La prima vera bugia, Marina Mander

Creato il 06 settembre 2011 da Libriconsigliati

La prima vera bugia

Titolo: La prima vera bugia

Autore: Marina Mander

Editore: et al.
Pagine: 130
Prezzo: € 11,05
Pubblicazione: febbraio 2011
ISBN: 978-88-6463-040-3

Valutazione Libriconsigliati: consigliato.

Una bugia lunga una storia, dolcissima e terribile. La prima vera bugia del piccolo Luca è quella di non aver raccontato che la madre ha dimenticato di svegliarsi: “C’è solo speranza che resusciti, come Gesù. Dopo tre giorni. Ma siamo appena al secondo”. E poi al terzo, e poi un giorno ancora, e ancora un altro. I capelli crescono, il frigorifero si svuota, le calze pulite finiscono. E quel corpo, nella camera da letto, inizia a puzzare. Nella stanza accanto, immobile e potente, è al centro del libro. Compare in un attimo, dopo poche battute, e non se ne va più. È il corpo pietrificato di una madre sbirciata dal figlio. Che, accanto a lui, ha vissuto sempre sulla sponda, sempre un po’ in pericolo: “nelle stazioni vuote, in ritardo rispetto alla vita”. Infelice, perché “se le persone sono felici, non muoiono così”.

Non è più il corpo di una donna che dà la vita e se ne prende cura. È un “solo corpo”, che salta e mette in scacco i modi in cui la morte femminile è solitamente rappresentata (mal rappresentata e scolorita come violenta e, dunque, passiva perché il ruolo del protagonista è immediatamente affidato al carnefice). Nel racconto della triestina Marina Mander, il modo è assente, il perché non ha importanza, non suscita curiosità. Come, d’altra parte, la figura del padre che non riesce a occupare il campo con il peso del suo abbandono e della sua assenza (“Morto un papà se ne fa un altro”, diceva la mamma di Luca).

Quel che continua a circolare ed è al centro della narrazione è, insostituibile, la lingua materna. È quel vissuto che porta con sé un’evidenza non argomentabile, che nasce dalla condivisione, dalle parole che nominano un’esperienza mai ab-soluta, ma sempre giocata all’interno di una relazione d’amore. Questo solo permette libertà nei confronti della lingua, e nei confronti del rapporto che la lingua ha con le cose: anche con la morte.

La creatività che abita nel legame primario sa tenere insieme corpo e parole, esperienza e linguaggio; sa “mettere al mondo il mondo”, espandere mentre nomina, donare continuità all’esperienza e alla sua dicibilità.

“Le parole messe in fila formano le storie. Le storie mettono a posto le cose”, pensa il piccolo protagonista. Come a dire, e il tono del racconto lo dimostra, che comunque non si è soli quando si adopera la lingua, ma sempre nella fluidità di quella prima relazione. Che resta viva, non può morire e non ha il sapore dell’abbandono.

Ecco, allora, i continui giochi di parole, la molteplicità dei sensi, le filastrocche, le freddure, le trasgressioni linguistiche. E la risorsa di leggerezza che tutto questo muove nella storia. Perché la capacità simbolica della madre genera un rapporto ludico e anche salvifico con il mondo. Quello del “come se”. Del fare le cose come lei fosse ancora viva e presente. Come se, dunque, il suo insegnamento avesse messo radici e chiedesse una gratitudine eterna.

Giulia Siviero per Libri Consigliati

L’AUTORE

Marina Mander, triestina, scrive in ambito pubblicitario e editoriale. Tra le sue opere ricordiamo Manuale di ipocondria fantastica (Transeuropa, 2000, che presto verrà riproposto) e Catalogo degli addii con le illustrazioni di Beppe Giacobbe (et al. edizioni, 2010).


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