LA RELIGIONE NEL CAPITALE di LUCIANO PARINETTO PART 2°

Creato il 04 luglio 2012 da Tnepd


Fratellanza cristiana ed eguaglianza capitalistica
Ma l’eguaglianza fraterna dei cristiani –che si amano, si riconoscono in quanto fratelli solo
per mediazione della paternità di Dio – prefigura anche il rapporto secondo il quale i
proletari, come persone indipendenti, restano tra loro irrelati, e vengono in rapporto
reciproco fra loro solo alienandosi per mezzo del capitale.
Ciò che media la loro appartenenza al genere – nel lavoro- è dunque la loro
estraneazione, il capitale, proprio come ciò che fonda il legame fraterno dei cristiani e la
loro eguaglianza è la loro alienazione nella paternità di Dio. Come Cristo è il corpo mistico
che fonda l’eguaglianza dei cristiani in quanto membra di quel corpo, così il capitale è
l’organismo operante nel quale si riconoscono in rapporto gli operai, in quanto vi sono
incorporati. La nazione che, forse, maggiormente congiunge cristianesimo e capitalismo,
che fa del cristianesimo la religione del capitale è quella dell’uguaglianza (fratellanza, per i
cristiani).

Nell’anticristo Nietzche ha osservato “Il primo cristiano è per profondissimo istinto un
ribelle contro tutto quanto è privilegiato; egli vive, combatte sempre per diritti uguali”.
La formulazione più caratteristica delle rivendicazione di diritti uguali si ritrova nelle
costituzioni borghesi (nonché proto-capitalistiche) della rivoluzione francese, di cui Marx
aveva denunciato il carattere ideologico (e religioso) già al tempo della sua collaborazione
agli Annali franco tedeschi “Come persone indipendenti gli operai sono dei singoli i quali entrano in rapporto con lo stesso capitale ma non in rapporto reciproco fra loro.
La loro cooperazione comincia soltanto nel processo lavorativo, ma nel processo lavorativo hanno già cessato d’appartenere a se stessi.
Entrandovi, sono incorporati nel capitale. Come cooperanti, come membri d’un organismo operante, sono essi soltanto un modo particolare d’esistenza del capitale.”
F.Nietzsche, Il caso Wagner etc, Mondadori, 1975

Più tardi nel Grundrisse, Marx nota che la nozione di uguaglianza è il caratteristico traitd’union degli individui alienati della società capitalistico industriale: “Ciascuno dei soggetti è un individuo che scambia; ciascuno cioè ha con l’altro la medesima relazione sociale, che questi ha con lui. Come soggetti dello scambio dunque la loro relazione è quella di uguaglianza”.
E’ a questa uguaglianza nell’alienazione capitalista che corrisponde la fratellanza
nell’alienazione cristiana.
Marx, da parte sua, non è assolutamente per l’uguaglianza come asserirà chiarissimamente nella Critica del programma di Ghota.

Nella sua appassionata rivendicazione del soggetto umano onnilaterale a venire ( e quindi

di un soggetto disalienato, autonomamente in grado di sviluppare a seconda delle propria
originale individualità, e non a imitazione d’altri o per loro imposizione, tutte le proprie
potenzialità) egli infatti prefigura ivi perfino un diritto diseguale per gli individui che “non
sarebbero individui diversi, se non fossero diseguali”.
Tanto più diseguali saranno dunque, quanto più saranno disalienati (e, ovviamente, in una
società senza classi).
Se il cristianesimo –specialmente nel suo svolgimento borghese, vale a dire il protestantesimo – “rappresenta una parte importante nella genesi del capitale già per aver
trasformato quasi tutti i giorni festivi tradizionali in giorni lavorativi”, oltre che aver
incrementato col “colossale furto di beni eclesiastici cattolici” il capitale di “fittavoli e
cittadini speculatori”; non meno criticabile rimane, per Marx, il cristianesimo nella sua
forma cattolica, mediante l’apparentemente religiosa interdizione dell’interesse –
considerato peccato d’usura- tutelava precisamente il proprio interesse economico.

