“La quarta persona più importante” di Francesco Franceschini

Da Vivianap @vpicchiarelli

Dio arriva sulla terra e si mette a fare tatuaggi. Una ragazza scappa dal suo destino e insegue la libertà. Si incontreranno, con conseguenze imprevedibili, tenere ed esilaranti.

Sinossi: Essere la quarta persona più importante per zio Ludovico è un cruccio che tormenta Mirka al pari dell’assurda morte dei genitori. Nella rocambolesca fuga da una vita grigia coi nonni, Ludo e Mirka si imbatteranno nella più varia umanità ferita, egoista, rampante e soprattutto incontreranno Dio che ha scelto di fare il tatuatore…
Un romanzo amaramente surreale in cui viene tratteggiata una galleria di personaggi interessanti e singolari che fanno da sfondo al dolore di una ragazzina che deve crescere in fretta sperando in un aiuto da parte degli adulti che, anche nei casi più autorevoli, non sanno che pesci pigliare.

 Questo secondo romanzo di Francesco Franceschini è una sorta di favola metropolitana surreale dal retrogusto amaro che ha il merito di risultare credibile pur nell’assurdo del caleidoscopio di personaggi ed eventi che animano la storia.

Mirka è un’adolescente che deve fare i conti con la morte insensata dei genitori, scomparsi a distanza di una settimana l’uno dall’altra, con dei nonni freddi e impenetrabili, e con uno zio disturbato mentalmente che si prende la briga di portarla via con lui per onorare la promessa fatta alla sorella, madre della ragazza, in tempi non sospetti.

Sono una coppia in fuga, Mirka e Ludo, una sorta di “Thelma e Louise” in salsa familiare e, agli occhi del mondo, potenzialmente equivoca: “Sono in tour senza essere un’artista, anzi se mi fermo e monto il palco in qualche piazza c’è il caso che mi riconoscano e il viaggio è finito. E vado appresso a lui, un parente scemo di giorno e savio di notte, uno svitato per cui il discorso del buio vale al contrario: con la luce lui non si raccapezza.” Eppure Mirka è legata a questo personaggio strambo: “[…] mi ha confessato che per lui sono la quarta persona più importante al mondo. Solamente la quarta: speravo meglio.” “[…] essere la quarta persona più importante per qualcuno non è poi cosa da poco, ma insomma non è neppure troppo incoraggiante. È un fatto di prospettive.” Mirka scappa con questo zio, senza fare resistenza alcuna perché ci dice: “Ho bisogno della risposta, di più d’una se ce n’è più d’una, di spiegazioni dettagliate. I dettagli sono fondamentali. […] Tutto, dal principio alla fine. Tutto. Così che possa mettervi da parte, amarvi di nuovo o odiarvi ancora più forte, a seconda delle risposte.” Mirka ha bisogno di capire il perché della morte dei genitori, il motivo della loro resa. E non c’è occasione migliore se non quella fornita dalla venuta improvvisa di Dio sulla terra, una notizia da edizione straordinaria urlata al mondo direttamente dalla sala stampa vaticana. Una notizia, questa, che sembra momentaneamente mettere in disparte quella sulla loro scomparsa e che, allo stesso tempo, sconvolge l’universo che gravita attorno ai due appena il tempo di uno zapping. Ne sono prova i personaggi sopra le righe, poco più che toccati dal trambusto scatenato dall’arrivo di Dio, che i due incontrano durante la loro avventura: da un ispettore dell’azienda dei trasporti che fa celebrare un matrimonio post mortem tra il fratello e la fidanzatina di cinquant’anni prima, perita in giovane età, a un cravattaro su una sedia a rotelle a cui si erano rivolti per avere un prestito, passando per una giornalista senza scrupoli – soprannominata la fatua turchina – fino a una poliziotta lesbica. E, poi, c’è lui: Dio. Un tatuatore. Un energumeno con le fattezze da camionista: “La faccia, un campo minato di guizzi, folti baffi da socialista, canotta con l’emoticon a forma di lenticchia che digrigna i denti, muscoli gonfiati dagli steroidi, piercing come glieli avessero sparati con la mitragliatrice: sulle labbra, le orecchie, le sopracciglia, il naso. Tatuaggi che gli scendono dalle spalle fino ai polsi, dietro la schiena s’azzuffano a conquistare centimetri di pelle, s’imboscano sotto i peli e spuntano dai bermuda fino ai piedi in un attorcigliarsi di code, ali, spire”.

