La recensione di Robocop: un action movie rimesso a nuovo

Creato il 06 febbraio 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

6 febbraio 2014 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •

Il giudizio di Federica De Masi

Summary:

I remake sono uno dei tasti dolenti della cinematografia contemporanea hollywoodiana. Certo, si sono sempre fatti i rifacimenti, ma la pratica replicante per i produttori è divenuta quasi una prassi da applicare a film che in passato hanno avuto notevole successo come per Carrie – Lo sguardo di satana, il cui remake di Kimberly Pierce è uscito qualche settimana fa in sala, e adesso per Robocop, cult sci-fi del 1987.

Con piacevole stupore il remake del film di Paul Veroheven – o meglio dire un reboot – non è una duplicazione fine a se stessa, ce ne accorgiamo fin dalle prime immagini che riprendono l’impianto narrativo del film del 1987 apportando alcune modifiche. Robocop del 2014 calca la mano sulla componente più irriverente della storia, mantenendo la linea politica di cui viene ridotta l’intensità dell’elemento cyberpunk e spostandosi di più sul versante esistenziale; ma soprattutto stravolge la linea narrativa inventandosi una nuova storia che adatta a perfezione la vicenda del poliziotto robotico al contemporaneo.

Una scena tratta dal remake di RoboCop

E’ l’anno 2028: in un futuro prossimo non tanto diverso dai giorni nostri, i droni (gli ED-209 e gli EM-208, questi ultimi che riprendono le sembianze umane sono davvero inquietanti) vengono impiegati nei conflitti bellici al posto dei soldati americani, evitando così la perdita di molti connazionali. I droni sono creati dalla Omnicorp, una società che vorrebbe vendere i propri robot anche sul suolo statunitense e in questo modo far soldi a palate. Prima però la società deve convincere la popolazione sulla non pericolosità dei robot e l’occasione gli si presenta quando l’agente di Detroit Alex Murphy rimane gravemente colpito in seguito ad un attentato alla sua persona, così la Omnicorp ne approfitta per costruire un agente di polizia metà robot, metà uomo in carne ed ossa.

Il cinema continua ad interrogarsi sulla dissoluzione dei valori etici nella nostra società e in particolare quello di genere da sempre si è prestato come specchio critico in cui riflettere e far riflettere. Robocop attraverso la sua storia fantastascientifica punta a snocciolare interrogativi esistenziali, sul libero arbitrio e sulla dicotomia materia spirito (il film appartiene al sotto-genere cyberpunk in cui la componente fantascientifica si unisce a quella politica), mantenendo come nell’originale l’orientamento cristologico di personaggio visto come eroe e martire (di cui nel film di Paul Veroheven ci sono chiari riferimenti visivi), affiancando questo concetto al marketing e alla comunicazione, qui visti come i mali moderni insieme al capitalismo più estremo. La denuncia è chiara: i soldi sono più forti dell’etica e le masse credono a tutto quello che gli si racconta.

Detto così tutto potrebbe sembrare spicciolo, eppure Josè Padilha, l’apprezzato regista di Tropa de elite – Gli squadroni della morte (Orso d’Oro a Berlino nel 2008), che ha diretto il rifacimento di Robocop, riesce a piazzare bene i colpi da sferrare per insinuare interessanti ragionamenti sulla potenza della comunicazione e sulla denuncia di un sistema perverso basato sull’individualismo e sull’arrivismo. Sofismi a parte questo remake è un sci-fi movie con tutti i crismi, con elementi action ad alta tensione con inseguimenti e sparatorie avvincenti, un po’ di ironia, una componente visiva a metà tra gli anni ’80 e il design più moderno ed effetti speciali in CGI davvero efficaci. Rispetto all’originale la storia del poliziotto di latta perde un po’ di truculenza – i dettagli gore sono meno violenti del capostipite – ma acquista in freschezza e in entertainment.


Il regista brasiliano dunque s’inserisce sul mercato hollyoodiano come un cecchino: fa centro al primo colpo confezionando un film (blockbuster) ben dosato in tutte le sue componenti, di cui si apprezza lo sviluppo della trama che prende una strada diversa rispetto alla pellicola originale e il giusto citazionismo (noterete un’armatura old style che lascerà il passo ad una guaina più cool). Anche i più affezionati al Robocop del 1987 gradiranno il film perché Padilah è riuscito a imprimere il suo tocco frenetico nel riprendere le scene più concitate con una linearità e uno stile davvero apprezzabili, allontanandosi intelligentemente dal capolavoro di Verhoeven che resta nell’alveo dei capolavori scifi.

Riuscite sono anche le interpretazioni del film a partire dall’attore che veste i panni dell’uomo di latta e sostituisce Peter Weller (l’attore che diede il volto a Robocop nel 1987 e che qui troviamo in un cameo), l’espressivo olandese Joel Kinnaman affermatosi grazie alla serie tv The killing, passando per un Michael Keaton spregiudicato e molto divertente, Gary Oldman nei panni di un coscienzioso scienziato sempre convincente, la bella Abbie Corish, e Samuel L. Jackson che dopo Django e OldBoy continua a collezionare ruoli eccessivamente sopra le righe, che lo rendono troppo macchiettistico.

Di Federica De Masi per Oggialcinema.net

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