Ha vinto la Spagna, non il tiqui-taca. Pluricelebrata filosofia di gioco iberica, il calcio drogato di passaggi ed in costante astinenza dal tiro in porta ha preferito tenersi alla larga dal rumoroso Sudafrica delle vuvuzelas. Stretta nelle proprie, elaboratissime trame come nelle spire di un serpente, la selezione iberica ha visto il proprio castello, poi rivelatosi solidissimo, venire sgretolato dal pragmatismo di Hitzfeld. L'esordio mondiale, accompagnato dagli auspici di bissare il successo europeo, ha sbattuto in faccia alle Furie Rosse la crudele verità: non di solo tiqui-taca vive l'uomo. Un'ordinata ripartizione dello spazio difensivo, tanto è bastato alla Svizzera per aver ragione gli avversari, sperduti sulla trequarti alla ricerca di un varco mai apertosi. È qui che la Spagna ha acquisito la mentalità poi rivelatasi decisiva per alzare al cielo la Coppa del Mondo: abolizione del tiqui-taca, rivisto parzialmente solo in semifinale, ed estrema fiducia riposta nel cinismo di Villa, propiziato dalla genialità del duo blaugrana composto da Xavi ed Iniesta. Da sottolineare anche l'ostinata ma efficace riproposizione del doble pivote, a tratti deleterio per la manovra offensiva ma determinante in fase di non possesso (due appena i gol subiti dalla Spagna). Archiviata senza patemi la formalità honduregna, per aver ragione del Cile è stato fondamentale l'apporto dei già citati prodigi offensivi: Villa prima ed Iniesta poi hanno fatto ammattire il loco Bielsa. Con l'approdo agli ottavi, messo addirittura in discussione dai più pessimisti dopo il disastroso esordio, si è toccato l'apice della praticità: Portogallo, Paraguay, Germania ed Olanda sono stati accomunati nella cattiva sorte da un risultato, l'1-0, cui i cultori del passaggio sono poco abituati ma dinanzi al quale non hanno certo storto il naso. A conti fatti, più del bel gioco sono stati importanti la compattezza del gruppo e la solidità difensiva.
IMPRONTA CATALANA
Il capitano è Iker Casillas, madrileno di Móstoles, ma l'ossatura della squadra è fortemente legata alla Catalogna. Degli otto elementi in forza al Barcellona, ben cinque sono catalani purosangue (Puyol, Xavi, Piqué, Valdés e Busquets), mentre il manchego Iniesta ed il canario Pedro sono stati svezzati a La Masia, proprio come Cesc Fàbregas. Discorso a parte per Pepe Reina, nato a Madrid dove suo padre Miguel aveva concluso la carriera nell'Atletico, è anch'egli cresciuto calcisticamente nel Barça tanto da venir convocato per la Selecció Catalana. Sul Montjuïc si è invece formato Capdevila, prodotto della cantera dell'Espanyol. Questa forte identificazione catalana, tuttavia, non ha affato minato gli equilibri dello spogliatoio, anzi ha addirittura reso più solidi i legami tra i componenti della squadra: giocando a pocha e ballando sulle note di Waka Waka, facendo baldoria nella camera di Capdevila incitati dal dj Sergio Ramos, il gruppo ha raggiunto una coesione tale da superare ogni avversità.
