La proposta di abolire il valore legale dei titoli di studio? Indecente!

Creato il 31 gennaio 2012 da Iljester

Ho letto molti articoli in quest’ultimo periodo su questo argomento. Mi ha colpito in particolar modo l’articolo di Antonio Martino su Il Tempo, secondo il quale è conveniente abolire il valore legale del titolo di studio, perché non ha senso in quanto l’Università italiana non prepara e la bravura di una persona non è collegata necessariamente alla laurea. Nell’estremo caso, dunque, un ingegnere a cui piace il diritto, in assenza di valore legale del proprio titolo di studio, potrebbe anche partecipare al concorso pubblico per diventare avvocato o notaio. Se dimostrasse di possedere le conoscenze specifiche, potrebbe anche esercitare la professione forense o notarile. E in assenza del valore legale del titolo di studio, persino un diplomato potrebbe accedere alle professioni superiori se dimostrasse di conoscere la materia.

Il buon Antonio Martino (che apprezzo e che il centrodestra dovrebbe tenersi caro) cita addirittura l’esempio di quei dentisti che — privi del titolo per esercitare — vengono scoperti nell’esercizio abusivo della professione odontoiatrica non già per le lamentele dei pazienti, bensì per altre strade (solitamente la TV o le inchieste giornalistiche).

Che dire? Ovviamente i ragionamenti di Martino, per certi versi e certi aspetti, lasciano il tempo che trovano. Sono sicuramente d’accordo (almeno di massima) con l’idea che le Università italiche sono un «tramite inutile di un vergognoso baratto che ha luogo fra studenti che non vogliono studiare, vogliono un diploma, e professori che non vogliono insegnare, ma vogliono uno stipendio garantito a vita», ma certamente non sono d’accordo sulla soluzione: e cioè l’abolizione del valore legale del titolo di studio.

Premettendo che quando si parla di ‘valore legale’ si intende l’attribuzione al titolo di quella efficacia giuridica riconosciuta dall’ordinamento a un atto pubblico (e in questo caso della efficacia certificativa che attesta la preparazione specifica del titolato), non si può affatto risolvere il problema della nostra istruzione e del rapporto tra la nostra istruzione e mondo del lavoro, riducendo il titolo di studio a banale ‘pezzo di carta’ senza alcun valore. Non è questa la strada. Il titolo di studio è il coronamento di anni di sacrificio per molti studenti e il suo valore legale è l’input che spinge gli stessi studenti a fare i sacrifici, perché si è consapevoli che la società poi riconoscerà questi sacrifici e il bagaglio culturale che hanno prodotto. Abolire il valore legale di lauree e diplomi è da pazzi. È come se a un certo punto, una persona lavorasse quarant’anni e non gli dessero la pensione. O peggio, è come se una persona si spaccasse il culo sui libri e ottenesse la laurea, e a un concorso pubblico venisse superata da un diplomato o da un titolato. Va bene il merito, ma lo Stato deve valutare il merito a parità di titoli. Perché se è anche vero che un diplomato o un non titolato — forte dell’esperienza o di uno studio intenso estemporaneo — potrebbe avere avuto la capacità di dimostrare maggiori conoscenze in una selezione pubblica, non è affatto garantito che quelle conoscenze rispecchino poi la sua preparazione di fondo o siano entrate a far parte del suo background formativo definitivo. La laurea — di massima — garantisce quantomeno la preparazione di fondo, il background formativo e l’attitudine alla materia, certificandone la non estemporaneità.

Piuttosto, anziché abolire il valore legale del titolo di studio, sarebbe necessario rendere il conseguimento dei titoli più rigoroso. Sarebbe opportuno riformare profondamente le Università affinché le si renda di qualità superiore, magari attraverso un sistema di certificazione nazionale (e perché no?, anche internazionale) che attesti il valore e la validità pratica dei corsi di studio attivati. Sarebbe necessario altresì riformare il corpo docente, per evitare che l’accesso alle cattedre non avvenga per vie familistiche o baronali, ma attraverso severe selezioni che attestino non solo la preparazione tecnica del professore ma anche la sua attitudine a insegnare. Ideale sarebbe un codice deontologico del professore la cui violazione possa portare alla sua sospensione o rimozione.

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di Martino © 2012 Il Jester 


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