Salve gente! Come procede quest’estate? Spero bene. Io, dopo incursioni britanniche e relax maremmano, in questi giorni sono riuscita di nuovo a leggere con un ritmo decisamente soddisfacente. I libri mi mancavano…
Tra le mie letture di questi giorni, c’è stato un libro che ho comprato molti e molti mesi fa perché attratta da un titolo entratomi subito in testa senza abbandonarmi, carico di suggestioni per cu ho avuto sempre un debole. Il libro in questione è Le luci nelle case degli altri di Chiara Gamberale.
Titolo: Le luci nelle case degli altri
Autore: Chiara Gamberale
Editore: Mondadori
Anno: 2010
Pagine 392
“
Mamma. Per tutto il tempo in macchina, fino a quel posto assurdo dove per la prima volta avevo trovato ad aspettarmi tutte ma proprio tutte le persone che conoscevo (che non erano poi così tante, ma vederle tutte assieme faceva un certo effetto), non mi era venuto in mente nient'altro. E ancora, seduta su quei gradini freddissimi mentre tutte le persone che conoscevo facevano no con la testa e piangevano e si abbracciavano, con le ginocchia allacciate al petto non riuscivo a pensare qualcosa che non fosse mamma. Mamma, mamma, mamma. Non c'era verso. Mamma, mamma, mamma. Mi alzavo a fare un giro e ripetevo mamma, impossibile fermarsi, mamma, mamma, mamma, le persone mi accarezzavano la testa e io dicevo mamma. Povera Mandorla: loro, io solo: mamma, mamma, una cosa da vergognarsi, mamma, mamma, almeno i registratori se s'incantano hanno un tasto con su scritto STOP per smetterla, pensavo, e allora mi cercavo quel tasto addosso, fra i pensieri, le parole, il cerchietto che mi aveva regalato la signora Polidoro, i capelli, le orecchie, ma non lo trovavo, e continuavo: mamma, mamma, mamma, mamma, mamma.
”
Maria è la giovane amministratrice di un condominio di 5 piani situato in via Grotta Perfetta 315 a Poggio Ameno. Maria è una ragazza allegra, eccentrica, diversa da tutti gli altri perché piena di fantasia e voglia di vivere, sempre controcorrente. Maria ha una figlioletta di 6 anni di nome Mandorla. Un brutto giorno Maria fa incidente con il motorino. Resta Mandorla con una lettera scritta dalla sua mamma. Restano i condomini di via Grotta Felice a piangere la giovane donna e a interrogarsi sul futuro di Mandorla. Sarà la lettera che Maria ha scritto e affidato a sua figlia a suggerire una via di uscita. In quella lettera, infatti, Maria svela che il padre di Mandorla, che la bambina non ha mai conosciuta, vive proprio nel loro condominio. Gli abitanti del palazzo, sconvolti dalla rivelazione, decidono di non scoprire mai chi sia il padre della piccola e decidono di adottare Mandorla e di farla crescere nel condominio. Mandorla vivrà con tutti i condomini e crescerà con le loro famiglie mentre sale sempre più su, dal primo piano dove vive la signorina Polidoro, fino al quinto piano del ingegner Barilla con la sua famigliola “felice” composta dalla moglie Carmela e dai figli Giulia e Matteo.
Inizia così la storia di Mandorla. Inizia con un grande dolore che si spalmerà lungo 5 piani e tutta la sua infanzia e la sua adolescenza, fino a quel momento in cui, chiusa in una cella e con una notte a disposizione per mettere insieme la Verità ricercata dal suo avvocato, Luciano Pavarotti (senza alcun legame di parentela con il tenore), Mandorla non riuscirà a riannodare le fila della sua vita scombussolata e decisamente fuori dalla norma. Fino a un finale a sorpresa.