VAMOS A GANAR
Una final no se juega, una final se gana. Una finale non si gioca, una finale si vince. Con questo spirito la Spagna tutta, non solo gli undici prescelti da Del Bosque, è idealmente scesa in campo al Soccer City Stadium di Soweto, sobborgo di Johannesburg assurto a centro del mondo per 120 minuti più recupero nella notte dell'11 luglio. Ad attendere le Furie Rosse, un'Olanda smaniosa di portare a casa la prima Coppa del Mondo. Sneijder e Robben, gli spauracchi olandesi desiderosi di vendetta: la Spagna, nella persona di Florentino Pérez, non ha creduto in loro, e la possibilità di completare un'opera di riscatto iniziata nella finale madrilena di Champions League è davvero invitante. Ma in una partita che sa di Kung-Fu a tenere inchiodato il punteggio sullo 0-0 è Casillas: fenomenale nel negare a Robben la gioia del gol in ben due occasioni, il capitano della Spagna tiene caparbiamente a galla i suoi, che si permettono il lusso di sciupare fior di occasioni dinanzi all'imponente Stekelenburg. Terminati in pareggio i tempi regolamentari, non resta che prolungare la partita di mezz'ora. E mentre van Bronckhorst dà fondo alle ultime energie di una lunga ed onorata carriera, i CT rimescolano le rispettive carte: Fàbregas e van der Vaart svestono la tuta, perché c'è bisogno di fantasia. E di gol: dentro Torres, fuori l'esausto Villa, e proprio i due subentrati confezionano la segnatura di Iniesta. È glaciale, il pallido prodotto della cantera blaugrana, nel trafiggere Stekelenburg e regalare al suo popolo la prima gioia Mondiale in quasi novant'anni di Nazionale spagnola. Commovente l'esultanza, una dedica al compianto Dani Jarque.
I VENTITRÉ
I Campioni del Mondo, così verranno per sempre ricordati. A Madrid come a Barcellona, a Valencia come a Siviglia, a Palma di Maiorca come a Bilbao, echeggerano per sempre le gesta della Nazionale di calcio spagnola più forte di ogni epoca. Guidati da un condottiero navigato e pacioso come Del Bosque, i componenti delle Furie Rosse si sono guadagnati l'immortalità calcistica. Il capitano della squadra, Iker Casillas, ha dimostrato di essere un vero leader: decisivo in finale, impassibile dinanzi alle critiche piovutegli addosso alla vigilia, romantico nel baciare la splendida fidanzata Sara Carbonero in diretta nazionale pochi istanti dopo il vittorioso epilogo. A rendere impermeabile la retroguardia spagnola ha contribuito in maniera decisiva la coppia blaugrana composta da Piqué e Puyol: tanto affiatati quanto insuperabili, ed il riccioluto capitano del Barça si è pure regalato il gol decisivo contro la Germania. Sergio Ramos, puledro perennemente al galoppo sulla corsia destra, ha svolto in maniera impeccabile ambedue le fasi: sempre pronto al cross, mai in ritardo in chiusura. Ideale complemento del reparto arretrato è stato Capdevila, terzino sinistro poco avvezzo alle sbavature, cui solo il fenomenale Robben ha creato qualche grattacapo. Dirigendosi a centrocampo, è obbligatorio partire da Sergi Busquets, a detta di Del Bosque fondamentale per gli equilibri della squadra: autore di un discreto Mondiale in appoggio a Xabi Alonso, anch'egli superbo ma autore del comunque ininfluente errore dal dischetto contro il Paraguay. Spesso e malvolentieri nelle vesti di trequartista, Xavi non si è certo risparmiato, offrendo prelibati assist ai compagni: Villa su tutti, autore di cinque gol uno più decisivo dell'altro. Iniesta, el hombre de la historia, è la ciliegina su una torta già di per sé ghiottissima. Tra quelli che il campo l'hanno visto meno, spiccano gli altisonanti nomi di Fernando Torres (mai in condizione, causa infortunio) e Cesc Fàbregas, oltre a David Silva. Poi c'è chi, come Pedro e Jesús Navas, si è guadagnato fiducia e minuti in campo giorno dopo giorno, lavorando sodo nel ritiro di Potchefstroom. A Martínez, Arbeloa, Mata e Llorente non sono stati concessi che pochi minuti di campo, utili per dar loro l'idea di cosa significhi vincere un Mondiale, mentre non hanno mai calcato il terreno di gioco Reina e Valdés - prevedibile - ed Albiol, frenato da un infortunio. Per Marchena otto minuti appena, sapientemente suddivisi in tre partite: la sua striscia d'imbattibilità con la Roja è sempre più lunga.
Antonio Giusto
Fonte: Calcio 2000