Infatti “senza l’interdizione dell’interesse la Chiesa ed i monasteri non avrebbero mai

potuto diventare così ricchi”.La maggior cura che Marx impiega nel denunciare il protestantesimo non pare dipendere da un apprezzamento meno critico nei riguardi del cattolicesimo, ma dal fatto che mentre il cattolicesimo è una forma ormai arcaica del cristianesimo – la tipica sovrastruttura del medioevo europeo - il protestantesimo è la forma caratteristica che il cristianesimo ha assunto nell’età borghese e rappresenta così una delle più cospicue coperture ideologiche di quell’alienazione capitalistica che urge denunciare.
E infatti il libero esame individuale può essere considerato come la prefigurazione del “libero” individuo borghese e la disarticolazione luterana della fede dalle opere, della grazia dalla natura, preparava l’accoglimento e la giustificazione della borghese separazione del privato dal pubblico, nonché dell’imperscrutabilità del cielo economico, alla cui grazia l’individuo veniva abituato a sottomettersi ciecamente.

L’importanza delle “poche considerazioni di Marx, nel Capitale, sul rapporto tra protestantesimo e capitalismo”, ha scritto Hobsbawm, sta nel fatto che esse ebbero “un

immenso influsso” e certamente rappresentano “una delle prime influenze indubbiamente
marxiste nella storiografia ortodossa” di un Sombart, di un Weber e di un Troeltsch.
Ma il demistificante confronto fra le forme di cristianesimo e forme di economia
capitalistica non si arresta qui.
Come già nel Manoscritti economico filosofici del 1844, anche nel Capitale Marx indica
l’analogia che collega la cattolica credenza nell’oggettiva efficacia dei sacramenti alla

credenza dell’economia politica capitalista nell’oggettività del sistema monetario; nonché la relazione che intercorre fra la valorizzazione protestante della fede soggettiva e la fededell’economia politica capitalista nel sistema creditizio.

Un ultimo paragone –supremamente demistificante- fra cristianesimo e capitalismo consiste nel verificare l’analogo atteggiamento critico che essi assumono nei confronti di religioni e di economie ormai tramontate, strettamente legato all’incapacità più evidenteall’autocritica. Come era già stato scritto nella La miseria della filosofia – cui qui vien fatto esplicito rimando- “le forme pre-borghesi dell’organismo sociale di produzione vengono quindi tratte dall’economia pressappoco come le religioni precristiane sono trattate da K.Marx, Il capitale, III libro: “ Il sistema monetario è essenzialmente cattolico, il sistema creditizio essenzialmente protestante. 

Come carta l’esistenza della monetaria delle merci ha soltanto una esistenza sociale. E’ la fede che rende beati. La fede nel valore monetario come spirito immanente delle merci, la fede nel modo produzione e nel suo ordine prestabilito, la fede nei singoli agenti della produzione come semplici personificazioni del capitale autovalorizzantesi. 
Ma come il protestantesimo non riesce a emanciparsi dai principi del cattolicesimo, così il sistema creditizio non si emancipa dalla base del sistema monetario”.
Con la rilevante conseguenza che un simile trattamento critico della pretesa assolutezza di forme precedenti di economia e religione finisce per sollevare il dubbio sull’asserita assolutezza e del cristianesimo e dell’economia capitalistica stessi, che ne viene esorcizzata.

Quanto sopra esposto sottolinea la pregnanza che Marx attribuisce ai predicati teologici
cristiani del dio-capitale ed all’analogia fra dogmi e riti dell’economia politica capitalistica e
del cristianesimo.
I dogmi del capitale

Intanto, uno dei predicati (e dei misteri) massimi della divinità cristiana consiste

nell’affermazione dell’unità e della trinità di Dio. Nel III libro del Capitale non a caso,
dunque, la sezione VII del cap.48, viene dedicata alla formula trinitaria e, trattandosi di una

categoria che “abbraccia tutti i misteri del processo di produzione sociale” capitalistico,

occorre ancora sottolineare come, anche qui, Marx ponga on primo piano il potere
demistificante del confronto analogico fra religione ed economia.
C’è ua profonda analogia fra la trinità cristiana e quella capitalistica (capitale-profitto; terrarendita fondiaria; lavoro-salario) già nel fatto che ambedue si presentino come mistero ai rispettivi credenti. Infatti il nesso interno che collega le tre figure delle due trinità rimane
loro occulto, in quanto costituito da tra “composizioni prima facie impossibili”.
I nessi fra le tre composizioni della trinità capitalista sono “assurdi e del tutto contraddittori”, proprio come l’unità di uno e tre nella trinità cristiana.
E al capitalista accade –davanti a questo mistero – quanto si verifica nel credente
cristiano. Quando si trova innanzi all’incommensurabile, allora –con caratteristico
rovesciamento religioso- “tutto gli appare chiaro ed egli non sente più il bisogno di riflettere
ulteriormente.

