La rara convergenza delle rette parallele, o un incontro improbabile con Bret Easton Ellis

Creato il 17 gennaio 2012 da Sulromanzo

Torino, 1993, appartamento in affitto, tre studenti universitari cuneesi. Mi sveglio, sul tavolo c’è un foglio ciclostilato, una pagina battuta a macchina. Titolo, in maiuscolo: Ragazze.
Leggo.
Chiedo: chi l’ha preso questo, e dove? Il coinquilino: io, ieri sera, a un concerto hardcore.
Al fondo del ciclostile, una firma: Bret Easton Ellis, American Psycho.
Mi fiondo in libreria, acquisto il romanzo (nella pessima edizione Bompiani).
E’ amore: questo scrittore è un genio.
Metà di quelli cui nel corso del tempo lo regalo dicono: è un genio.
L’altra metà dice: tu hai problemi mentali.
Nel capitolo Ragazze, Patrick Bateman tiene a digiuno un topo per una settimana, poi infila nella fica di una ragazza tramortita da qualche mazzata un pezzo di formaggio, poi infila il topo all’ingresso della vagina. Quando fuoriesce, scrive Ellis, il topo ha inspiegabilmente trovato spazio per girarsi all’interno della cavità vaginale.
L’assoluto capolavoro, questo American Psycho di cui è noto il caso editoriale (“Se c’è un pubblico che ama queste cose, noi gli daremo queste cose”, la celebre frase dell’editore che per primo ebbe il coraggio di pubblicare quel manoscritto scartato da tutti).
Meno di zero, Acqua dal sole, Le regole dell’attrazione, Glamorama, Lunar Park: recupero l’edito, e quando sta per uscire l’inedito io sono quello che si trova il giorno esatto davanti alla vetrina della libreria.
Come un disadattato, con sindrome di mancamento, che subisce la distanza anche fisica.
Insomma, lui è americano, vive tra NY e LA, io sono un ragazzo di campagna trasferito a Torino, cioè dai: stiamo parlando di due galassie, il teorema delle convergenze parallele è soltanto una macro cagata che qualche politico poteva sputare dall’ossimorico linguaggio, appunto, della politica.
Invece.
Succede che.
La scorsa estate….
Da mesi si parla dell’uscita di Imperial Bedrooms, io aggiorno stati su facebook implorando Culicchia (che non è su facebook, ma sono un disadattato delirante e maniaco) di sbrigarsi con la traduzione, annoto il numero dell’Einaudi e sono più volte lì lì per chiamare.
E’ l’estate del 2010 e un giorno ricevo la telefonata di una conoscente.
“Bret Easton Ellis, lo sai, sarà ad Alba”, dice.
Mi prende in giro.
“E’ vero, credimi, viene per Collisioni”.
Collisioni è un’interessantissima rassegna che un gruppo di giovani amanti della cultura con l’aiuto di un illuminato assessore e di qualche politico intelligente ha creato dal nulla qualche anno fa in un paese immerso nelle Langhe altrimenti avide di soldi.
Nell’ambito di questa rassegna perpetua (un evento che dura più giorni a Novello, provincia di Cuneo, di solito ai primi di maggio, e poi incontri con autori di fama internazionale perlopiù nella vicina Alba), Bret Easton Ellis sarà nelle Langhe.
Rinvengo, e dico: ah.
“Tu sei a Torino, vero? Mi chiedevo, ci chiedevamo…ti andrebbe di portare giù Ellis?”
Portare-giù-cioè-da-Torino-ad-Alba-Bret-Easton-Ellis.
“Io?!”
“Sai, di solito mandiamo l’autista. Ma è sempre bene, siccome non conosciamo mai gli autori, come possono essere…è sempre bene che trovino qualcuno che conosca la loro opera. Poi, Ellis….”
Sì, è matto.
Dico sì.
E vado nel panico.
Perché io in inglese sono una pippa.
Quindi mi dico: e adesso?
Consideriamo che siamo ai primi di agosto, e che la data è il 14 ottobre.
Riprendo le vecchie cassette: hallo, how are you?
Su facebook incomincio a scrivere in inglese e una cara amica mi crocerossina correggendo ogni errore.
Riprendo la grammatica: mi areno al present continuous.
Intanto i giorni passano, finché succede questo: Collisioni mi richiama e dice: abbiamo deciso di prendere un autista, ma ci daresti comunque una grossa mano se potessi portare giù gli altri che scenderanno da Torino con Ellis.
Sollievo: l’ansia mi abbandona e io abbandono l’impossibile intento di imparare l’inglese in un mese e mezzo.
Il giorno dell’appuntamento, alle 17.30 sono nella hall di un albergo del centro di Torino.
