La regina degli scacchi - Walter Tevis

Creato il 11 settembre 2013 da Laleggivendola @LaLeggivendola
Ho appena finito di leggere La regina degli scacchi di Walter Tevis. Minimum Fax, 2007. Traduzione, molto buona, di Angelica Cecchi. Dicevo, ho appena finito di leggerlo ed è una sensazione meravigliosa. Il cervello che galleggia in un tiepido oceano lattiginoso, le parole per descrivere il libro ancora in fase di svezzamento, il volto indeciso sulle espressioni. Non me ne capitano più molto spesso, di letture così. E ciò è male, molto male. Ho iniziato a tenere questo blog perché amo i libri più di ogni altra cosa e so che solo i libri possono riempirmi davvero. Eppure negli ultimi tempi mi sento quasi bloccata, quando mi trovo a scegliere cosa leggere. Un po' perché mi arrivano libri – decisamente graditi, non dico di no – da diversi editori e, contrariamente a quanto professavo fino a pochi mesi fa, viene spontaneo dare precedenza a quanto si è ricevuto gratis. Anche se non sono regali, ma omaggi interessati. Perciò la scelta della prossima lettura è spesso accompagnata dal senso di colpa verso quello che 'dovrei' leggere e dal timore di diventare, un giorno, una di quelle blogger che parla soltanto delle ultime uscite e che ha perso di vista quello che voleva essere.Non so perché la sto facendo tanto lunga, queste paturnie non c'entrano nulla con La regina degli scacchi. O forse solo un pochino, collateralmente. Forse il senso di questa inutilissima introduzione sta in un sincero 'Ho un sacco di libri arretrati da leggere, diverse recensioni da scrivere e un'intervista da pubblicare, ma ho amato questo libro così tanto che mi sento di accantonare tutto il resto per consigliarvelo spasmodicamente'.Ecco. Ci voleva tanto?Dunque.A otto anni Beth rimane orfana e viene spedita in un orfanotrofio, in cui facciamo la poco gradita conoscenza col sistema americano, quello dei tranquillanti ai bambini. Per farli stare buoni. Beth è tranquilla, intelligente, acuta. Ha evidenti problemi di socializzazione, non cerca mai di interagire spontaneamente. Le si avvicina di tanto in tanto la sua compagna di stanza, Jolene, una ragazzina nera più grande, alta e brava negli sport. In pratica, Beth non ha nulla, finché un giorno non si mette ad osservare, nel seminterrato, il signor Shaibel – il custode – che gioca a scacchi da solo. Gli chiede ripetutamente di insegnarle e lui poco a poco si schiude, anche se non certo dal punto di vista umano, accettando di giocare con lei qualche partita e poi regalandole un complicato manuale. Beth ha una memoria fotografica perfetta e smette perfino di aver bisogno di guardare la scacchiera per giocare. Le rimane fissa in testa, coi suoi pezzi fermi qua e là per le varie case, in attesa della sua mossa. Qualche tempo dopo, viene adottata.Non vorrei andare troppo avanti, ma mi è difficile decidere quando fermarmi. C'è la scuola, c'è la signora Wheatley – qualche volta, 'mamma' – e ci sono gli scacchi. Soprattutto, gli scacchi. I tornei, lo studio, le – poche – sconfitte e le infinite vittorie. Poi c'è la dipendenza da quella sensazione di beata perdizione che solo i tranquillanti e l'alcol possono dare. E poi gli scacchi, e ancora gli scacchi. L'ossessione della sua vita.Ecco, io in un certo senso sento quasi di capire Beth. Non che io sia mai stata un genio, anzi, so benissimo che tutto ciò che so viene dal tempo e non da un qualche misterioso talento. Però leggendo sentivo il bisogno che Beth ha degli scacchi riflettersi nel mio attaccamento ai libri e a tutto ciò che li riguarda. Così come Beth studia le vecchie partite dei Maestri, anche a me capita di perdermi nelle frasi che mi trovo sotto gli occhi, chiedendomi perché le parole abbiano finito per disporsi in quella particolare forma. Cosa c'è dietro quella forma sintattica, quali vocaboli sono stati scartati prima che la frase diventasse completa? Cos'ha pensato lo scrittore, mettendo la parola fine?Non so. Mi chiedo come vivano le persone senza ossessioni. Quale sia la loro benzina, da dove prendano forza quando si trovano in difficoltà.Magari è il caso che io la pianti di divagare, eh?Una cosa che ho adorato di questo libro – scritto con ineffabile abilità in terza persona – è il suo aderire interamente alla regola dello 'Show don't tell'. Ma non in maniera forzata né asettica, bensì con una certa naturalezza. Mostrandoci davvero la scena e lasciandoci liberi di trarne le dovute considerazioni. I caratteri dei personaggi, poi, sono perfetti. O meglio, sono imperfetti. Sono persone reali, quelle che ci troviamo davanti. Benny, la signora Wheatley, Jolene e ovviamente la stessa Beth. I suoi attacchi di rabbia soffocati quando si trova in difficoltà durante le partite, la sua insonnia, il suo perdersi e... e beh, Beth e basta.
Leggetelo. Punto. Non riesco neanche a trovare le parole giuste per descrivere l'intensità di questo libro...

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