La pubblicità e il potere degli stereotipi

Creato il 14 dicembre 2011 da Lipoffaith @federica1204

Lercio, privo di comfort, senza acqua corrente: la comunicazione di The Hans Brinker Budget Hotel, ad Amsterdam, è un unicum che sovverte gli stereotipi di settore.

Gli stereotipi – la generalizzazione di alcune categorie di persone o di oggetti, spesso accompagnata dalla loro esagerazione a scopo peggiorativo – è un meccanismo largamente utilizzato in pubblicità. Forse perché i 30 secondi canonici di uno spot non sono abbastanza per dare vita a un personaggio in carne e ossa. Forse perché stereotipi e pregiudizi stereotipici con il loro ancestrale radicamento nei nostri circuiti neurali sono potentissimi puntelli persuasivi per l’argomentazione pubblicitaria. Fatto sta che, siano spot o cartelloni pubblicitari, gli stereotipi affollano gli storytelling pubblicitari.

Gli stereotipi possono venir usati sic e simpliciter, come paradigma sintetico per descrivere con pochi tratti una situazione, oppure rovesciati sfruttando meccanismi quali la suspence e l’umorismo, in modo da creare effetti potenti di attention getting, intrattenimento e persuasione.

Fanno parte del primo tipo tutte le pubblicità che accentuano gli stereotipi di genere e mostrano la donna cristallizzata in un ruolo machiettistico e standardizzato: tra i cinque eterni femminini più comuni dell’advertising troviamo la supernonna, la coniglietta di bellezza, la femmina alfa, la fashionista e la sempreverde mamma perfetta. Davvero difficile trovare casi in cui le protagoniste degli spot si scostino da queste generalizzazioni.

La campagna stampa per Quattro Salti in Padella Findus (Agenzia McCann Worldgroup) presenta un ritratto della perfetta casalinga d'una volta e insieme strizza con ironia l'occhio alla realtà attuale.

La nuova campagna del brand di abbigliamento Piazza Italia (agenzia Diaframma) chiama a testimonial la gente comune: meccanici, cuoche, papà, universitarie vere. Un tuffo nella realtà contro i media bias.

Oltre agli stereotipi di genere, ampio spazio trovano pure gli stereotipi etnici. Che siano neri, ispanici o cinesi, le pubblicità statunitensi pullulano di generiche mistificazioni di minoranze etniche. Non va meglio nel nostro paese, dove la reclame infierisce su lettoni, cinesi, americani e chi più ne ha più ne metta.

Giovanilismo, gallismo, pregiudizi razziali. Gli spot di Ricky Tognazzi per glassa Ponti rappresentano spesso aspetti semplificatori della realtà, dal ruolo delle donne alle minoranze etniche.

Lo spot per Fiat 500 Abarth sfodera l’immaginario iconografico degli italo-americani per fare presa sul pubblico statunitense. In questo caso l’espediente retorico funziona. E con oltre 2 milioni 200mila visualizzazioni in un mese su YouTube, la comunicazione pure.

Gli stereotipi costituiscono un ritratto della nostra società. Comunque sia, come auspicato dal manifesto deontologico ADCI e come sottolinea in un bell’intervento Annamaria Testa c’è sempre qualcosa che si può fare: «Rompiamo con gli stereotipi. Ridiamone. Coltiviamo visioni. Le aziende possono contribuire allo sviluppo del paese anche creando un nuovo immaginario. Nuove prospettive. … La pubblicità che supera gli stereotipi è positiva o memorabile. E qui c’è una tripla sfida: di orizzonti, di verità e di sogno». Speriamo di riuscire acoglierla, questa sfida, e che la pubblicità contribuisca a traghettare questa società verso lidi migliori.



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