Egli è appunto pervenuto al razionale della concezione borghese”

Il razionale – cioè – del borghese (e del cristiano) non è altro che la paralisi della
riflessione, l’irrazionale contrabbandato per razionale, proprio come nella dogmatica
religiosa.

C’è qualcuno che ha voluto paragonare la razionalità cui allude Marx nella prospettazione

della sua utopia del comunismo alla ratio di dominio e di calcolo del capitalismo:
evidentemente non aveva sott’occhio, tra l’altro, questa pagina del Capitale, in cui Marx
addita nella ratio capitalistica il sommo dell’irrazionalità.
Nell’ideologia capitalistica, infatti, “i nessi delle forme irrazionali in cui si manifestano e si
riassumono praticamente determinati rapporti economici, non toccano i concreti
rappresentanti di questi rapporti nella loro vita quotidiana; e poiché essi sono abituati a
muoversi nel loro ambito, non trovano in esse nulla di strano.

Una contraddizione totale non ha quindi nulla di misterioso per essi. Nelle manifestazioni assurde, estraniate dal loro legame interno e prese isolatamente, essi si sentono a loro agio come un pesce nell’acqua. Vale qui ciò che Hegel dice riferendosi a certe formule matematiche, ossia ciò che sembra irrazionale al senso comune è razionale, e ciò che ad esso sembra razione è l’irrazionalità stessa”

La stessa situazione di fede (credo che l’assurdo sia razionale) accomuna dunque cristiani

e capitalisti, che non sono in grado (anche se credono) di cogliere il nesso che collega

l’unica sostanza (ossia il valore complessivo del prodotto umano) alla sua disarticolazione
in tre fonti diverse. L’entità molto mistica del capitale ha dunque come proprio ambiente caratteristico il mondo stregato e capovolto della struttura economica borghese, in cui si aggirano i fantasmi di Monsieur le Capital e di Madame la Terre, entità sacre alla capitalistica religione della vita quotidiana, che simpateticamente adombra quella cristiana.
Ma le analogie fra capitalismo e cristianesimo non si arrestano qui.
Oltre alla trinità, essi hanno in comune il mistero dell’incarnazione.

La Menschwerdung, il divenir umanamente sensibile di dio, ha analoga corrispondenza nell’incarnazione visibile del lavoro nella merce; nel farsi persona dell’invisibile capitale nel visibile capitalista.

