La protesta: in campagna elettorale diventa una strategia. Per loro.

Da Moscabianca @MoscabiancaZzZ

Nella giornata in cui gli studenti italiani - da Nord a Sud - hanno deciso di scendere in piazza, leggiamo anche dell’arresto di una blogger dissidente cubana, Yoani Sanchez. Fa un certo effetto. Soprattutto una certa indignazione transnazionale.


Qui si manifesta per un Governo sordo. "La nostra generazione scende in piazza contro questo Governo e contro l'Unione Europea, che assieme privano milioni di giovani del diritto all'istruzione, al lavoro e al futuro".
Altrove si cerca di farlo per motivazioni diverse. Omicidi politici, addirittura. Eppure non si può.
Evidentemente l’art. 21 a Cuba non esiste. Dobbiamo ritenerci fortunati noi. Il Paese delle garanzie e della democrazia partecipata. Costretto però ad un Governo tecnico – non scelto dal popolo – perché il precedente, scelto dalla maggioranza, non era stato in grado di governare. 


E quando anche i più giovani si muovono - non solo dai banchi di scuola - per esprimere dissenso nei confronti di una politica di tagli all’istruzione che, ancora una volta, non garantisce un altro diritto inviolabile, beh cosa ce ne facciamo della sola libertà?
È la stessa che ha permesso a 5 lavoratori senza stipendio da 5 mesi di salire sul campanile di San Marco.
E la stessa che ha permesso all’imprenditore di Trieste di stare 48 ore sulla cupola di San Pietro. È la stessa che oggi permette ai nostri politici di promettere soluzioni.
È una libertà generalizzata e generalista. Piuttosto che garantista.
E allora il problema è sempre lo stesso.
Manifestazioni, manifestanti, dissidenti oggi sono il miglior veicolo di comunicazione pre elettorale. Subito tutti ad accogliere i lavoratori arrabbiati negli studi televisivi. Ogni candidato che finalmente ascolta una storia vera con volto sconvolto e preoccupato (?).

Ed ecco che il problema si trasforma in promessa. Quale miglior strategia? Fa notizia, è gratuita, fa scena, viene dal basso.
Eppure per democrazia diretta (oggi partecipata) Rousseau non intendeva esattamente questo. E per strategia di comunicazione politica non intendiamo – non noi –  la strumentalizzazione dei bisogni, delle richieste, delle proteste. Altrimenti il pericolo è quello di annullare diritti che si completano a vicenda.
La libertà del popolo sovrano – in ogni sua forma - viene rispettata davvero solo da una politica che sa creare contenuti.
Altrimenti siamo a Cuba.
Serena Fortunato


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