La regina ferita

Da Barbaragreggio

Camminavo per la strada, rasente il muro di recinzione di una vecchia casa abbandonata. Tirava un vento freddo, da fare arrossire guance e naso; con le mani tenevo chiusi i baveri del cappotto, stretti sopra il mento. Voltai a destra, stringendo troppo l'angolo e urtando un palo mezzo scrostato. Mi pulii la manica, sbattendo via la vernice polverosa che si era appoggiata sulla lana.

Lei era a pochi passi da me, sorridente, il giornale sotto il braccio, una borsa scura sulla spalla. Era bellissima nel suo non sentirsi mai all'altezza della situazione; lo capivo dalle mani che si cercavano sopra lo stomaco che era nervosa. Erano mesi che la vedevo tutti i giorni, la salutavo, di rado, lo ammetto, il più delle volte era lei a salutare me. La guardavo, senza che lei se ne accorgesse, il resto del mondo spariva attorno a lei. Mi ero ritrovato a pensarla spesso di recente, troppo spesso. Non potevo averla, non sarebbe stato giusto. Ero un uomo serio, io. Non uno di quelli che vedono una e la seducono solo perché ha un bel visino. Eppure lei era molto di più, quello che si celava dietro ai suoi occhi mi avvolgeva la mente. 

Non era solo attrazione fisica, c'era dell'altro, ben più profondo. 

Sentii i suoi passi avvicinarsi, i tacchi battevano a terra a cadenza regolare, forse un po' veloci. Il cuore salì in gola al suo tocco delicato sulla mia mano, quasi una carezza. 

"Ci hai pensato... Possiamo lavorare insieme al mio progetto?"

La voce le era uscita sottile, una lunga pausa aveva preso il posto di tante parole. Non la guardai negli occhi, spostando lo sguardo su un lampione dietro di lei. Deglutii il desiderio di prenderla tra le braccia e stringerla a me.

"Non ho tempo. Né oggi, né un altro giorno."

Glielo dissi così, senza alcuna intonazione, freddo e distaccato. 

"Capisco... volevo solo essere corretta con te."

Rispose lei, con un'espressione di sofferenza in volto.

Le mani si chiusero sopra lo stomaco, strette attorno alla borsa, il giornale cadde a terra con un piccolo tonfo sordo. Alzai lo sguardo sui suoi occhi, che si erano riempiti di lacrime, ma non dissi nulla. 

Lei si voltò, andò via veloce, le spalle rivolte verso il basso, come se il mio rifiuto ad incontrarla ancora l'avesse schiacciata a terra. Non raccolse il giornale, correndo via.

Rimasi a fissare la sua sagoma scolorirsi tra la gente, ingrigita dal cielo plumbeo. Rimasi immobile ad ingoiare quello che provavo per lei. 

Non avevo altra scelta, lei mi piaceva e io non ero libero. L'ho allontanata da me per difesa. 

Mi feci largo tra la folla, raggiungendo il centro della piazza. Gli scacchi erano ben allineati, il castello da un lato, palazzine tutto attorno. Ero una pedina perdente. Lei la mia regina ferita. 

Sotto un portico, forse dentro a un bar, aveva trovato rifugio dalla pioggia delle lacrime che io le avevo provocato. Ignavo, mi ero protetto da lei. E lei... lei era bella, e io me ne stavo innamorando. 

Barbara Greggio