D’altra parte , se si considera il valore nella sua inseità (in relazione privata con se stesso)
e non in relazione al mondo delle merci, come denaro figliante denaro, con la proprietà
occulta di partorir valore, allora esso “si distingue come valore originario, da se stesso
come plusvalore, allo stesso modo che dio padre si distingue da se stesso come dio figlio,
ed entrambi sono coetanei e costituiscono di fatto una sola persona, poiché solo mediante
il plusvalore di dieci sterline le cento sterline anticipate diventano capitale, e appena sono
diventate capitale, appena è generato il figlio, e mediante il figlio padre, la loro distinzione
torna a scomparire, ed entrambi sono uno, centodieci sterline”
Del resto, la duplice natura del Cristo può chiarire anche “il doppio modo di esistenza” che
la merce deve assumere “per rispondere ai requisiti imposti dalla circolazione”
Il lato sensibile della merce è il suo valore d’uso; la sua “forma autonoma per quanto
ideale” la sua “proprietà sopra-natuale” è il valore di scambio. La merce “deve cioè
apparire come unità (tuttavia sdoppiata) di valore d’uso e di valore di scambio”
Le analogie dei misteri cristiani e di quelli capitalistici non sono ancora esaurite.
Nella sua forma di capitale monetario produttivo d’interesse, in cui ha esistenza continuata
come denaro – “una forma nella quale tutti i suoi tratti determinati sono cancellati e i suoi
elementi reali sono invisibili”- il capitale assume l’apparenza – proprio come il dio ebraico
(parente prossimo di quello cristiano) – di creatore ex nihilo: “Come per gli alberi il
crescere, così al capitale monetario il produrre denaro” (τòχος dice il greco antico, con
doppio significato di nato, cosa generata e di interesse) “appare in questa forma una
proprietà natuale”
D’altra parte, peccato originale può essere utilmente paragonato al mistero cui ricorre
l’ideologia dell’economia politica borghese per esplicare l’arcano dell’accumulazione
originaria: “Nell’economia politica quest’accumulazione originaria fa all’incirca la stessa
parte del peccato originale nella teologia: Adamo detto un morso alla mela e con ciò il
peccato colpì il genere umano. Se ne spiega l’origine raccontandola come aneddoto del
passato. C’era una volta, in una età da lungo tempo trascorsa, da una parte una èlite
diligente, intelligente e soprattutto risparmiatrice, e dall’altra c’erano degli sciagurati oziosi
che sperperavano tutto il proprio e anche più. Però la leggenda del peccato originale
teologico ci racconta come l’uomo sia stato condannato a mangiare il suo pane nel sudore
della fronte; invece la storia del peccato originale economico ci rivela come mai vi sia della
gente che non ha affatto bisogno di faticare”
Il circolo vizioso delle teologia chiarisce anche qui il circolo vizioso dell’economia, che
presenta un risultato come punto di partenza.
La transustanziazione (l’oro che è un reale metallo determinato ed è, nello stesso tempo,
come denaro, l’equivalente generale delle merci; così come il vino è se stesso e, nello
stesso tempo, il sangue di Cristo); il rapporto anima-corpo (“il prezzo, ossia la forma di
denaro delle merci, è, come la loro forma di valore generale, una forma distinta dalla loro
forma corporea tangibile reale” rapporto papa-fedeli (pretendere di mantenere la
produzione di merci e insieme di abolire l’antagonismo merce-denaro “sarebbe come
abolire il papa e lasciar sussistere il cattolicesimo”); sono ancora altre analogie che,
insieme a quella –generalissma- della mediazione, Marx utilizzava perché
vicendevolmente ideologia cristiana e ideologia capitalistica si demistificano.
Il destino della religione
Da questa rassegna mi pare che si possa a sufficienza ricavare il convincimento che la
critica religiosa non è affatto cosa secondaria nel Capitale, visto che si annida nelle più
sottili analisi marxiane delle categorie mistificate dell’economia capitalista e contribuisce
notevolmente a smascherarle.
Se l’alienazione religiosa è ancora per Marx tanto paradigmatica da costruire una cartina
tornasole per la denuncia dell’alienazione socio-economica del capitalismo, è chiaro che,
nel Capitale, deve trovar posto anche un’indicazione sul destino della religione.
Ed è questo uno degli aspetti più nuovi della teoria religiosa marxiana, perché non solo
riprende ma approfondisce quanto il Marx giovane aveva già indicato.
Come alienazione sovrastrutturale è ovvio –marxianamente- che la religione debba
seguire il destino della rispettiva struttura socio-economica portante, ma, trattandosi di una
forma ideologica lo sfruttamento di classe comune non al solo capitalismo, ma a tutte le
società in cui vige lo sfruttamento di una classe sulle altre –come aveva ben chiarito il
Manifesto del Partito Comunista
è evidente che non basterà un semplice mutamento di strutture sociali ed una aumento della conoscenza a toglierla. Non basterà, cioè, il solo toglimento della proprietà privata (e delle regioni sovrastrutturali ad essa connesse) a provocare la sparizione.
“Il riflesso religioso del mondo reale può scomparire, in genere, soltanto quando i rapporti
