La rassegnazione viene definita una disposizione d’animo conformata all’altrui volontà o/e ad una forza ineluttabile; è evidente che il riferimento non è a quella logica rassegnazione per cui si accetta ciò che non può essere evitato come la morte, ma allo spirito di passività, di supina acquiescenza di fronte alle situazioni sfavorevoli. Questa disposizione d’animo si collega al preconcetto in base al quale il destino, da che mondo è mondo, dà il bene a pochi e il male ai più. Si dice che in questo mondo siamo di passaggio e che la nostra meta eterna è al di là. Nella permanenza breve su questa Terra dobbiamo fare il possibile per guadagnare l’eternità nel Paradiso. Vivere gioiosamente, contentarci di poco, nei disagi, rassegnarci di fronte alle avversità, superare le prove con fede. Passa più facilmente un cammello nella cruna dell’ago che un ricco in Paradiso… così lo spirito della rassegnazione è consolatorio nella considerazione che è bene accontentarsi anche di un proprio misero stato sociale perché i poveri starebbero male sulla Terra e bene in Cielo. Ma lo spirito di rassegnazione avvilisce e nega il diritto di agire in proprio vantaggio. La rassegnazione scuote sconsolata la testa: Così è sempre stato e così sempre sarà. Questo stato d’animo fa il gioco della potente ricchezza e della cultura dei pochi che hanno come presupposto inevitabile la miseria, la servitù, l’ignoranza dei molti.
SENZA TITOLO
La società recidiva
senza occhi
senza voce
senza orecchie
reprime immensità di nuova vita
in metafore di vista, di urli, di udito.
La compagine povera che soffre
percepisce ciò che nessun potente
potrà mai imitare o soffocare.
Una nuova èra avanza
nell’aria e nel sangue
già volteggia e pulsa.
Nel sapere di chi non sa
l’alba e il tramonto
è ancora alba e tramonto.
Ma se il tramonto
si chiamasse alba?
E se l’alba
si chiamasse tramonto?
E se la morte della ricchezza
si chiamasse vita?
-Renzo Mazzetti, Orizzonti, Libroitaliano, Ragusa 2001