La recita di Bolzano di Sándor Márai

Creato il 10 dicembre 2012 da Tiziana Zita @Cletterarie

La recita di Bolzano è uno dei pochi romanzi pubblicati da Sándor Márai mentre era in vita. Lo scrittore e poeta ungherese, che si auto-esiliò per ragioni politiche legate prima al regime nazista e poi a quello comunista, è stato infatti largamente trascurato in vita. La maggior parte dei suoi lavori è stata pubblicata postuma negli ultimi vent’anni; in Italia Adelphi si è dedicata con perizia a quest’opera meritoria di riscoperta, come ha fatto con altri grandi del ‘900 come la Némirovsky. Verrebbe da pensare che questa  pubblicazione, avvenuta nel 1940, sia stata possibile perché è un libro apparentemente innocuo, ambientato in un’epoca lontana: un ‘700 fatto di intrighi e avventure, con protagonista Giacomo Casanova. Chissà, forse è andata proprio così. Ma questo romanzo è tutt’altro che innocuo e l’ambientazione storica, per quanto accuratamente ricostruita, è poco più che un pretesto.
Ambientazione e personaggi, come spesso in Márai, sembrano, infatti, una lussuosa cornice per indagare i temi più disparati. Il primo e il più importante di essi è senza dubbio, l’amore. Un sentimento per Márai assoluto, tragico e splendido insieme.

Verrebbe quasi da dire che la sua attività di romanziere non si è dedicata ad altro che a descrivere le mille sfumature di questo sentimento, nel tentativo di meditare attraverso le parole sul senso ultimo dell’esistenza umana. È quanto accade nella sua opera più famosa, Le braci.
Ma per Márai la scrittura non è solo uno strumento: “La scrittura non è affatto simile al potere, la scrittura è il potere… La scrittura è la forza più grande che esista.” L’autore sfrutta questa forza con una cura per la forma e contemporaneamente una profondità sorprendenti. La scrittura stessa, l’amore, il potere, il tempo, persino il valore del denaro, tutto viene analizzato, senza pregiudizi né ipocrisie di sorta, dettagliatamente e caparbiamente. Nel suo stile ricco e accurato, nell’impiego meditato degli aggettivi, sempre appropriati, Márai rivela la sua seconda natura di poeta. All’interno del periodare lungo e disteso emergono così frasi fulminanti, subitanei aforismi che s’imprimono nella mente come versi poetici tradotti in prosa, dotati di una densità e pregnanza rivelatorie. L’autore dispiega un intero mondo davanti al lettore, accompagnandolo riga dopo riga in un racconto senza tempo, perché nomi e accadimenti non sono che momentanee incarnazioni di un copione, appunto, che si svolge dall’alba dei tempi.

La scena si svolge a Bolzano, dove Casanova si ferma per otto giorni all’indomani della sua celebre e rocambolesca fuga dal carcere veneziano dei Piombi. In questi otto giorni si riappropria del suo mestiere, anzi, del suo “genere”, “l’avventura”, e degli accessori che contribuiscono a creare il suo personaggio. Casanova si definisce uno scrittore, dedito ad accumulare esperienze in vista di futuri capolavori, ma soprattutto a conoscere sé stesso, “perché essere qualcuno conta più che fare qualcosa, ed è anche più difficile…”.

L’azione si svolge tutta nella stanza d’albergo di Casanova. La prima metà del romanzo è dedicata ad una lenta e minuziosa costruzione del personaggio ad opera di Casanova stesso, prima ancora che di Márai. Ma poi qualcosa cambia: appare all’orizzonte un’altra figura, quella di Francesca, una fanciulla toscana per la quale Giacomo Casanova si è battuto anni prima e che aveva quasi dimenticato. La comparsa della donna è preceduta da quella dell’anziano marito, il conte di Parma.

Ai monologhi di Casanova seguono quello del conte e, appena prima che la “recita” abbia inizio, quello del protagonista che si rivolge a sé stesso e al lettore, senza più la mediazione dello scrittore. Poi compare, improvvisamente, Francesca. E Casanova quasi tace di fronte all’amore, assoluto e dettato dal destino, che la donna letteralmente pone ai suoi piedi. È la presa di coscienza definitiva e al tempo stesso è la recita che viene finalmente messa in scena: l’accordo stipulato da Casanova col conte di Parma prevede infatti, che in quell’unica notte loro concessa, Casanova dia fondo al proprio “genere” per separarsi per sempre da Francesca.Dovrebbe sedurla per poi abbandonarla, concentrando la sua arte in poche ore, ma in realtà le parti s’invertono ed è Francesca a fare promesse, ad affascinarlo, a mostrargli come siano stati legati dal destino e come lo saranno sempre. L’amore li lega indissolubilmente, ma poiché Casanova rifiuta l’offerta di Francesca, fedele al patto col conte, l’amore si tramuta in vendetta. Il romanzo si chiude con una lettera al conte dettata da Casanova al suo segretario, in cui l’avventuriero riconosce come Francesca sia veramente “l’Unica”. Ma proprio per l’amore che le porta non dovranno rivedersi mai più. La vendetta della donna si compie, Casanova non s’innamorerà più, ma custodirà il loro amore per sempre perfetto e totale come quello offertogli una notte da Francesca.

Il Casanova di Márai è un seduttore e come tutti i grandi seduttori (Don Giovanni ne è l’archetipo) è un uomo formidabile e al tempo stesso una vittima della sua stessa seduzione. Alla fine è semplicemente “un uomo”, come nota il “coro” delle donne di Bolzano. Questa “dichiarazione che aveva qualcosa di sciocco e al tempo stesso qualcosa di straordinario, di terribile” dice molto dello scrittore, capace di restituire alle parole più comuni il loro senso primo, ritmandone la bellezza in un’affabulazione ipnotica e magistrale.


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