Chiara Gamberale ci racconta una storia dai tratti originali, cogliendo l’occasione per riflettere sul concetto e il significato di “famiglia”. In uno stile molto lineare e un linguaggio che cresce insieme alla protagonista – dalle frasi semplici e i racconti ingenui della bambina durante la sua permanenza a casa di Tina Polidoro alle riflessioni intricate e ribelli della sua adolescenza da Lidia e Lorenzo o dai Barilla – la protagonista ci mostra i molti modi di essere famiglia e di amare: l’affetto della vecchia “zitella” Tina Polidoro che ha una famiglia fatta di persone a lei care ma immaginarie, con cui la notte, indossato il suo vestito con le margherite, parla per riempire il silenzio assordante della sua vita; l’equilibrio instabile e inesistente di una coppia che sta insieme più per la paura di stare soli che per vero amore, dove a un’avvocatessa forte e sicura su tutto tranne che sul suo rapporto come Cate si contrappone Samuele, un uomo immaturo che riempie Mandorla e il figlioletto Lars di Nutella e dolciumi, compensando la sua incapacità di assumere un ruolo adulto nella vita, fino a preferire la compagnia – e non solo quella – di una poco più che adolescente Giulia del quinto piano; la lotta per i propri diritti e libertà al terzo piano, dove Paolo e Michelangelo accolgono Mandorla trasportandola in una famiglia forse poco tradizionale ma ugualmente carica d’amore e calore umano (e in fondo cosa nella vita di Mandorla può apparire tradizionale?), fatta di gay pride e cortei, feste e viaggi, ma anche cene casalinghe organizzate da un Paolo maniaco del controllo e documentari sugli animali più strani da vedere accoccolati sul divano con un Michelangelo quasi sempre dormiente e distante dal mondo; l’amore di pancia di Lorenzo e Lidia, egocentrici e maniaci del protagonismo, abituati a usare le parole, scritte o no, per affermare la propria personalità, incapaci di mettere da parte i propri egoismi ma, soprattutto e nonostante tutto, incapaci di vivere l’uno senza l’altro; la famiglia modello da Mulino Bianco dei Barilla, apparentemente perfetta ma che nasconde a occhi indiscreti le sue discrepanze e incrinature come un padre fin troppo pragmatico, una madre votata interamente alla sua famiglia al punto da mettere dei paraocchi per non vedere ciò che deturpa l’immagine che ha di essa, una figlia Giulia ribelle e parecchio incasinata, un figlio Matteo segretamente innamorato della sua quasi-sorella. Mandorla ci apre le porte delle case e ci mostra le luci degli altri, insieme – è inevitabile – alle ombre che vi si annidano.
Il risultato è una storia dai tratti divertenti, gli intervalli buffi e fantasiosi, con una simpatia dettata dalla protagonista, che ci racconta il tutto da un punto di vista quasi sempre scanzonato e ironico, di chi ha vissuto una vita fuori dall’ordinario e ne ha preso piena consapevolezza perché fa parte del suo essere nel bene e nel male, ma è anche una storia commovente, dove le emozioni si annidano tra un documentario e un tè del giovedì, tra una riunione nell’ex-lavatoio e un film di 24 ore sul sonno di un bambino, tra il paracadute e le ballerine con i pantaloni militari, tra le notti insonni, con preghiere per trasformarsi in tendine e taxi inglesi e resistere meglio a una vita ingiusta e al senso di abbandono, e le fantasie su Porcomondo – un personaggio quasi mitico, una rivelazione per il lettore – tra lettere di madri che saranno sempre presenti nonostante l’assenza e test del DNA che si riveleranno inutili e inefficaci, tra il difficile mondo esterno, che non capisce o non vuole capire, costringendo Mandorla a crescere tra mille dubbi e domande, e la fantastica ed eccentrica vita all’interno del condominio, che darà a Mandorla tutto quello che ha sempre desiderato e che solo alla fine realizza di avere sempre avuto, non importa quale sia la vera identità di suo padre. Perché una famiglia non la fa la biologia. La fa il cuore.
