L'excursus nella carriera di Cronenberg si conclude con un altro film che mette da parte l'ossessione e la mutazione della carne proprie dei primi lavori del regista, concentrandosi invece nella graniticità e nella fisicità del protagonista, mescolando temi sull'identità e un'inquietudine di fondo che ha questa volta la forma del pericolo.
Nella sua prima uscita dal Canada, Cronenberg approda nell'uggiosa Londra, in quartieri dominati dalla mafia russa e dai suoi traffici illeciti.
Si inizia così con una gola squartata ad entrare nella cupola di Semyon, in cui ci porterà la bella e fragile infermiera Anna, alla ricerca dei parenti perduti di una ragazza madre, morta dando alla luce la figlia.
Grazie, o a causa, di un diario da tradurre, Anna finirà per invischiarsi fin troppo negli affari della famiglia, che vedono faide parallele e giri di prostituzione a cui il misterioso autista Nikolai presta attenzione.
Da A history of Violence, La promessa dell'assassino non eredità solo una tematica maschia e quasi ancestrale (lo scontro padre/figlio, la violenza spietata e innata), ma anche il protagonista, un qui molto più in spolvero e molto più in forma Viggo Mortensen. Il suo corpo, ricoperto tra 43 tatuaggi che come da tradizione russa raccontano la sua storia, viene esibito e esposto alle armi, in una scena di lotta epica che è già un cult, mentre la sua apparente tranquillità, il suo silenzio, nascondono molto più di un carattere riservato.
In questo scontro fra opposti, a fare la parte del folle e immaturo figlio del capo, c'è un sopra le righe Vincent Cassel, mentre Naomi Watts veste i panni semplici e per certi versi marginali dell'infermiera Anna (per quanto nostro biglietto d'ingresso in questo mondo).
I tre si muovono in una Londra niente affatto da cartolina, buia e ingrigita ancor più da una fotografia dalla patina antica, che dona un'aurea maggiormente cupa alla sceneggiatura di Steven Knight. Il tocco dello sceneggiatore -che da queste parti è già stato idolatrato per Locke e per Peaky Blinders- si sente tutto, e si fonde alla perfezione con la firma inquieta di Cronenberg. Il dramma famigliare, la malavita e le sue regole, il passato che bussa e chiede il conto e dialoghi filosofici sono così un mix esplosivo che rendono il film solido e allo stesso tempo intricato.
A suo tempo si era parlato di un possibile sequel, che portasse avanti un finale soddisfacente ma con molte porte ancora aperte. Al momento, però, la sceneggiatura già scritta da Knight non ha passato il vaglio della produzione per via del budget da investire e lo stesso Cronenberg sembra averci messo una pietra sopra.
p.s.: Un piccolo consiglio? Meglio l'originale, nella versione doppiata si perdono infatti molte sfumature date dagli attori visti i continui passaggi dal russo all'inglese, e i nostri doppiatori non sono certo stati all'altezza dell'opera.
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