La Profezia dei Romanov, Steve Berry e il mistero di Anna Anderson
Creato il 26 gennaio 2010 da Luca Filippi
Ekaterinburg, Russia: 16 luglio 1918. La zarina Alessandra, l'imperatrice di tutte le Russie, implora il vecchio monaco. Il principe ereditario Alexei, lo zarevic, è vittima di una delle sue crisi di emofilia. Solo lui, il vecchio Rasputin, sembra essere in grado di attenuare la sofferenza del bambino. Ed è proprio Rasputin che, colto da un raptus, predice la fine della dinastia che da più di tre secoli governa il grande impero russo. Ma il Santone prevede anche che il sangue dei Romanov non si estinguerà e i discendenti riusciranno a ritornare sul trono.
Mosca, oggi. La situazione politica in Russia è instabile. Il popolo si è espresso chiaramente. Vuole il ripristino della monarchia. Viene istituita una commissione per designare il nuovo zar. Verrà scelto, tra i discendenti dei Romanov, colui che è più prossimo a Nicola II
Questo è lo scenario del romanzo “La Profezia dei Romanov” (Editrice Nord, trad. Verri B.) di Steve Berry, avvocato statunitense divenuto scrittore di fama internazionale. Il racconto segue le vicende di Miles Lord, avvocato americano, chiamato a far parte della commissione come esperto di cultura russa. Avvicinato da un professore che lo mette a parte di alcune sensazionali scoperte sulle vicende della famiglia imperiale russa, Miles intraprende un tortuoso percorso per ritrovare le tracce dei discendenti di Nicola II. Dovrà vedersela con gli sgherri di Stefan Baklanov, il candidato più papabile, che si vede minacciato dall'eventuale presenza di discendenti diretti dell'ultimo zar.
Il romanzo è, come tutti i libri di Berry, ben congegnato e ben scritto, con una solida base storica. Il ritmo è avvincente e il lettore viene trasportato attraverso un viaggio nel tempo e nei luoghi di una Russia immensa e affascinante.
Il nucleo della narrazione poggia su un dato storico. Il 16 luglio del 1918, ad Ekaterinburg, la famiglia imperiale fu brutalmente assassinata. Sebbene dopo la strage fosse stato inviato un telegramma che assicurava lo sterminio dei Romanov, ben presto si diffusero voci sulla possibile sopravvivenza di alcuni membri della famiglia imperiale alla strage.
(foto della famiglia imperiale russa al completo nel 1913)
Nel 1920 una certa Anna Anderson sostenne di essere Anastasia Romanov, scampata alla furia dell'esercito bolscevico. Fu internata per 18 mesi in un manicomio. Intraprese un'azione legale per dimostrare di essere la granduchessa. In effetti, Anna e Anastasia avevano lo stesso colore di capelli e di occhi, e perfino la stessa deformazione del piede. Ma il tribunale decise che non esistevano sufficienti elementi per stabilire che la Anderson fosse la figlia di Nicola II.
Nel 1991 fu permesso agli scienziati di eseguire degli scavi a Ekaterinburg per ritrovare i resti della famiglia imperiale. Furono individuati nove scheletri. In base alle caratteristiche antropometriche si concluse che fossero 4 maschi e 5 femmine. Lo studio del DNA mitocondriale, trasmesso solo per via materna, permise di definire che nel sito erano stati ritrovati i resti dello zar, della zarina e di tre granduchesse, mentre gli altri scheletri appartenevano ai servitori della famiglia imperiale. Insomma all'appello mancavano lo zarevic e una granduchessa, presumibilmente Anastasia.
Era allora possibile che Anna Anderson non fosse altri che la granduchessa Anastasia? Lo studio del DNA mitocondriale estratto dall'intestino della Anderson ha permesso di escludere una sua discendenza dalla famiglia imperiale russa.
Ciò nondimeno, la storia della bella Anastasia scampata alla violenza dei Bolsevichi ha alimentato la fantasia di scrittori e autori cinematografici.
Per chi volesse approfondire l'aspetto scientifico, può trovare informazioni qui