della vita pratica quotidiana presentano agli uomini giorno per giorno relazioni chiaramente
razionali tra di loro e fra loro e la natura. La figura del processo vitale e sociale, cioè del
processo materiale di produzione, si toglie il suo mistico velo di nebbie soltanto quando
sta, come prodotto di uomini liberamente uniti in società, sotto il controllo cosciente e
condotto secondo un piano. Tuttavia, affinché ciò avvenga, si richiede un fondamento
materiale della società, ossia un serie di condizioni materiali di esistenza che, a loro volta,
sono il prodotto naturale originario della storia di uno svolgimento lungo e tormentoso”.
Non una semplice conversione della società capitalistica al socialismo può dunque
produrre meccanicamente la dissoluzione della religione, ma l’attuazione di una quotidiana
razionalità nei rapporti di vita pratici fra uomo e uomo e uomo e natura. Razionalità che,
come si è visto precedentemente, Marx è ben attento a contrapporre alla razionalità del
capitale, che è, in realtà, una irrazionalità con la maschera della religione.
Il richiamo ad una nuova, utopica, razionalità, è la traduzione –nel linguaggio del
Capitaledell’utopia marxiana dei Manoscritti economico filosofici del 1844, dove si prospettava il comunismo come naturalismo compito dell’uomo e umanismo compiuto della natura. Un concetto-progetto che trova riscontro in uno dei punti più utopici del Capitale, laddove si affronta il tema del regno della libertà “Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria.
Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare
e per riprodurre la sua vita, così deve fare anche l’uomo civile e lo deve fare in tutte le
forme della società e sotto tutti i possibili modi di produzione. A mano a mano che egli si
sviluppa il regno delle necessità naturali si espande, perché si espandono i suoi bisogni,
ma al tempo stesso si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni. La
libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i
produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura,
lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una
forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minore possibile impiego di energia e
nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa. Ma questo
rimane sempre un regno della necessità.
Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero
regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della
necessità.”
L’avvento della razionalità e il conseguente toglimento della situazione di dipendenza nei
rapporti dell’uomo con l’uomo e con la natura è dunque l’istanza utopica cui va
essenzialmente collegata la fine della religione nel Capitale.
Come ho già anche altrove notato la razionalità di cui parla Marx nel corso dei tre libri
del Capitale è radicalmente altra dalla ratio capitalistica che, sovente, come scrive Marx
nel II libro del Capitale, per esempio, nel ciclo del capitale monetario, procede mediante
distinzioni che sono a-concettuali.
La razionalità anti-capitalista di Marx va indubbiamente collegata anche al tema
dell’emancipazione dei sensi ed attributi umani, alla loro umanizzazione utopica, a venire.
Siccome dunque in essa, si dispiega anche quell’atteggiamento estetico che, già per i
Manoscritti del 44, è essenziale al futuro uomo marxiano, si deve intendere questa
razionalità, nei riguardi della natura, non tanto come dominio, quanto come
contemplazione-fruizione di essa, che, d’altra parte, liberata dall’asservimento capitalistico,
si protende verso l’uomo, va progressivamente umanizzandosi.
Per atteggiamento razionale dell’uomo nei confronti della natura si deve quindi intendere,
marxianamente, con confronto libero dell’uomo con la natura: il che esclude possa trattarsi
di una capitalistica razionalità di dominio o di un semplice controllo cosciente di essa.
Chi dunque ritenesse possibile relegare –sulle ore di un Garaudy- le denunce dell’oppio
del popolo nella zona di pensiero giovanile e (a suo avviso) non marxista di Marx; così
come chi –perdendo di vista il lato utopico del Capitale- giudicasse che il persistere della
religione in alcuni paesi ad economia di transizione (non ancora pervenuti alla razionalità
cui Marx allude) sia in grado di smentire l’analisi marxiana; e chi, ancora, giungesse
addirittura a prevedere, con l’avvento di una società senza classi, anche la possibilità
dell’instaurazione di una religiosità non ambigua e di una spiritualità integrale, si pone al
di fuori del genuino pensiero marxiano, che, sino alla fine –checché ne pensi un
Wackenheim che vorrebbe arrestare l’elaborazione al 48 sviluppa incessantemente il
tema della critica religiosa.
La lettura del Capitale conferma non solo il vivissimo interesse che il Marx maturo
dimostra per la religione, ma soprattutto ‘essenziale legame che unisce – nel suo
pensiero- la denuncia dell’alienazione religiosa e quella del feticismo capitalistico.
Chi dunque –come alcuni comunisti dialoganti con i cattolici- ha cercato di enucleare la critica religiosa dal resto del pensiero marxiano per respingerla, forse non si è accorto che con la vasca rischiava di gettare anche il bambino.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :