Ambientazione e personaggi, come spesso in Márai, sembrano, infatti, una lussuosa cornice per indagare i temi più disparati. Il primo e il più importante di essi è senza dubbio, l’amore. Un sentimento per Márai assoluto, tragico e splendido insieme.
Verrebbe quasi da dire che la sua attività di romanziere non si è dedicata ad altro che a descrivere le mille sfumature di questo sentimento, nel tentativo di meditare attraverso le parole sul senso ultimo dell’esistenza umana. È quanto accade nella sua opera più famosa, Le braci.
Ma per Márai la scrittura non è solo uno strumento: “La scrittura non è affatto simile al potere, la scrittura è il potere… La scrittura è la forza più grande che esista.” L’autore sfrutta questa forza con una cura per la forma e contemporaneamente una profondità sorprendenti. La scrittura stessa, l’amore, il potere, il tempo, persino il valore del denaro, tutto viene analizzato, senza pregiudizi né ipocrisie di sorta, dettagliatamente e caparbiamente. Nel suo stile ricco e accurato, nell’impiego meditato degli aggettivi, sempre appropriati, Márai rivela la sua seconda natura di poeta. All’interno del periodare lungo e disteso emergono così frasi fulminanti, subitanei aforismi che s’imprimono nella mente come versi poetici tradotti in prosa, dotati di una densità e pregnanza rivelatorie. L’autore dispiega un intero mondo davanti al lettore, accompagnandolo riga dopo riga in un racconto senza tempo, perché nomi e accadimenti non sono che momentanee incarnazioni di un copione, appunto, che si svolge dall’alba dei tempi.
L’azione si svolge tutta nella stanza d’albergo di Casanova. La prima metà del romanzo è dedicata ad una lenta e minuziosa costruzione del personaggio ad opera di Casanova stesso, prima ancora che di Márai. Ma poi qualcosa cambia: appare all’orizzonte un’altra figura, quella di Francesca, una fanciulla toscana per la quale Giacomo Casanova si è battuto anni prima e che aveva quasi dimenticato. La comparsa della donna è preceduta da quella dell’anziano marito, il conte di Parma.
Ai monologhi di Casanova seguono quello del conte e, appena prima che la “recita” abbia inizio, quello del protagonista che si rivolge a sé stesso e al lettore, senza più la mediazione dello scrittore. Poi compare, improvvisamente, Francesca. E Casanova quasi tace di fronte all’amore, assoluto e dettato dal destino, che la donna letteralmente pone ai suoi piedi. È la presa di coscienza definitiva e al tempo stesso è la recita che viene finalmente messa in scena: l’accordo stipulato da Casanova col conte di Parma prevede infatti, che in quell’unica notte loro concessa, Casanova dia fondo al proprio “genere” per separarsi per sempre da Francesca.
Il Casanova di Márai è un seduttore e come tutti i grandi seduttori (Don Giovanni ne è l’archetipo) è un uomo formidabile e al tempo stesso una vittima della sua stessa seduzione. Alla fine è semplicemente “un uomo”, come nota il “coro” delle donne di Bolzano. Questa “dichiarazione che aveva qualcosa di sciocco e al tempo stesso qualcosa di straordinario, di terribile” dice molto dello scrittore, capace di restituire alle parole più comuni il loro senso primo, ritmandone la bellezza in un’affabulazione ipnotica e magistrale.