzione nei locali, con quello che significa. Lo sfruttamento, il lucro, l'evasione fiscale. O chiudiamo tutti i bordelli e reinseriamo queste donne o cerchiamo un modo per far sì che questo lavoro dia vantaggi al sistema e alle donne". eldiario.es si chiede se sia giusto che la prostituzione venga regolarizzata, dato che questo potrebbe favorirne lo sfruttamento. María José López dice che si vigilerà "affinché non ci siano condizioni di costrizione. Noi vogliamo solo avere i nostri diritti e crescere il più possibile". E' ancora la giudice Poyatos a fare un esempio che non permette molte discussioni: "Se trovano centinaia di cinesi chiusi in una casa e costretti a lavorare 12 ore al giorno e a dormire uno addosso all'altro, non per questo si proibisce il lavoro in sé. Ci sono Polizia e controlli, per perseguire i reati che si producono. Lo sfruttamento si deve soprattutto alla dipendenza economica: ma se si iscrivono alla Seguridad Social, le prostitute potranno accedere autonomamente alle prestazioni. La formula cooperativa cerca di unire gli sforzi di un gruppo di lavoratrici del sesso per autogestirsi e porre le proprie condizioni al cliente". La cooperativa ha circa una quarantina di domande di associazione da parte di altre prostitute e, scrive eldiario.es, accetta l'ingresso di nuove socie: "Chiediamo solo che siano maggiorenni, che non abbiano alcuna disabilità intellettuale e che agiscano liberamente, senza costrizione". Sembra sia diventata una sorta di punto di riferimento per l'intera Spagna: ci sono proprietari di postriboli che chiamano per sapere come possono fare per mettere in regola le prostitute dei propri locali, ci sono di nuovo dibattiti sulla regolarizzazione della professione. Che non è coì semplice come sembra. In un articolo di eldiario.es, in cui si confrontano le posizioni di chi vorrebbe un modello svedese, con la proibizione assoluta, il reinserimento sociale delle prostitute e la condanna dei clienti, e di chi vorrebbe che le donne possano decidere autonomamente e vedere riconosciuti i propri diritti di cittadine, si nota come le posizioni siano lontane e non sempre conciliabili.


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