Queste lezioni sono tenute dal Prof. Enrico Berti, docente di storia della filosofia all’Università di Padova, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, dell’Institut International de Philosophie, della Société Européenne de Culture, della Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie, dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti e della Società filosofica italiana Dal 1983 al 1986 ha presieduto la Società filosofica italiana. Nel 1987 ha vinto il Premio dell’Associazione Internazionale “Federico Nietzsche” per la filosofia. La registrazione di questi video è avvenuta presso l’Istituto di Filosofia Applicata di Lugano nel 2009.
Nella prima lezione il filosofo si concentra sulla prova elaborata da Aristotele.
Aristotele non ha mai proposto esplicitamente prove dell’esistenza di Dio, al contrario dei filosofi della Scolastica. Tuttavia, questi ultimi si sono spesso richiamati ai suoi argomenti.
Nel primo trattato, quello della Fisica (libro 8°, capitoli IV e V), Aristotele cerca la prima causa motrice, cioè la causa del movimento e sostiene che “tutto ciò che si muove è mosso da qualche cosa”.
1) Il movimento pone l’esigenza del “perché”. Secondo Aristotele, il movimento (inteso non solo in senso spaziale, ma come qualunque tipo di mutamento o novità), suscita la domanda del “perché” qualcosa si muove. La causa del “movimento”, della “novità”, non può essere, ovviamente, la cosa stessa che si muove. Dev’essere ricercata in altro. E questo altro, se si muove, è mosso da altro ancora…quindi, non potendo procedere a ritroso all’infinito, bisogna risalire per forza ad una causa prima.
2) Questa causa prima dev’essere immobile. Secondo il filosofo, mutare significa passare dalla potenza all’atto e una cosa, per essere mossa dev’essere in potenza, per muovere deve essere già in atto. Quindi: non si può essere contemporaneamente in potenza e in atto e dunque la prima causa motrice è per forza immobile, è un motore immobile.
Nel secondo trattato, quello della Metafisica (il più famoso, libro 12°, capitolo VI), si concentra invece sulle uniche due cose che sono eterne: il movimento e il tempo.
1) Il movimento è eterno. Non si può ammettere che il movimento (cioè secondo lui qualunque tipo di cambiamento) abbia avuto un inizio e una fine. Se avesse un inizio, cioè se ci fosse stato un passaggio dal “prima” (in cui non c’è) al “dopo” (in cui c’è), questo sarebbe un mutamento esso stesso. Non ci può nemmeno essere una fine perché, se esiste il passaggio tra il “prima” (in cui c’è) e il “dopo” (in cui non c’è più), allora questo passaggio finale sarebbe un mutamento esso stesso. Dunque il mutamento è eterno.
2) Il tempo è eterno. Anche per il tempo se ci fosse un inizio, significherebbe l’esistenza di un “prima” in cui il tempo non c’era, ma definire un “prima” è una definizione temporale. Lo stesso per la fine: l’esistenza di un “dopo” è anch’esso un tempo.
3) Il movimento eterno ha bisogno di una causa. Occorre un motore che muova continuamente l’Universo e che non possa smettere mai. Questo motore è immobile (non muta) ma è attivo perché svolge un’attività. Questa attività è il pensiero: solo il pensiero infatti (un pensiero fisso su una verità: 2+2=4, ad esempio) non produce movimento.
4) Il motore pensa ed è attivo, allora è dio. Il pensiero è una forma di vita, infatti ciò che non vive non pensa. Dunque questo motore immobile, se pensa, è vivente. Se è vivente ed è eterno allora è un dio. Non è Dio, non usa mai questa parola con la maiuscola e senza articolo. Dice un dio. Il primo motore immobile allora è dio, il dio di Aristotele, il principio supremo che governa l’universo.