La Recensione del Mese – Settembre 2013

Da Strawberry @SabyFrag

Una recensione sul fil di lana quella di settembre. Ma non posso rinunciarvi, perché voglio parlarvi di un libro che consiglierei a tutti, anche al mio “McIver” personale. Sto parlando di La versione di Barney di Mordecai Richler.

Titolo: La versione di Barney (orig. Barney’s Version) |
Autore: Mordecai Richler |
Traduttore: M. Codignola | Anno: 1997 |
Editore: Adelphi | Pagine: 490 |
ISBN: 9788845919824

 

 

 

 

 

Tutta colpa di Terry. È lui il mio sassolino nella scarpa. E se proprio devo essere sincero, è per togliermelo che ho deciso di cacciarmi in questo casino, cioè di raccontare la vera storia della mia vita dissipata. Fra l'altro mettendomi a scribacchiare un libro alla mia veneranda età violo un giuramento solenne, ma non posso non farlo. Non posso lasciare senza risposta le volgari insinuazioni che nella sua imminente autobiografia Terry McIver avanza su di me, le mie tre mogli (o come dice lui la troika di Berny Panofsky), la natura della mia amicizia con Boogie e, ovviamente, lo scandalo che mi porterò fin nella tomba

Per questa volta, lasciatemi iniziare con un’affermazione lapidaria, forse un po’ scontata, ma che è la prima cosa che mi viene  in mente quando penso a questo romanzo. La versione di Barney è geniale. Geniale nella sua scrittura, geniale nella creazione del protagonista nonché narratore e geniale nella realizzazione del mondo che ruota attorno ad esso.
Irriverente, ironico, incontrollabile, Barney Panofsky è un personaggio difficile da gestire, poco malleabile, che vi creerà problemi, soprattutto all’inizio, e non sempre riuscirete a comprenderlo, ma – è inevitabile – finirete per amarlo.

La storia di Barney è un’avventura incredibile che il protagonista ci racconta, per sua stessa ammissione, a difesa di ciò che afferma Terry McIver, scrittore canadese con cui si conosce da oltre 50 anni e vive un rapporto di rispetto misto a rivalità. All’inizio non sarà facile seguire il racconto di Barney: le sue parole viaggiano libere nel tempo e nello spazio, saltando dalla Parigi degli anni ‘50 al Canada degli anni ‘90 (il libro è del 1997 n.d.r.), dalle disavventure con la Seconda Signora Panofsky all’agognata vita familiare con l’amatissima Miriam e i suoi tre figli, dalla morte della mai dimenticata Clara alla misteriosa scomparsa di Boogie. Le storie e le immagini che esse evocano, a volte amare, altre tristi, altre ancora esilaranti, svolazzano tra le pagine e si inseguono l’una con l’altra, in un movimento farfallino che pare richiamare quella malattia che presto colpirà Barney e la sua memoria e che, perciò, rende questa autobiografia più preziosa che mai. Come sulle montagne russe, seguiamo Panofsky nella sua rievocazione di una vita straordinaria e al di fuori delle convenzioni, un’esistenza davvero degna di essere vissuta e raccontata, e finirà per conquistarci pagina dopo pagine, fino a un finale, assegnato a uno dei suoi figli in un simbolico passaggio di testimone, che saprà stupire e far sorridere ancora una volta.

Lo stile del memoriale sebbene sui generis, il linguaggio informale e fin troppo colloquiale – direi anche sguaiato in più punti –, la narrazione in prima persona, fanno del personaggio di Barney il centro di tutto il libro, il suo fuoco, senza il quale la storia non avrebbe lo stesso significato né la stessa verve e capacità di intrattenimento. Allo stesso tempo, sono queste scelte stilistiche a determinare il personaggio, a conferirgli quel carattere e la sua identità, a decretarne l’esistenza ai nostri occhi di lettore. Attorno a lui si muove una moltitudine di personaggi, visti e descritti sempre dal suo bisbetico punto di vista, al punto da apparire come le sue molteplici facce e sfumature. Solo una voce si alza solista e distinta, quella del figlio Mike, attraverso le sue note di revisione e le ultime pagine che, con un cambio di prospettiva, ci presentano Barney dall’esterno, visione inedita per il lettore e alquanto straniante, che amplifica il dolore del distacco a pochi passi dalla fine del libro.

Con La versione di Barney, Richler sembra prendere in giro il genere biografico, la narrativa tutta, la storia raccontata, il suo protagonista e anche se stesso. Una scrittura sagace, arguta, piena di ironia e sarcasmo conferisce al romanzo un aspetto spesso palesemente cinico, derisorio e caustico, ma è capace anche di dare vita a pagine di profonda emozione e grande sensibilità e note di lirismo, come quando Barney parla della straziante scomparsa di Clara, della sua adorata Miriam che amerà per sempre o ricorda la sua amicizia con Boogie e descrive il dolore per la sua perdita, di fronte alle quali il lettore non può che commuoversi. Con La versione di Barney si ride e si piange, in un connubio perfetto.

Il merito di Richler è di aver creato un personaggio imperfetto, scomodo, che fa di testa sua e si inventa scrittore per difendere quella che è stata la sua vita, decidendo lui le regole e i criteri della narrazione. Un personaggio unico nel suo genere, in cui lo scrittore ha raccolto molte delle sue passioni (tra cui l’immancabile sigaro e il whisky) e ne ha fatto il suo alter ego letterario. La versione di Barney è, quindi, anche la versione di Richler. E la mia versione dei fatti è che con questo romanzo ci si trova di fronte a un personaggio memorabile, un grande scrittore e un libro imperdibile.

VOTO:

FRASI

Con La versione di Barney è difficile estrapolare semplici frasi. Vi sono interi brani stupendi e degni di memoria, ma che qui sarebbe troppo lungo riportare. Vi propongo allora giusto un paio di frasi, prese qua e là, per darvi un assaggio:

> Non so raccontare una storia senza distorcerla. Per dirla tutta, sono un contaballe nato. Ma del resto cos'altro è uno scrittore, anche se alle prime armi come me?

> Ma ho anch'io i miei principi. Non ho mai venduto armi, droga o cibi dietetici.

> Ebbro? Intendi sbronzo? Ovvio che sono sbronzo. Sono le quattro del mattino.

> ...mi sono portato a letto la Vita di Samuel Johnson, libro da cui non mi separo mai - più che altro perchè, casomai spirassi nel sonno, è quello che vorrei mi trovassero sul comodino.

> La verità è che di tanto in tanto adoro ritirarmi nel cottage, la scena del mio presunto assassinio, e aggirarmi con un bicchiere in mano per le stanze vuote dove un tempo risuonavano le risate di Miriam e gli strilli gioiosi dei bambini. Sfoglio i vecchi album di fotografie, tirando su col naso come un vecchio rimbecillito.

La colonna sonora: I’m your man di Leonard Cohen

Ti consiglio un tè: più che un tè, questa volta vi consiglio una bevanda al tè. Più whiskey. Immaginare Barney Panofsky è impossibile senza un bicchiere in mano. Così in suo onore perché non gustare un Hot Doddy. Per prepararlo servono earl grey, whiskey, zucchero di canna, miele, acqua calda e cannella se vi va. Una ricetta semplice per prepararlo, la trovate QUI. Alla tua salute Barney!


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