Facciamo un passo indietro e torniamo all’Ottocento, epoca della nahdah, il risveglio sociale, culturale e politico nei Paesi arabi ed islamici. In quel momento storico furono le pioniere del femminismo a farsi portavoce delle richieste delle donne. Tra loro ci furono, è vero, anche uomini (scrittori e non solo), ma l’azione “dell’altra metà del cielo” fu molto più intensa e capillare.
A questo punto è d’obbligo sfatare qualche mito: il femminismo islamico esiste (non fidatevi di chi vi dice il contrario), ha una sua storia che continua ancora oggi e non è una pedissequa imitazione di quello occidentale. Ha radici, modelli e scopi propri, benché il dialogo tra femministe occidentali ed arabe non sia mai mancato, rappresentando un terreno fertile per nuove iniziative ed idee. Non immaginatelo come un movimento unico e statico, in quanto il femminismo islamico ha sempre avuto, al proprio interno, numerosi punti di vista, correnti ed idee anche in contrasto tra loro.
Allo stesso modo nei Paesi arabi, fin dall’Ottocento, sono nate e si sono sviluppate moltissime riviste di attualità, letterarie e femminili. Proprio attraverso i libri ed i giornali, le idee delle pioniere del femminismo hanno attraversato i confini delle nazioni, guadagnando popolarità. Oggi, con Internet, le femministe hanno delle armi in più. E non solo loro, ma tutti gli uomini e le donne che, mouse alla mano, chiedono dei cambiamenti visibili e costanti nelle loro società. E non solo libri e giornali come veicolo di idee e novità, ma e-book, siti web e social network.
Questi ultimi meritano un approfondimento: la politica, da sempre qualcosa d’irraggiungibile ed intoccabile, per le nuove generazioni arabe è a portata di post. Stando ai risultati del “Project on Information Technology and Political Islam” dell’Università di Washington, uno studio che ha analizzato filmati presi da YouTube e post di blog e social network, la Primavera araba è passata soprattutto attraverso Internet e, in particolare, Facebook e Twitter. Gli studiosi e gli analisti, però, invitano a non estremizzare il risultato di questo studio; è innegabile l’importanza del web nella Primavera araba, ma da qui a dire che questa sia “la rivoluzione dei social network” ce ne passa. Sarebbe riduttivo, infatti, parlare solo delle proteste online e non considerare gli scioperi e le manifestazioni che hanno consentito le insurrezioni.
Il quotidiano “La Stampa” riporta dei dati interessanti sulla penetrazione di Internet nei Paesi arabi: in Egitto sarebbe del 20-25%, in Tunisia del 35%, ma in Libia solo del 5%. Secondo l’Arab Social Media Report, inoltre, gli arabi che usano i media sono “più tolleranti ed aperti verso il mondo e le opinioni degli altri”. Sono stati analizzati otto Paesi-campione ed i numeri parlano da soli: in Egitto la percentuale dei “tolleranti” è del 58%, in Giordania del 59% e del 47% in Arabia Saudita. Ancora “La Stampa” cita le parole di Fadi Salem, uno degli autori di questa ricerca: “In assenza di vincoli sociali, culturali e politici, il mondo virtuale rende le persone meno timide o riservate nell’esprimere le proprie opinioni di quanto sarebbero nella vita reale”.
Lo vediamo anche noi in Occidente: Facebook o Twitter ci avvicinano di più alle persone (famose e non) attraverso un rapporto più paritario dove la timidezza è notevolmente ridotta. I mezzi sono cambiati, le generazioni si sono avvicendate, ognuna lottando come meglio poteva per un mondo migliore. I nostri tempi offrono tante risorse, ma bisogna sapere come sfruttarle. Gli uomini e le donne arabe ce ne stanno dando un esempio. C’è voglia di evoluzione, di cambiamento ed Internet è il sistema più diretto per aprirsi agli altri, imparare, conoscere. Le pioniere del femminismo usavano la penna e la parola. Le ragazze (e i ragazzi) di oggi i post e la tastiera di un computer. Ma il desiderio di vivere e di essere liberi è uguale per tutti.