Cari amici savonesi,
molti, pure politici di primo piano, si propongono di salvare l’istituzione “Provincia di Savona”, formulando anche idee e auspici per il raggiungimento dei 300.000 abitanti (siamo 288.000) prescritti dal disegno governativo.
Avanziamo una nostra idea/contributo che riteniamo, anche, di alto valore sociale, etico e politico: riconoscere la cittadinanza a immigrate/i che ormai da anni vivono, lavorano, contribuiscono, partecipano alla cultura e alla vita sociale del Paese che li ha accolti, hanno frequentato o frequentano (quelli di seconda generazione – in molti casi nati in Italia) le scuole italiane, assolvono ai doveri come i cittadini della Repubblica e, assurdamente, senza godere di un diritto fondamentale.
Vale la pena di mobilitare la politica, le istituzioni deputate a fare le leggi, i partiti, i sindacati, i movimenti, l’associazionismo, i cittadini per un provvedimento di assoluta giustizia, che può nel contempo contribuire a far restare in vita la nostra Provincia?
Ho il dubbio che il testo e l’idea siano troppo limpidi e sensati per poter essere accolti nel labirinto angoscioso e rancoroso delle relazioni politiche e men che meno digerite da una pancia che per molti anni si è nutrita di veleni. Ma certo mette sotto al naso di chi sta cercando di non far morire la provincia una bella tentazione: quella di salvare vere o presunte identità locali proprio attraverso quelli che si crede le minaccino.
Se tutti i nodi stanno venendo al pettine e il pettine stesso rischia di spezzarsi eccone uno che non può essere tagliato con la spada degli slogan e anzi ne mostra tutta la squallida inadeguatezza, il filo usurato. Certo si potrebbe trarne la conclusione che solo di fronte all’altro si può avere consapevolezza di sé, perché è questo che alla fine può essere messo in luce da questa mossa a sorpresa su Savona.
Ma in attesa che questo concetto penetri lentamente nell’Italia degli egoismi e della distrazione, accontentiamoci di vedere la battaglia fra le due tentazioni, la difesa dei più variegati interessi locali oltreché la vanità di campanile e quello di proseguire l’apartheid della cittadinanza nei confronti di persone che ormai da molti anni e lavorano nella città. Alle volte è meglio avere la sindrome dell’asino di Buridano, che essere asini e basta.