Dopo Unknown/Sconosciuto e Il passato è passato (Coconino Press, rispettivamente 2006 e 2008), è l'ennesimo riscontro positivo per la fumettista e illustratrice israeliana, che lavora da una ventina d'anni per riviste, quotidiani e libri per bambini. Ma si sa che anche i libri per l'infanzia e l'adolescenza possono avere qualcosa o molto da dire agli adulti. Credo che ciò valga anche per La proprietà.
Apro il volume e mi ritrovo al gate di un aeroporto israeliano, dove una nonnina vivace e testarda si ostina a non consegnare al funzionario la sua bottiglia d'acqua. «Per favore, butti la bottiglia nel cestino. Mi dispiace, sono le misure di sicurezza», le dicono. Ma lei l'ha pagata, quella bottiglia. Allora, nonostante le proteste dei viaggiatori in attesa, pur di non darla vinta, se la beve tutta. Poi eccomi nel caos di un aereo pieno di studenti esagitati e urlanti in viaggio per la Polonia della Shoah. E mi accorgo di sentirmi a mio agio in questa graphic novel che presenta situazioni così familiari, quando mi sarei aspettata l'usuale clima testimoniale. Poi la vicenda inizia a snodarsi, e la scopro ingarbugliata, anche se di nuovo manca ogni traccia di esotismo o eccezionalità: tutto ciò che accade sembra appartenere a una dimensione di comunissima quotidianità. Però i segreti, gli imbrogli, i raggiri, i doppi fini ci sono, sebbene alleggeriti dall'ironia e dall'umanità che sono tra i segnali più evidenti dell'intento pedagogico del romanzo. In ogni caso, quello che sembra certo è che la nonnina, Regina Segal, è tornata nella sua Varsavia per riprendere possesso della proprietà dei suoi ricchi genitori. La giovane Mica che l'accompagna è sua nipote, che ignora il vero fine del viaggio. Intorno a loro, pare ci siano personaggi interessati all'“affare”. C'è chi desta sospetto, tanto è maldestro mentre insegue le protagoniste per le vie della città. C'è chi sembra solo voler rubare storie private e raccontate in piena fiducia col fine di trasformarle in un fumetto avvincente. Pare ci sia in ballo anche un'occupazione indebita della proprietà. Malintesi e silenzi si intrecciano così in una tragedia degli equivoci, perché poco o nulla è ciò che appare. La verità, che solo Regina conosce, affonda in un passato lontano. La Shoah non ne è che lo sfondo. La “catastrofe” collettiva c'è stata, ma nella Proprietà, e per Regina, a contare è una ferita personale originata dalla diffidenza tra polacchi ed ebrei. Tutt'altra storia o quasi, insomma, rispetto a quella che mi sarei aspettata. È che, per Rutu Modan, dopo la Shoah la vita è continuata. L'israeliana Mica trova infatti un fidanzato il quale non è «von unserer» (uno di noi), dice la nonna, che però concede il suo benestare. Quanto a Regina, è lei stessa, con accettazione serena, a precludersi una storia d'amore: «Quante volte si può ricominciare una vita?». Parole di un'anziana saggia, non stanca né sfiduciata o amareggiata. “Dov'è insomma la Shoah e il dramma di chi vuole recuperare le proprietà di famiglia?”, viene da chiedersi.
Attraversando registri vari (dal comico al sentimentale e al tragico), utilizzando flashback e gestendo la pluralità dei punti di vista tramite una struttura narrativa e una grafica efficaci, La proprietà rivela la solida capacità affabulatoria della fumettista israeliana, ma ci propone anche un modo diverso di guardare alla Shoah, tanto da parte dei sopravvissuti e dei loro familiari, come Regina e Mica, quanto da parte delle società civili. Conoscere, studiare e condividere serve. Immergersi periodicamente nel ricordo di una tragedia privata, no. E rischiano di perdere il loro significato anche le commemorazioni come quelle che affollano il Giorno della Memoria, la cui utilità e il cui valore forse oggi sarebbero da ridiscutere. Quelle commemorazioni contro cui si è scagliata Elena Loewenthal nel suo Contro il giorno della memoria. Una riflessione sul rito del ricordo, la retorica della commemorazione, la condivisione del passato (add editore, 2014). Credo che Elena Loewenthal e Rutu Modan abbiano qualche opinione in comune. La memoria è una proprietà privata che può e a volte deve diventare collettiva. Ma non può e non deve diventare una prigione. Forse è ora di andare avanti, prendendo una sana distanza da eventi tragici di cui è necessario comprendere la portata storica e culturale, ma che certo non richiedono una rivisitazione periodica retorica o falsata, magari alimentata da un buon senso per gli affari. (già qui: http://www.sulromanzo.it/blog/la-proprieta-di-rutu-modan)