È infatti questa la storia di Anna, una sedicenne che arriva con la madre nella New York degli anni Venti. Attraverso la narrazione in prima persona conosciamo le coordinate del suo vissuto e dunque della sua eccezionalità. Anna vuole essere normale, o almeno passare per tale, ma la verità è che non c’è davvero nulla di ordinario in lei. E non solo perché la sua attività è fare da assistente alla madre in uno spettacolo di mentalismo e di prestidigitazione, ma anche perché la vita da vagabonda che ha fatto insieme alla peculiare genitrice, dal pomposo nome d’arte di Madame Marguerite Estella Van Housen, l’ha resa ben più forte delle sue coetanee e capace di cavarsela in ogni tipo di situazione, tipo fughe dal carcere, aggressioni ed effrazioni in mezzo alle quali è, suo malgrado, capitata durante la sua infanzia. Non a caso porta nella borsetta un bel coltellino, non esattamente da collezione, e, cucito nella manica, un piccolo grimaldello, in caso dovesse servire. Nella sua cassetta segreta, quella dove le adolescenti tengono le loro preziose sciocchezze, lei conserva gelosamente una collezione di manette di tutti i tipi, da far invidia a Houdini.
Eccolo: Houdini. Un mito per lei e non solo per le eccezionali capacità, ma perché sua madre continua a dirle che lui è suo padre, benché qualche dubbio Anna ce l’abbia. Eppure non è l’attività che svolge a contraddistinguerla, non solo la sua particolare bravura come prestigiatrice nell’introduzione al più importante spettacolo della madre, bensì qualcosa che Anna non ha mai svelato a nessuno, nemmeno quando per sbarcare il lunario le due donne, grazie al carisma materno, organizzano sedute spiritiche, fuori legge in quel periodo negli USA e assolutamente false. Il segreto di Anna consiste nel fatto che lei ha davvero degli strani poteri: riesce a sentire le emozioni delle persone, riesce a leggere nei loro cuori e – scopre con grande spavento – sembra poter fare altre cose davvero inquietanti. Finalmente la sua vita sembra aver trovato un minimo di stabilità, grazie a Jacques, misterioso impresario che ha trovato per Madame Van Housen e la sua giovane assistente un ingaggio stabile e sufficientemente lucroso da non doversi più preoccupare per il cibo. Eppure proprio ora qualcosa giunge a sconvolgere quell’equilibrio e quel segreto. Qualcosa che ha l’apparenza di due giovani pretendenti: Owen e Cole, molto diversi ma a loro modo rassicuranti. Anna non sa di chi fidarsi – e questo a sedici anni può capitare – ma di sicuro non si fida della madre e di qualcuno che attorno a lei pare potenziare quel dono non gradito e piuttosto pericoloso.
L’autrice, Teri Brown ci accompagna molto bene in questa esplorazione, senza banalità e con accenti di verità. Il carattere di questo io narrante è molto sfaccettato, forse troppo! Ecco, questo è forse il particolare che ho trovato un po’ stonato nella vicenda: per quanto Anna abbia vissuto molte più esperienze di qualsiasi ragazza della sua età, per quanto grazie al suo carattere controlli i cordoni della borsa e tenga pulita la casa, faccia la spesa… insomma per quanto sia lei a mandare avanti la baracca e dunque risulti per questo più matura delle sue coetanee, non sembra proprio una sedicenne. È come se l’autrice avesse immaginato una ragazza più grande e poi abbia abbassato l’età per qualche motivo, magari di tipo editoriale. È una mia illazione naturalmente, ma è l’unica stonatura che mi sovviene. Il triangolo procede senza troppa infamia e senza particolare lode, i caratteri sono abbastanza ben delineati e decrittati dal punto di vista incerto e dubbioso della giovane protagonista.
Per il resto, il tema fantastico, i poteri soprannaturali, gli accadimenti senza spiegazioni, uniti alle capacità di prestidigitazione di Anna, che vuole rivaleggiare con la magia del suo presunto padre Harry Houdini, sono perfettamente disciolti nella trama. Non ci sono colpi di scena fulminanti, ma una tensione sapientemente distribuita, insieme alla crescente consapevolezza della ragazza.
Cos’è allora che rende per me questo libro non facilissimo da recensire? Non appare, ripeto, un libro eccezionale, per nessun aspetto, per quanto sia intrigante come trama e estremamente scorrevole da leggere. Il punto è che risulta un meccanismo perfettamente congegnato, con una cura estrema, con attenzione certosina ai vari aspetti che dovevano contraddistinguere la storia. Appare, questo romanzo di Teri Brown, come quei marchingegni degli illusionisti, che rendono semplici e naturali magie impossibili. Credo che insomma l’ingrediente segreto sia stato un editing particolarmente attento, una professionalità consumata nel dosare con sapienza tutti gli aspetti, un perfezionismo che deve essere stato dell’autrice come di chi l’ha aiutata a limare il suo lavoro. Si legge questo libro come si guarda un film ben confezionato. Non è l’eccezionalità a stupire, ma l’equilibrio.
Wilbur Smith in un’intervista ha parlato di se stesso in questi termini: “Io non sono uno scrittore letterario, sono uno storyteller. Per uno scrittore letterario ogni parola è intoccabile e inviolabile, per me è la storia ad essere la regina del romanzo, le parole servono solo a portare avanti la storia”. Ho trovato molto interessante questa differenziazione nella figura dello scrittore: la Brown non è forse un’autrice di “letteratura”; come molti autori anglosassoni sarà forse una mestierante o avrà iniziato così, dato che pare abbia già pubblicato sotto pseudonimo, per quanto non si possa certo vaticinare sul suo futuro. Il suo narrare non porta a illuminazioni interiori particolari, non crea suspense adrenalinica o shock estatici nelle scene d’amore, ma, in verità, racconta che è una meraviglia. La storia scorre perfettamente. E davanti a questa capacità, che volete farci? Io mi scappello.
Autore: Teri Brown
Titolo: La ragazza che leggeva nei cuori
Titolo originale: Born of Illusion
Traduttore: Elisabetta De Medio
Editore: Corbaccio
Pagine: 320
Prezzo: € 14,90, rilegato ; € 9,99 e-book
Data pubblicazione: 9 gennaio 2014
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