L’entourage di Bret Easton Ellis: Giuseppe Culicchia il traduttore, tre o quattro dirigenti Einaudi, e Paolo Maria Noseda l’interprete.
Sono nella hall dell’albergo con tutte queste persone, mi presento come l’autista non ufficiale, arriva intanto l’autista ufficiale, affondiamo nelle poltrone in pelle umana, nessuno mi caga.
Sono anche vestito da autista: completo grigio, camicia bianca, scarpe nere.
Ellis è ancora in stanza.
Quando scende, fa un breve cenno al gruppo Einaudi e va a lamentarsi di qualcosa al banco del concierge.
Quando ritorna, mi è davanti.
Appare: gigantesco, mi guarda e mi parla.
Io: muto.
Mi dice: Hi, i’m Bret.
Io capisco e dico: hi, i’m Mark.
E lui: hi, Mark.
Mi dà la mano.
Ecco, vorrei dire mille cose, ho decine di cose da dire all’uomo, lì e davanti, che ha cambiato la mia vita di lettore, la mia vita di uomo, che ha modificato i miei comportamenti in maniera manifesta, significativa come pochi altri autori, se è vero – ed è vero – che leggere cambia la vita, le parallele convergono – è possibile, sto pensando – e ci si incontra, penso a LA, NY, Alba, Torino, sono le ore 17.50 del giorno 14 ottobre 2010, siamo in via Pomba, a Torino, Bret Easton Ellis è davanti a me, nessuno mi ha cagato dell’Einaudi ma è un onesto chissene, il punto è che io so chi sono e so che cosa ho da dire, non faccio il taxista, io sono lì perché conosco la tua opera, Bret, della tua opera potrei parlare con chiunque di quelli dell’Einaudi se solo mi avessero chiesto, Bret, capisci quello che ti voglio dire, che potrei dirti?, e la risposta è: no, certo che non lo capisci, perché non parlo inglese, ho fatto francese, nemmeno per lavoro mi è mai servito l’inglese (non faccio il taxista!), e niente, ci guardiamo, gli istanti finiscono, è ora di partire, si va ad Alba, Bret va verso l’uscita, io sono un palo.
Le auto: su quella dell’autista vero: Bret, un dirigentone Einaudi, Culicchia.
Sulla mia, pulitissima 307 marcia: un dirigente Einaudi, una donna Einaudi (forse dirigente), e il grande Paolo Maria Noseda.
Paolo Maria Noseda merita una parentesi. Io non lo conoscevo, cioè non guardo la tv e principalmente lo conoscono quelli che guardano la tv, Paolo è l’interprete che tra le altre cose traduce gli ospiti anglofoni di Fabio Fazio, a Che tempo che fa. Ci ho fatto, con Paolo, un’ora di andata e un’ora di ritorno, io al volante lui dietro. Nel suo lavoro è un talento mondiale, ha avuto e ha una vita straordinaria che racconta come davvero lavorasse all’agenzia delle Entrate di Savona, qui voglio dire che poche volte nella mia vita nel tempo da 0 a 2 ore una persona ha lasciato in me un ricordo così forte di grandezza: Paolo è un grande in senso letterale, di quelli che non hanno bisogno di sfoggiare nozioni e cultura per fingere una grandezza di pensiero, Paolo ha un’ingenita grandezza che rende piacevolissimo ogni discorso, ogni dialogo, ogni relazione.
E Paolo deve prendere le Fisherman’s friend: Bret si è assicurato, le vuole.
E io mi fermo a ogni tabaccaio di Torino, che non ha le Fisherman’s friend, e poi infilo l’autostrada.
Il primo autogrill non ha le Fisherman’s friend.
Il secondo autogrill, a Marene, bingo!: ha le Fischerman’s friend.
Arrivati ad Alba, quelli in auto con me e il gruppo in auto con l’autista ufficiale finiscono a cena al ristorante Piazza Duomo di piazza del Duomo, dal maestro chef Enrico Crippa: uno dei migliori d’Italia.
Migliori e più cari: io vengo estromesso.
“Ci sono pochi soldi”, mi dice il capo di Collisioni.
A quel punto ripiego a fare aperitivo in piedi in un bar con il resto dell’organizzazione.
“Ma non ci vado nemmeno io a cena”, si giustifica il capo di Collisioni.
All’aperitivo, l’opportunità, anzi: l’Opportunità.
“Che ne dici se prendi Ellis all’uscita dal ristorante e lo porti all’ingresso sul retro del teatro?”
Di Alba conosco ogni vicolo, il ristorante e il teatro sono vicini ma Ellis non può, effettivamente, arrivare a piedi in mezzo alla folla che arriva a piedi.
