Meglio tardi che mai si dice. Meglio per caso che per niente pure, no? Volevo regalare un numero di Superciuk ad un tizio e per questo ho incaricato uno dei miei migliori amici di comprarmelo nella sua fumetteria di fiducia. Non lo ha trovato e, visto che io ho degli amici meravigliosi, lui ha deciso che tanto valeva comprarmi un regalo. È così che mi è arrivato tra le mani La profezia dell’armadillo di Zerocalcare. Quella sera stessa decisi di sfogliarlo, di dargli giusto un’occhiata. Beh, inutile dire che una volta aperto non l’ho chiuso più fino all’ultima tavola, ridendo come una scema, guardando i disegni, ritrovandomi nelle situazioni e commuovendomi. Già, commuovendomi.
La profezia dell’armadillo è l’opera prima di Zerocalcare, centotrentasei tavole che, come in un puzzle, non raccontano un’unica storia ma la compongono attrraverso situazioni, momenti, pennellate. Lui, il nostro eroe non eroico, il suo fido amico, l’armadillo e una profezia: “Si chiama profezia dell’armadillo qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli. Amen”. La vita, dopotutto, quella vera, non è un flusso unico e ordinato, tutt’altro. Quello che ci accade è spesso tenuto insieme dal solo fatto di essere accaduto a noi che ne siamo al contempo attori ma anche passivi spettatori. Protagonisti e comprimari all’occorrenza, spesso incapaci di dire la cosa appropriata o di agire al momento giusto, di recitare una di quelle frasi ad effetto che tanto ci sbalordiscono nei film. Come quando ho incontrato un mio ex cattivo, cattivissimo, nel bagno di un locale e lui, per non salutarmi è filato via di corsa. “Le mani”, avrei voluto dirgli, mani che aveva dimenticato di lavare per la fretta di scappare dal posto in cui io respiravo ma niente, sono rimasta a guardarlo con l’espressione da pesce lesso tipica di chi non sa approfittare del momento. E questo ci accade continuamente, no? Dalla prima cotta delle elementari, che è cresciuto ed è diventato un orrendo gremlins e che non saprai mai quanto lo abbiamo amato; da quel lavoro che abbiamo rifiutato e che oggi pagheremmo oro per avere, da quella volta che abbiamo incontrato un ex nel bagno di un locale e…
Alcuni, molti, tanti di questi appuntamenti mancati col Guardiano del tempismo a ripensarci erano così semplici da prendere al volo, da cogliere. Invece passano, momento scaduto e via, verso la nuova tavola. Appunto, tavole singole che potrebbero essere anche lette da sole, così come quando raccontiamo a qualcuno un evento che ci riguarda. La mamma, Lady Cocca, gli amici del liceo che sono cambiati e si sono trasformati in persone diverse, alcuni non più affini a noi, l’armadillo e tanti dei personaggi ricorrenti nelle storie di Zerocalcare, al secolo Michele Rech, e i suoi trent’anni o giù di lì me lo hanno reso così familiare, mi hanno reso le sue vicende così vicine, che non sono nata a Rebibbia, ma nella periferia napoletana, e giurerei comunque di aver giocato con lui a pelota in cortile da bambina. I suoi disegni, i suoi tratti caratteristici, il suo modo di raccontare la realtà con un senso dell’umorismo malinconico, che oscilla tra risata sguaiata e commozione, me ne hanno fatta infatuare. Di lui, del suo modo di vedere la vita e di raccontarla nel cerchietto non più perfetto di un fumetto, e nel modo non più perfetto dell’età adulta che arriva e spiazza quando un 2 cede ad un 3 nello spazio riservato alle decine della vita. Le lacrime alla fine, dopo le risate, mi hanno finita sebbene fossero molte le tavole che mi indicavano dove mi stesse portando l’autore.
Chissà se scrivere una lista delle cose che si dovrebbero fare non sia poi in completo contrasto col concetto di tempismo. Se decidere di dire a chi ci piace che ci piace (sì, tu, lo sai che ce l’ho con te, mi piaci!), di dire agli amici di una vita che senza loro nulla sarebbe com’è, di dire ai genitori che gli poteva capitare di meglio ma non un’altra che li amasse più di me, di comprare almeno il secondo libro di Zerocalcare prima che si ritiri per andare a disegnare in un chioschetto in Brasile solo armadilli in tanga, sia poi così conciliabile con l’idea di non perdere il momento.
Non a tutto si può porre rimedio, ma a qualcosa sì. L’ho letto in ritardo La profezia dell’armadillo, è vero, ma le storie durano per sempre. E “le mani”, a quello, glielo posso sempre dire la prossima volta. Chissà mai capisca.