Considerato che il taglio così individuato inciderebbe in modo sostanzioso sull’ammontare complessivo della pensione è prevista l’introduzione di un prestito previdenziale che integrerebbe l’assegno pensionistico e il contestuale mantenimento dell’assegno minimo garantito sugli over 55 anni che abbiano perso il lavoro. Sarebbe previsto anche una sorta di prelievo di solidarietà sulle pensioni superiori ai 3.000,00-3.500,00 euro netti al mese. Il taglio contributivo. In questo caso il Governo prevede un taglio degli oneri previdenziali nella misura del 6% distribuito equamente tra impresa e lavoratore, per facilitare le assunzioni, taglio da rendere strutturale. Rispetto al taglio del 3% operato a carico del lavoratore, questi ha due opzioni: vedersi riconoscere l’importo direttamente in busta paga assoggettandolo ad Irpef oppure conferirlo a un fondo assicurativo (fondi per cui, di recente, il Governo Renzi ha aumentato la tassazione portandola al 20%). I tagli contributivi hanno come fine quello di sostenere l’occupazione. Il costo di questa operazione sarebbe totalmente a carico degli stessi lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti e senza art. 18. A fronte di una retribuzione, di tutele e di pensione scarsa, qualcuno potrebbe obiettare, si ma c’è il lavoro. Faccio solo notare che anche lo schiavo aveva un lavoro. I due provvedimenti, oltre ad avere come fine lo smantellamento del c. d. Tfr, operano una sorta di redistribuzione della ricchezza prodotta. La cosa che non quadra è che la redistribuzione avviene all’interno della sola classe media, non va in alcun modo ad incidere sulla attuale iniqua distribuzione della ricchezza che vede, dati Bankitalia, il 50% della ricchezza concentrata nelle mani del 10% delle famiglie. Dall’analisi dei due provvedimenti è facile ipotizzare una riduzione complessiva del reddito presente e futuro per i lavoratori dipendenti e per i futuri pensionati italiani. A tutto questo si accompagna una riduzione fittizia della pressione fiscale che, traducendosi in tagli alla spesa pubblica, peserà ulteriormente su bilanci familiari già decurtati. Siamo in presenza dello smantellamento sistematico della classe media in Italia che non produrrà crescita per l’economia italiana ma un ulteriore avvitamento su stessa.
Considerato che il taglio così individuato inciderebbe in modo sostanzioso sull’ammontare complessivo della pensione è prevista l’introduzione di un prestito previdenziale che integrerebbe l’assegno pensionistico e il contestuale mantenimento dell’assegno minimo garantito sugli over 55 anni che abbiano perso il lavoro. Sarebbe previsto anche una sorta di prelievo di solidarietà sulle pensioni superiori ai 3.000,00-3.500,00 euro netti al mese. Il taglio contributivo. In questo caso il Governo prevede un taglio degli oneri previdenziali nella misura del 6% distribuito equamente tra impresa e lavoratore, per facilitare le assunzioni, taglio da rendere strutturale. Rispetto al taglio del 3% operato a carico del lavoratore, questi ha due opzioni: vedersi riconoscere l’importo direttamente in busta paga assoggettandolo ad Irpef oppure conferirlo a un fondo assicurativo (fondi per cui, di recente, il Governo Renzi ha aumentato la tassazione portandola al 20%). I tagli contributivi hanno come fine quello di sostenere l’occupazione. Il costo di questa operazione sarebbe totalmente a carico degli stessi lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti e senza art. 18. A fronte di una retribuzione, di tutele e di pensione scarsa, qualcuno potrebbe obiettare, si ma c’è il lavoro. Faccio solo notare che anche lo schiavo aveva un lavoro. I due provvedimenti, oltre ad avere come fine lo smantellamento del c. d. Tfr, operano una sorta di redistribuzione della ricchezza prodotta. La cosa che non quadra è che la redistribuzione avviene all’interno della sola classe media, non va in alcun modo ad incidere sulla attuale iniqua distribuzione della ricchezza che vede, dati Bankitalia, il 50% della ricchezza concentrata nelle mani del 10% delle famiglie. Dall’analisi dei due provvedimenti è facile ipotizzare una riduzione complessiva del reddito presente e futuro per i lavoratori dipendenti e per i futuri pensionati italiani. A tutto questo si accompagna una riduzione fittizia della pressione fiscale che, traducendosi in tagli alla spesa pubblica, peserà ulteriormente su bilanci familiari già decurtati. Siamo in presenza dello smantellamento sistematico della classe media in Italia che non produrrà crescita per l’economia italiana ma un ulteriore avvitamento su stessa.