Un libro molto che si legge con piacere, sebbene vi siano alcune pecche che non so se siano dettate dalla smania di raccontare una storia intricata e, tutto sommato, complicata o se siano dovute dall’incapacità di riuscire a gestire una tale molteplicità si personaggi e prospettive. Avrei preferito che le vite dei “genitori” di Mandorla fossero maggiormente esplorate e quei flashback che servivano a tale scopo mi sono apparsi insufficienti a dare una vera tridimensionalità ai protagonisti di questa storia così particolare. Il personaggio di Michelangelo è quello che appare più sfuggente, sia per la sua personalità sia per la mancanza di un approfondimento in quello che, invece, poteva essere il personaggio più interessante, in virtù anche del suo legame con Maria. Ma Chiara Gamberale sceglie di lasciare tutto sfocato ai margini. L’idea, alla fine, è quella che “si poteva dare di più”, conoscere meglio per apprezzare meglio. Mandorla è, invece, ben delineata ed è il suo racconto, è la sua vita, quei cinque piani in via Grotta Perfetta 315 a renderla tale. Si crea, così, una sorta di osmosi per cui le sue famiglie identificano Mandorla e, allo stesso tempo, è la ragazzina a dare identità e spessore a tali famiglie. Come un unico organismo vivente, dove tutte le sue parti sono unite in un unico grande abbraccio. E credo sia questo il merito della Gamberale, nell’aver creato una storia che resti compatta pur avendo punti ciechi, discrepanze e pecche strutturali. Perché non esistono famiglie perfette, ma esistono famiglie che funzionano a discapito di tutto, e un condominio resta in piedi anche se sui muri, in alcuni punti, la vernice è andata via e l’ascensore a volte fa cilecca e tocca usare le scale.
Le luci nelle case degli altri è sicuramente un romanzo che merita la nostra attenzione, ci cattura con la sua storia originale e ci tiene agganciati con una scrittura mai ordinaria, che lascia allo spettatore il gusto della scoperta di cosa viene dopo, fino a un finale, sì sorprendente, ma che a ben guardare non serve ad altro se non a confermare quello che è stato chiaro fin dall’inizio: che l’amore, qualunque sia l’origine e il mezzo, è tutto ciò che occorre per essere felici.
VOTO:
FRASI:
..che nei momenti di disperazione non ti viene in mente di invidiare la felicità degli altri, le fortune , il successo degli altri, le certezze, i risultati, le luci nelle case degli altri: dappertutto c’è del bene, dappertutto c’è del male.
> è una cosa faticosa fare pace. Bisogna averci il fisico
> Tu la chiami ansia di parole, io lo chiamo bisogno d’amore. Il punto sta proprio nell’ascoltare. e forse solo se qualcuno ci sta a una certa distanza, è in grado di farlo. Se si avvicina troppo, bum. Scoppia qualcosa e per l’esplosione diventiamo sordi.
> Com'è che un amore finisce? Finisce quando non c'è n'è più, quando c'è n'è troppo, quando in realtà non c'è mai stato. Un amore finisce perché qualcosa si consuma: allora non bisogna usarlo, forse, l'amore. Ma finisce pure quando non si consuma niente e, anzi: tutto rimane come il primo giorno. Così perfetto che pare finto. E allora forse almeno un po' bisognerebbe usarlo, l'amore. E se poi finisce perché mentre lo usi ti cade per terra e si rompe? Anche quello può capitare. Così come che lo lanci in aria, per giocare, e quello però non ti torna più indietro: può capitare. O magari finisce perché te lo scordi da qualche part,e perché lo vuoi tenere sempre chiuso in tasca per non perderlo, ma così marcisce: va a male. Finisce perché andavi di fretta, finisce perché rimani indietro, finisce perché vuole finire, perché deve finire. Finisce perché non c'è cosa più impossibile da tenere a mente, quando un amore comincia, che potrebbe finire.
>Viviamo tutti all’oscuro di qualcosa che ci riguarda
La colonna sonora: The long way home – Norah Jones