MONOLOGO
“La ragione”
di Flavia Altomonte
Se non avessi ragione di credere a tutto, mi sentirei più sollevata. Ma la ragione c’è, onnipresente, e pretende qualcosa in cambio.
Non ho che un mucchio di libri, in cambio. Un bauletto di ricordi, un cassetto di cianfrusaglie e uno scaffale di dialoghi e monologhi. Quelli a cui ogni tanto è giusto dare una spolverata. Avrei ragione di credere che tutto mi può servire. Ma forse no! Che dico? Essere questi strani esseri che siamo non è per niente facile, per essere. Falla semplice tu, che osservi.
Anche a me piace osservare questi dettagli, scrutarli e cercare di capire. Ma non mi è sempre possibile. Certe volte è già difficile farsi capire, figurarsi capire.
Se non avessi il tempo che c’ho di ragionare, farei tutte quelle cose che non è razionale fare. Ma sto in silenzio e ascolto perché ragiono.
Diavolo! come ragiono se ragionare significa comprendere.
Ma c’è una cosa che non capisco, una cosa talmente sottile, che chiamarla cosa è davvero tanto riduttivo che mi verrebbe di chiamarla “niente”.
Niente è quello che capisco. Niente quello che penso, e niente quello di cui parlo. Volete che vi parli di niente?
L’avrete incontrarlo almeno una volta nella vostra vita. In un discorso a metà, in una strana sensazione, in quello che avete visto, fatto e pensato. Almeno una volta tutti hanno visto questo niente. Alcuni lo conoscono talmente bene che hanno deciso di andarci a convivere, altri se lo sono sposato e altri ancora l’hanno ucciso. Da me ogni tanto torna, ma per fortuna riesco a non stargli molto vicino. Appena arriva mi guarda dentro, mi fa cenno di esserci, e in quel momento lo scaravento il più lontano possibile. Lui non si arrende quasi mai, e allora torna.
Fa la stessa cosa di prima ma stavolta con più forza. Mi vuole stravolgere. Fa a pugni con la mia ragione, mentre cerco di schiavizzarlo, assoggettarlo e insultarlo per allontanarlo. Questo processo dura un paio di ore, poi si stanca.
Getta la sugna, da’ segni di resa, ammacca la testa e si porta via… illusivamente via.
Allo stesso modo di quando esce una persona dalla vita di un’altra. Quando è proprio la prima persona a deciderlo, mentre l’altra non vuoi che vada via, al momento dell’addio ti lascia così tante cose che traboccano. Alcune cose si fanno una passeggiata e tornano, altre cose preparano le valigie e partono per un lungo viaggio.
E chi può mai saperlo quanto dura questo viaggio? La lunghezza è un valore troppo generale e relativo. Si può star via tre giorni e sentirli eterni. Dopo l’addio c’è la rabbia, dopo la rabbia l’attesa e tutto si assesta.
Se è vero che funziona così siamo degli esseri assestati. Assestati dalle lunghe attese della vita.
Ed è un discorso sempre troppo giovane quello dell’attesa, del tempo e della ragione. Talmente giovane che non cambia, non invecchia, non muore mai.