La primavera più censurata: Manama e i diritti violati.

Creato il 16 luglio 2012 da Ilnazionale @ilNazionale

Manama: scorci della capitale

16 LUGLIO – Sole ardente, cielo limpido e poche torri che si ergono indisturbate, così si presenta Manama, capitale del Bahrain,  nell’ultimo weekend di giugno. Il traffico scorre tranquillo e i mall, ovvero i negozi, sono pieni zeppi di persone, si scorgono anche alcuni turisti, niente sembra ricordare le manifestazioni di un anno fa. Ieri, infatti, cadeva il primo anniversario della rivolta nell’isola del Golfo.

Ad un anno dalle rivolte che hanno scosso il piccolo stato, sempre minore è stata l’attenzione rivolta da parte dei media internazionali. Con i suoi 720 chilometri quadrati, il Bahrein ha una popolazione di un milione e duecentocinquantamila abitanti, il 70 percento dei quali sciiti. La monarchia al potere però, come del resto il governo, è esponente della minoranza sunnita del paese al punto che il resto della popolazione non solo non gode degli stessi diritti ma è vittima anche di varie discriminazioni.

Questi sono i principali motivi per cui la popolazione bahreinita è scesa in piazza il 14 febbraio 2011, per chiedere riforme che minino le disuguaglianze economiche e per incitare il Governo all’attuazione della riforma del 2001 che avrebbe dovuto sancire il passaggio da monarchi assoluta a monarchia costituzionale.

Ma il popolo del Bahrein non merita la libertà, agli occhi del mondo occidentale, alla stregua del popolo libico o egiziano, perchè pochi hanno raccontato della situazione nel paese, e nessuno ha aperto bocca quando, il 14 marzo del 2011, i carri armati sauditi hanno fatto il loro ingresso nel paese. Gli USA hanno addirittura sostenuto che l’ingresso nel paese di soldati sauditi non è da considerarsi un’invasione.

Ma quali interessi vi sono dietro questo atteggiamento occidentale?

Forse non tutti sanno che il primo pozzo di petrolio del Golfo Persico fu trivellato proprio nel Bahrain nel 1932 e la raffinazione del greggio è fonte dei principali introiti del paese, dove si trova, appunto, la più grande raffineria del Golfo.

Allo stesso tempo l’isola si trova ad un passo dalla città saudita di Dahran, centro amministrativo dell’industria petrolifera, dal campo petrolifero di Ghawar e dalla sede dell’Aramco, la più grande società petrolifera dell’Arabia Saudita.

Ma ancora più rilevante, è il fatto che proprio in Bahrein si trova la base della Quinta Flotta USA, impiegata durante le guerre in Afghanistan e in Iraq. Il piccolo stato inoltre è uno dei paesi più cruciali, per la posizione geografica, in chiave anti-iraniana.

Ed è proprio l’Iran ad avere un ruolo centrale in questa storia in quanto la Repubblica sciita è stata accusata dal re Hamad Bin Isa Al Khalifa, anche se solo implicitamente, di fomentare lo squilibrio del suo regno. Alla dichiarazione sono seguite le espulsioni dall’isola di vari esponenti diplomatici iraniani.

L’Arabia Saudita, dal canto suo, non può far altro che schierarsi contro il suo rivale iraniano per rimarcare il suo dominio nell’area e per mandare un messaggio chiaro non solo allo Stato sciita, ma anche alla minoranza sciita stanziata nel suo stesso territorio.

Sarà per questi motivi, forse, che l’intero mondo occidentale non ha espresso un solo messaggio di solidarietà per il popolo del Bahrein che, al contrario delle popolazioni di altri paesi a quanto pare più “interessanti”, ha visto calpestati i propri diritti, repressa col sangue la propria richiesta di riforme democratiche, il tutto acompagnato dal silenzio dei media occidentali, troppo impegnati a riempirsi la bocca con la parola democrazia e libertà valida solo per gli “altri” popoli arabi.

Ma anzi, tutto il mondo ha tirato un sospiro di sollievo quando i carri armati sauditi hanno attraversato quel ponte, che da più di vent’anni ormai unisce i due paesi e una delle prime attrazioni turistiche del Bahrein, portando di nuovo la calma apparente sul paradiso energetico che è il Golfo.

Oggi Manama rappresenta al meglio quel luogo auspicato e sono poche le persone disposte a parlare di quanto successo, tranne un tassista che autonomamente mi indica la piazza dove iniziarono gli scontri, Pearl Square, e mi racconta come in pochi giorni il Governo abbia represso le manifestazioni. Usa buone parole per il re, atteggiamento tipico da parte dei sudditi, ma nessuna buona per il Governo.

Mentre prosegue la corsa mi indica un nuovo palazzo, la cui costruzione è da poco terminata, per poi lamentarsi del modo in cui vengono spesi i soldi nel suo Stato, del fatto che la popolazione non ricava nulla dai proventi del petrolio e sottolinea proprio il fatto che la popolazione bahreinita non sia felice, in quanto non vi è libertà e non vi è lavoro.

Non una parola sull’Arabia Saudita.

Ma le parole non mancano nei confronti dell’Occidente, mi racconta di come il Governo del Bahrein sia stato messo al potere dalla Gran Brategna e che ha governato indisturbato dagli anni Settanta perchè ha l’appoggio degli Stati Uniti, mi dice di apprezzare l’Europa ma non la Gran Bretagna la quale, a sua detta, ha le colpe principali per ciò che è accaduto e continua ad accadere nel suo paese.

Non posso dire se queste siano le convinzioni principali diffuse nel paese, ma posso affermare che la maggior parte di queste stavano alla base della rivolta avvenuta nell’isola, perciò non posso far altro che chiedermi: per quanto tempo andrà avanti questa situazione? Ma sopratutto, per quanto tempo ancora il mondo occidentale vorrà far finta che a Manama non sia mai accaduto nulla?

Jasmin Khair


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :