In Cina, paese di 1340 milioni di persone, moltissimi fiumi e laghi sono contaminati, dovuto agli alti livelli d’inquinamento industriale.Il fiume Giallo (Huang Ho, lungo più di 5000 chilometri), inquinato e imprigionato in enormi dighe costruite allo scopo di produrre elettricità, ha perso la sua forza e all’estuario è poco più largo di un rigagnolo. La situazione d’approvvigionamento idrico si è fatta critica nella capitale cinese, Pechino, dove per lunghi mesi i suoi abitanti hanno sofferto di mancanza d’acqua.
Anche negli Stati Uniti d’America si sono verificate negli ultimi anni continue crisi idriche, dovute a forzati prelievi delle falde acquifere (per esempio la Ogallala, tra il Texas e il Nuovo Messico), che semplicemente non si stanno rinnovando proprio per la scarsità delle piogge.
Anche nei paesi del Medio Oriente c’è una cronica scarsità d’acqua, dovuto sostanzialmente al clima arido e alla mancanza di fiumi e precipitazioni: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Libia, Yemen, Kuwait, Oman. In questi paesi, dove la popolazione è in continuo aumento, si sono implementati impianti di desalinizzazione marina, che però sono costosi ed inquinanti.Nella maggioranza di questi casi la scarsità o mancanza d’acqua causa terribili carestie, in quanto non si riesce ad irrigare i campi e pertanto si perde gran parte della produzione agricola. In altri casi, come per esempio nell’Africa sub-sahariana, la pessima qualità dell’acqua causa gravi malattie che spesso portano alla morte persone deboli dal punto di vista immunitario.I primi quattro paesi dove invece c’è più abbondanza d’acqua, in termini assoluti, sono, nell’ordine: Brasile, Russia, Canada e Colombia.Purtroppo è proprio in questi paesi (e in molti altri), che potenti imprese multinazionali si sono da tempo appropriate delle sorgenti dei principali fiumi, da dove sgorga l’acqua pura, o hanno preso in concessione laghi e falde acquifere nell’intento di lucrare sulla gestione e sulla vendita d’acqua agli utilizzatori finali, che da cittadini depositari di diritti sono diventati semplici consumatori.Nel 2000 in appena l’1% dei comuni brasiliani erano state date concessioni ad imprese private per gestire e vendere acqua. L’acqua era gestita nella sua quasi totalità da enti pubblici e le tariffe erano basse. Fino al 2006 si sono privatizzate 52 entità pubbliche (dati ABCON). Solo nel 2007 sono state date in concessione ad imprese private 7 enti per la distribuzione dell’acqua, che antecedentemente erano pubblici.Per esempio nel luglio del 2000 il comune di Campo Grande (capitale del Mato Grosso del Sud) ha dato in concessione all’impresa Aguas de Barcelona, un’impresa collegata alla multinazionale Suez, la gestione e la distribuzione dell’acqua nell’area metropolitana della città. Secondo i sostenitori della privatizzazione dell’acqua queste concessioni portano capitali freschi nelle casse delle entità amministrative locali e migliorano il servizio. Coloro i quali invece sono contrari a questo processo sostengono che con le imprese private i costi salgono e i quartieri poveri non vedono migliorato il loro accesso alla rete idrica. L’impresa Suez-Lyonnaise des Eaux, che è presente anche a Manaus con una concessione trentennale, sostiene invece che dalla sua gestione l’accesso ai quartieri poveri è migliorato, arrivando a coprire un 95% della popolazione.In ogni caso le tariffe sono aumentate laddove vi è una gestione privata dell’acqua per esempio a Manaus (impresa Suez) o nel Paraná (dove è presente l’impresa francese Vivendi, che oggi si chiama Veolia). Attualmente le concessioni private in Brasile sono circa 70, in 10 dei 26 Stati. In Bolivia il conflitto sociale contrario alla privatizzazione dell’acqua è stato molto forte soprattutto durante le proteste di Cochabamba nel 2000.
Intorno alla metà degli anni 80’ il paese andino stava sprofondando in un caos economico senza precedenti, con un’inflazione galoppante.I governanti di allora si piegarono allo strapotere del Banco Mondiale e chiesero dei prestiti, indebitando ancora di più il paese. Per far fronte a questi debiti si permise l’entrata massiccia d’investitori internazionali, che si appropriarono di vari settori dell’economia, come il sistema telefonico, quello strategico degli idrocarburi e le linee aeree.In seguito a pressioni della Banca Mondiale la gestione e la distribuzione dell’acqua a Cochabamba, città di 1 milione di abitanti, situata a metà strada tra La Paz (capitale politica del paese) e Santa Cruz de la Sierra (capitale economica della Bolivia), fu data in concessione ad un consorzio internazionale chiamato Aguas del Tunari, composto dalle imprese: Bechtel Enterprise Holdings (USA), International Water Limited (UK), Edison (Italia), Abengoa (Spagna) e le due imprese boliviane ICE Ingenieros e SOBOCE.Il presidente boliviano Hugo Banzer permise l’ampliamento della concessione per Aguas del Tunari a ben 40 anni, ma quando il governo approvò la legge 2029, che avrebbe permesso un monopolio di fatto per Aguas del Tunari molti gruppi di cittadini iniziarono una forte protesta in difesa dell’acqua pubblica perché videro in Aguas del Tunari una reale minaccia per il loro futuro.La protesta esplose nel gennaio del 2000, quando un manager inglese del consorzio dichiarò che si sarebbe immediatamente tolto il servizio idrico a chi non avrebbe pagato puntualmente. Le bollette erano salatissime, si pensi che una famiglia normale (il reddito mensile era di circa 70$ per persona al mese nel 2000), era costretta a pagare circa 20$ al mese.Gli scontri tra i dimostranti e la polizia furono durissimi, non solo a Cochabamba ma in tutto il Paese. Ci furono moltissimi arresti e centinaia di feriti.Le organizzazioni per l’acqua pubblica indicono un referendum dove si sancì con il 96% dei voti che la concessione con Aguas del Tunari doveva essere cancellata. Il governo ignorò il referendum e le proteste ripresero vigore in aprile del 2000.
Quando il governo imprigionò vari leaders del movimento per l’acqua pubblica, detto La Coordinadora, (tra i quali Oscar Olivera), la protesta s’infiammò ancora di più e si estese praticamente a tutto il Paese. La gente esigeva non solo la cancellazione del contratto con Aguas del Tunari, ma anche migliori condizioni salariali in genere. Il Paese stava cadendo nel caos.L’8 aprile del 2000 il presidente Banzer proclamò lo “stato d’emergenza”, una misura eccezionale tesa a mantenere l’ordine nel Paese. Alla polizia venivano dati poteri eccezionali e veniva stabilita il coprifuoco. Nei giorni successivi ci furono vari scontri cruenti tra le forze dell’ordine e i dimostranti durante i quali ci furono vari morti. I poliziotti stessi entrarono in sciopero chiedendo un aumento del loro salario e lo stesso fecero i militari. La protesta si estese ad altre categorie sociali, come i professori delle scuole, e i coltivatori di coca. La morte violenta di uno studente, Victor Hugo Daza, non fece che peggiorare la situazione. A questo punto i manager del consorzio Aguas del Tunari decisero di lasciare Cochabamba e si diressero a Santa Cruz de la Sierra.
A quel punto il leader del movimento per l’acqua pubblica, Oscar Olivera, ottenne dal governo la cessazione del contratto con il consorzio Aguas del Tunari. Per fortuna il governo si rese conto che insistere nel voler a tutti i costi privatizzare l’acqua avrebbe portato al collasso del paese. In seguito il consorzio Aguas del Tunari iniziò una causa internazionale contro lo Stato della Bolivia per “mancati guadagni”, come se l’acqua boliviana fosse un bene vendibile di loro proprietà.Anche se la gestione dell’acqua a Cochabamba ritornò ad essere pubblica e amministrata dall’ente SEMAPA, i problemi non terminarono: nel 2006 ci furono notevoli disservizi nella distribuzione dell’acqua e spesso si dovette interrompere il somministro. Secondo i responsabili dell’ente pubblico mancherebbero i fondi per ristrutturare il sistema che sarebbe ormai obsoleto per la città di Cochabamba.Anche nella città di La Paz dove il sistema di gestione e distribuzione dell’acqua è invece privatizzato (Aguas de Illimani, una sussidiaria della francese Suez), i problemi di inefficienza e alte tariffe continuano.In Argentina dal 1991 al 1999 vi sono state delle massicce privatizzazioni di vari settori strategici tra i quali l’acqua. Le concessioni date a ditte private coprivano più del 60% della popolazione del Paese. Nel 1993 la francese Suez ottenne una concessione per la gestione, la distribuzione e la vendita dell’acqua nell’area metropolitana di Buenos Aires (13 milioni d’abitanti). Detta concessione fu revocata nel 2006 e la gestione dell’acqua tornò al settore pubblico.
In Colombia dal 1997 al 2007 sono state privatizzate circa 40 entità pubbliche che distribuivano l’acqua a costi calmierati. Oggi le imprese private hanno il controllo della gestione, distribuzione e vendita d’acqua in molti comuni colombiani, per un totale che assomma al 20% della popolazione totale del Paese.Le privatizzazioni dell’acqua iniziarono a Cartagena de Indias nel 1996, per poi estendersi ad altre città della costa caraibica e dell’interno. Spesso la gestione delle falde acquifere e della distribuzione dell’acqua è mista, ovvero in parte pubblica e in parte privata. Nella città di Barranquilla per esempio l’impresa privata Triple A ha migliorato il servizio, però le bollette sono aumentate notevolmente.Il problema della gestione dell’acqua nelle città colombiane è la situazione di monopolio di fatto d’alcune imprese private, che hanno aumentato le tariffe, senza offrire al cittadino la possibilità di scegliere altre opzioni di approvvigionamento.
Nella maggioranza dei casi in Colombia le falde acquifere sono situate in alta montagna, le zone cosiddette di “paramo”.Lo sfruttamento minerario(soprattutto aurifero) è una costante minaccia alla qualità delle acque che potrebbero essere contaminate da cianuro o mercurio elementi utilizzati nel processo d’estrazione di molti minerali, tra i quali l’oro.
Come si vede in molti Paesi del Sud America è ancora in corso un processo di privatizzazione dell’acqua, bene di primaria importanza per la vita degli esseri umani. In alcune città del Sud America, come per esempio Cochabamba o Buenos Aires, sono state revocate le concessioni a imprese private, spesso straniere, e si è tornati ad un sistema pubblico di gestione e distribuzione dell’acqua. Di Yuri LeverattoL'acqua è l'oro di domani. Non lasciamo che si tramuti in una merce utile ad arricchire i grandi gruppi industriali e multinazionali sulle spalle di chi ha bisogno. Curiamo questa risorsa che è di tutti e per tutti, e salvaguardiamola dalla logica del profitto. Votiamo SI ai referendum sull'acqua.