Parlare della proporzionale crea sempre un certo imbarazzo. Lo provano i suoi difensori, che sanno di schierarsi dalla parte di una discriminazione, ancorché in passato necessaria. Ma lo provano anche i suoi detrattori, i quali riescono ad affermare che si tratta di un ferro vecchio soltanto minimizzando i problemi che potrebbero nascere nell’immediato, se cioè domani tale normativa venisse realmente abolita e tutti corressero senza freni sul libero mercato dei talenti.
Intanto, non potendo generare scelte precise, l’imbarazzo produce deroghe, accomodamenti e compromessi. L’ultimo episodio riguarda la cosiddetta applicazione “morbida” della proporzionale nell’ambito della sanità. Visto che un conteggio basato sui comprensori avrebbe generato palesi squilibri, l’orientamento caldeggiato dalla giunta provinciale è che i primari ospedalieri siano selezionati “linguisticamente” considerando l’intero territorio, prevedendo inoltre uno sforamento delle quote stabilite fino al 25%. Una soluzione di buon senso, senza dubbio, che tuttavia non risolve il problema, posto ovviamente che la proporzionale sia ancora vista come un fastidio intollerabile.
Di quest’ultimo avviso sembra essere per esempio il Consigliere provinciale Alessandro Urzì, il quale ha dichiarato con una battuta che è “meglio una cura in un’altra lingua, che un funerale nella propria”. Secondo Urzì l’unico criterio che dovrebbe dunque valere, nella sanità, ma forse in ogni altro ambito, è il merito. Punto di vista progressista, a tutti piace moltissimo sentir parlare di merito, se non fosse che nasconde due presupposti alquanto deboli. Il primo: che la trasmissione di una prestazione possa prescindere completamente dagli aspetti comunicativi, ossia da un legame profondo, fatto anche di parole, tra chi la emette e chi la riceve. Il secondo, anche se qui Urzì probabilmente si guarderebbe dall’ammetterlo esplicitamente: che tutto sommato siano gli italiani quelli più meritevoli, i professionisti veramente preparati, ma a causa di questo maledetto impiccio del tedesco risultino imbrigliati nel fornire liberamente tutta la loro benefica azione.
L’imbarazzo così rimane. Anche perché la proporzionale appare sempre più assurda non tanto in rapporto alla vetusta querelle tra italiani e tedeschi, quanto piuttosto nei confronti di tutti quei cittadini provenienti dagli altri paesi costretti a fingere di appartenere a uno dei gruppi linguistici “storici”.
Esiste, insomma, una via d’uscita? La speranza è che il tema si possa affrontare contestualmente al progetto complessivo di riforma dell’autonomia, annunciato per la prima fase dell’attuale legislatura. Sempre che l’avvio di un simile progetto non venga anch’esso visto come fonte d’imbarazzo.
Corriere dell’Alto Adige, 7 giugno 2014