Altrove si cerca di farlo per motivazioni diverse. Omicidi politici, addirittura. Eppure non si può.
Evidentemente l’art. 21 a Cuba non esiste. Dobbiamo ritenerci fortunati noi. Il Paese delle garanzie e della democrazia partecipata. Costretto però ad un Governo tecnico – non scelto dal popolo – perché il precedente, scelto dalla maggioranza, non era stato in grado di governare.
E quando anche i più giovani si muovono - non solo dai banchi di scuola - per esprimere dissenso nei confronti di una politica di tagli all’istruzione che, ancora una volta, non garantisce un altro diritto inviolabile, beh cosa ce ne facciamo della sola libertà?
È la stessa che ha permesso a 5 lavoratori senza stipendio da 5 mesi di salire sul campanile di San Marco.
È una libertà generalizzata e generalista. Piuttosto che garantista.
E allora il problema è sempre lo stesso.
Manifestazioni, manifestanti, dissidenti oggi sono il miglior veicolo di comunicazione pre elettorale. Subito tutti ad accogliere i lavoratori arrabbiati negli studi televisivi. Ogni candidato che finalmente ascolta una storia vera con volto sconvolto e preoccupato (?).
Ed ecco che il problema si trasforma in promessa. Quale miglior strategia? Fa notizia, è gratuita, fa scena, viene dal basso.
Eppure per democrazia diretta (oggi partecipata) Rousseau non intendeva esattamente questo. E per strategia di comunicazione politica non intendiamo – non noi – la strumentalizzazione dei bisogni, delle richieste, delle proteste. Altrimenti il pericolo è quello di annullare diritti che si completano a vicenda.
La libertà del popolo sovrano – in ogni sua forma - viene rispettata davvero solo da una politica che sa creare contenuti.
Altrimenti siamo a Cuba.
Serena Fortunato