Così alle 20.55 eccomi in piazza del Duomo, nel centro di Alba, la mia 307 in barba a ogni divieto di circolazione, zona pedonale e euro3 o 4, in giro non c’è nessuno se non la mia conoscente (che parla inglese) e io che aspettiamo che Bret e il gruppo Einaudi escano dal ristorante.
Escono.
“Mangiato bene”
“Benissimo”
“Che mangiata”
Bret mi si avvicina.
Io sto fumando.
Mi guarda.
Dice: “It’s a good idea”.
E tira fuori una sigarettina di quelle sottili, quelle che il mondo medio maschile chiama da zoccola, e se l’accende.
Sfumazza passeggiando sulla piazza e guardando le case che danno sulla piazza.
“Bella questa piazza”, si sente dal gruppo Einaudi.
“Go?”, o qualcosa del genere, e quando finisce la sizza in qualche modo gli faccio capire che i boys dell’Einaudi vanno a piedi e lui, invece, viene con me.
Sale sulla mia 307.
Davanti.
La mia conoscente dietro.
Accendo.
Conosco tutti i vicoli di Alba, studio in quaranta millesimi di secondo il percorso ottimale per il retro del teatro.
Parto.
Brum.
Ed è qui le che rette parallele si incontrano.
Bret Easton Ellis è sulla mia auto.
Ritorno al 1993, a quell’appartamento di cuneesi a Torino, di campagnoli che si contaminano di cultura urbana, a Ragazze.
La domanda che gli farei fossi uno del pubblico è: Bret, sei più o meno malato di mente di un tuo lettore medio?
Ma non me ne frega un cazzo a quel punto di fare domande, sto guidando verso il retro del teatro e ho Bret Easton Ellis accanto a me, dal suo grembo esorbita un profumo di tartufo estremo, tartufo dono del padrone del ristorante, e la ragazza dietro gli sta chiedendo della cena, e Bret annusa il tartufo e io, io non parlo.
Annuso, annuso, annuso invece ogni centimetro di strada che la mia auto percorre, lungo i vicoli, ogni secondo che passo in quella situazione intergalattica, infragalattica, riscrivo ogni teoria sullo spazio e sul tempo, penso a come siamo arrivati lì e ora, mi godo i minuti che ci portano sul retro del teatro.
Arriviamo sul retro del teatro e l’aria è ancora sospesa: è ottobre, ad Alba fa già freddo e non c’è nemmeno un rumore nel centro storico, dalle abitazioni nessun Striscia la notizia o bambini che piangono, niente: siamo Bret, la ragazza, io e Mario il brillante tecnico del teatro sociale di Alba che ci apre e ci invita a entrare.
Entrano.
Io li lascio passare, e scatto una foto. Di schiena.
Una foto di merda, ma non la voglio la foto del fan.
Meglio autista che fan.
Entrano.
Entra.
Inizia lo spettacolo, inizia la presentazione di Imperial Bedrooms.
La guardo da dietro le quinte.
Finisce la presentazione.
Poi il ritorno.
Non ricordo se ci siamo salutati o no, se ci siamo ancora dati una volta la mano.
Verso Santa Vittoria d’Alba, il dirigente Einaudi dice: “Non sapevo che Morandi avesse fatto anche nature morte”.
La dirigente Einaudi risponde: “Uh, nemmeno io”.
Per capire il tono, immagina una madama della collina torinese con la erre moscia.
Il grande Paolo dice: “Delle Fisherman’s si è poi ricordato, me le ha chieste”.
E dice: “Ha firmato tutti i libri. Accanto alla firma, metteva delle stelline. Prima faceva un commento con me, a voce bassa. Tre stelle buono, quattro super. Nessun cinque stelle stasera. Lo fa sempre: chi riceve il libro lo non sa che cosa significa”.
Quanto è bono, secondo Ellis, l’uomo che gli porta il libro per l’autografo.
Gli chiedo se mette anche i responsi negativi, tipo una stella fai schifo amico mio.
Ascolto Paolo e i suoi racconti, Paolo racconta di Bret, che assecondano in me l’idea che Bret Easton Ellis sia un genio, un genio del male, e che la persona non sia così distante dai personaggi che crea, e penso che la risposta alla domanda che gli avrei fatto sia sì, sono probabilmente malato di mente tanto quanto un mio lettore medio, solo che so scrivere molto meglio.
E ho più coraggio.
Qualche giorno dopo Bret, da Fazio, dirà di aver perso il tartufo nei bagni del teatro di Alba, e io non so se sia vero, così come non ho mai capito come un suo personaggio abbia potuto perdere un motorino che aveva noleggiato sull’isola di Santorini, e alle distanze e ai cieli e alle parallele che qualche volta si incontrano, a tutto questo penso mentre proseguiamo verso Torino nella notte piemontese.

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