È un incontro/scontro quello tra Mirka e Dio. Lei cerca risposte, vuole sapere di sua madre e di suo padre, lui le dice che le invierà una mail o al limite le telefonerà e, più avanti, arriverà addirittura a farle firmare una sorta di contratto in cui il Padreterno non si assume responsabilità alcuna per eventuali tragedie in cui la giovane dovesse imbattersi in futuro. Del resto, è un dio fin troppo indaffarato a rilasciare interviste e a pasticciare con la pelle delle persone (si è scelto, non a caso, il mestiere del tatuatore per palesarsi al mondo visto che “il guaio è che fare dio non è un mestiere, non so nemmeno io cos’è”) e che non esita a mettere le mani avanti: “È che avete aspettative un po’ troppo alte: sono solo dio.” E ancora: “Io sono il principio di tutto, anche degli affari. [I soldi] sono graditi ma non indispensabili. Vanno bene anche voti, proponimenti, buone intenzioni, purché siano rispettati, altrimenti vengo a chiedere il conto: disastri, malattie, povertà. Mi devo pur tutelare: funziona così.” È un dio che ci tiene a puntualizzare la sua vera natura: La fede è il photoshop con cui mi abbellite. Io sono meno attraente di come pensate, sono un perdigiorno, mi piace oziare, il mondo mi interessa quanto mi può interessare a un bambino un vecchio pallone da football.[…] Siete convinti che se esisto devo essere per forza infinitamente buono, misericordioso, caritatevole: sono facoltà che mi avete cucito addosso voi. Avete esagerato e poi vi lamentate se non sono così.” È un dio non crudele, ma semplicemente disinteressato a ciò che avviene nel mondo: “Le cose accadono senza che io ci metta quasi penna ma so dar loro un senso. Che poi non rispondo a tutti, è vero ma non per mancanza di tempo: casomai per poca voglia. Oppure vado a simpatia.”

Mirka otterrà delle risposte, come tutti i personaggi, del resto. Ma sono risposte che nessuno di loro voleva sentirsi dire. Fa specie, poi, realizzare che siano le medesime dinamiche a cui tutti noi siamo abituati. È come specchiarci nel modo arguto, tagliente e schietto con il quale questa adolescente affronta i propri demoni e cerca di metterli a tacere invocando l’intervento di chi, dicono, stia sopra di noi e per noi. La presa di coscienza, però, non può che essere amara: Facciamo troppe promesse che poi non sappiamo mantenere e dovremmo stare tutti quanti un po’ più tranquilli. Navigare a vista, contentarsi della felicità minima quando c’è e non stare lì a calcolare quanto durerà. Tanto l’amore e il coraggio non sono fratelli e alle storie che finiscono allegre non crede più nessuno.

Eppure, una speranza c’è, è quella speranza che ti fa sentire importante, anche se sai di essere la quarta persona più importante perché prima di te ce n’è solo un’altra, che vale tre, è vero, ma è solo un’altra. È quella che si è preoccupata di lasciarti le scarpe, simili alle sue, affinché tu possa indossarle per proseguire con la tua vita, sebbene brucino le speranze disilluse e il progressivo distacco delle persone che ti avevano promesso un finale diverso.

Un’altra prova graffiante, questa di Franceschini, dopo il fortunato “Apocalisse in pantofole”.

Leit motiv dello scrivere dell’autore è senz’altro il ricorso massiccio a figure retoriche dall’effetto straniante che, assieme alla trama e ai personaggi, già di per sé sopra le righe, rendono l’assurdo tutto fuorché alienante. È indubbio che dietro alla storia si registri una certa rabbia, quasi un senso di disfatta e di rancore nei confronti di chi avrebbe dovuto tutelarci e che invece pare essersi dimenticato di noi: il tatuatore/Dio. Un sentimento, questo, potenzialmente condivisibile da tutti prima o poi nella vita quando ci troviamo a fare i conti con la perdita, improvvisa, lacerante e inspiegabile, di chi amiamo. Ma Franceschini lascia che sia un’adolescente ad affrontare questo Dio così sbadato e, a tratti, insensibile. E per quanto il finale getti un’ombra di lucida amarezza, è indubbio che Mirka diventerà un’adulta e che avrà il tempo e il modo di credere ancora che qualcosa di bello possa accadere. Perché così è giusto che sia. C’è quindi un’inconsapevole speranza che va annusata tra le righe e che speriamo possa manifestarsi con forza nei prossimi lavori di Franceschini.


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