LA REGOLA DEL SILENZIO (The Company You Keep)

Creato il 18 giugno 2013 da Ussy77 @xunpugnodifilm

Il fuggitivo Redford si preoccupa di riunire i vecchi amici

Redford va di corsa. La ricerca della verità è nuovamente centrale nel suo nuovo lavoro thriller-politico. Sicuramente meno statico dell’ultimo (Leoni per agnelli (Lions for Lambs, 2007), La regola del silenzio (The Company You Keep, 2012) però non raggiunge gli stessi interessanti vertici di scrittura cinematografica.

Jim Grant (Robert Redford) è un avvocato vedovo di Albany. In seguito all’arresto di una componente (Susan Sarandon) di un gruppo pacifista radicale, attivo durante la guerra in Vietnam, il giovane reporter Ben Shepard (Shia LeBoeuf) avvia delle indagini. E la prima scoperta sconvolgente è quella che l’avvocato in realtà non è chi dice di essere. In realtà è un componente del movimento radicale ed è ricercato per omicidio da trent’anni.

Redford continua a cercare. Corre incessantemente, neanche fosse ne Il fuggitivo (The Fugitive, 1993), e quello che cerca è una verità (politica) vecchia di trent’anni. Eppure La regola del silenzio si apre in modo accattivante, mostrando immagini di repertorio, il collettivo (pacifista) Weather Underground (attivo durante la guerra del Vietnam), un omicidio, quattro ricercati e un giornalista ambizioso (Shia LeBoeuf). E fino a quando l’indagine e i successivi svelamenti (sconvolgenti all’interno del film, ma assolutamente scontati e banali per il pubblico che guarda) rappresentano la parte centrale della pellicola, La regola del silenzio risulta un film che scorre velocemente e senza particolari intoppi. Successivamente Redford comincia a scappare ed è proprio qui che il film diviene ripetitivo, esibendo personaggi resuscitati dalla naftalina, che ricordano i vecchi fasti gloriosi, nei quali erano attivisti pacifisti, ma anche attori celebrati. Paradossale? Non proprio perché Redford (regista e protagonista) comincia a inanellare attori che hanno fatto il loro corso, che lavorano poco o che si limitano a ruoli da comprimari. Dapprima Susan Sarandon, poi Nick Nolte, Richard Jenkins (forse l’unico ancora sulla cresta dell’onda proprio perché ci è arrivato solo ora), Sam Elliot, Brendan Gleeson e Julie Christie. Senza dimenticare il tinto e rimesso a nuovo Robert Redford. Tuttavia tralasciando la galleria over-70, la pellicola rivela un tema e obiettivo abbastanza convenzionale: dichiarare quanto fosse moralmente giusto protestare mentre in Vietnam si calpestavano diritti e morivano vite umane. Tutto questo accompagnato dal giornalismo d’assalto (?) di un Shia LeBoeuf, interessato a scoprire segreti e sotterfugi di una vicenda che non lo convince. Un instancabile reporter a caccia della notizia, che infine si rende conto che a volte il silenzio è la scelta migliore.

Presentato a Venezia 69, La regola del silenzio non porta da nessuna parte o perlomeno non ha l’intrinseco interesse di rispondere alle domande che punteggiano la pellicola. Difatti in Leoni per agnelli la guerra era lo sfondo accattivante di un film impegnato politicamente e socialmente. Mentre La regola del silenzio pone la Storia sullo sfondo, ammette gli errori commessi e li colloca nella giusta prospettiva. Purtroppo quella dose di intrattenimento thriller non convince e si attesta a fiacca narrazione ridondante. Nonostante questo, Redford destina a Shia LeBoeuf il ruolo del giornalista “pulito”, probabilmente il carattere più riuscito. Colui che crede ancora nell’onestà altrui e non si limita a rincorrere lo scoop senza remore. Colui che si redime a fine pellicola, ripensando alla battuta cardine dell’intero film: «i segreti sono una cosa pericolosa, Ben. Pensiamo tutti di volerli conoscere. Ma se ne hai avuto uno, allora saprai che significa non solo conoscere qualcosa su un’altra persona, ma anche scoprire qualcosa su noi stessi». Il cinema democratico di Redford, impegnato e sociale, torna sullo schermo. Eppure manca qualcosa.

Uscita al cinema: 20 dicembre 2012

Voto: **1/2


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