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La rendicontazione dei magistrati nell'antica Atene

Creato il 18 marzo 2013 da Natale Zappalà

La rendicontazione dei magistrati nell'antica Atene
Spesso si suole paragonare il funzionamento delle democrazie moderne al ben più antico modello ateniese di età classica. Un paragone certamente più autoreferenziale che calzante: si sa, rivendicare eredità plurimillenarie senza prestare la dovuta attenzione alla diversità dei contesti storici rappresenta un metodo ottimale per legittimare propagandisticamente idee, modelli e sistemi di riferimento in realtà molto più vicini nel tempo. In estrema sintesi, il sistema politico ateniese di V-IV sec. a.C. si basa essenzialmente sui principi-cardine della isonomia, l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, e della isegoria, la libertà di espressione. Tutti i cittadini maschi adulti – con la conseguente e categorica esclusione delle donne, degli schiavi e degli stranieri – prendono parte attivamente alla conduzione dello stato, partecipando alle riunioni della ekklesia (l'assemblea popolare), potendo inoltre venire sorteggiati come buleuti – i 500 membri della Boulé, una sorta di “parlamento” con vitali funzioni amministrative, legislative e giudiziarie – o come giudici popolari. In entrambi i casi il cittadino estratto a sorte, retribuito con una diaria giornaliera minima, esercita la arché, una parola che, con estrema cautela, può essere tradotta in “magistratura”, termine specifico oggigiorno per designare di norma un giudice o un pubblico ministero. Nell'antica Atene qualsiasi cittadino, se sorteggiato, può amministrare la giustizia: non esistono giudici di professione. Esistono, in definitiva, molte differenze marcate fra le democrazie moderne e quella ateniese, alcune delle quali significative per fare giustizia di un luogo comune: che il mondo moderno sia basato su principi e meccanismi più ugualitari o semplicemente più “evoluti” rispetto a quello antico. Una disamina approfondita sulla procedura di rendicontazione dei magistrati ateniesi dovrebbe sufficientemente dimostrare la lontananza concettuale intercorrente fra le due realtà. Una volta sorteggiato il magistrato ateniese viene sottoposto ad un esame preliminare (dokimasia) consistente in una procedura pubblica, durante la quale i consiglieri della Boulé verificano la pienezza dei diritti di cittadinanza del candidato: le origini familiari, la partecipazione alle cerimonie religiose e l'espletamento degli obblighi fiscali e militari. Solo dopo l'esito positivo della dokimasia il magistrato può prestare giuramento ed entrare in carica. Sull'attività magistratuale vengono poi effettuati controlli periodici (alla fine di ogni pritania, paragonabile ad una mensilità odierna)e definitivi da parte di due distinti collegi di revisori, i logistai e gli euthynoi. I logistai si occupano in maniera specifica della rendicontazione dell'operato dei magistrati con competenze finanziarie, in altri termini tutti coloro che gestiscono denaro pubblico; essi possono agire anche a seguito di eventuali denunce avanzate da qualsiasi privato cittadino. Il magistrato che incorre in accuse di malversazione – accertate dalla Boulé sulla base delle relazioni dei logistai – può sempre ricorrere in appello presso il tribunale popolare. Gli euthynoi integravano i compiti dei logistai annuali, verificando i rapporti annuali sulle archai, le eventuali denunce pendenti e soprattutto la correttezza formale di tutti gli atti compiuti dai magistrati, in ossequio alle leggi. Gli eventuali reati venivano discussi e giudicati dal tribunale popolare dei Quaranta in caso di controversia riguardante l'ambito privato, e dai Tesmoteti nella prospettiva di delitti contro la comunità intera. Non sarà superfluo sottolineare che si tratta di un processo vero e proprio, al quale tutti i magistrati, corretti e corrotti, sono soggetti. Essi, finché non vengono ultimate tutte le fasi della rendicontazione, non possono abbandonare la città, subiscono il blocco momentaneo del patrimonio e sono esclusi dalle pubbliche manifestazioni, in virtù di quello che un principio basilare della politeia (“costituzione”) vigente, sottolineato da autori come Erodoto e Tucidide: non esiste isonomia (in questo senso sinonimo di “democrazia”) senza il diritto, da parte dei cittadini, di controllare, giudicare, ed eventualmente condannare i detentori del potere. Non esiste ad oggi nelle democrazie occidentali del XXI secolo uno strumento di controllo dei politici o dei magistrati in qualche modo paragonabile alle euthynai. Si riservi all'immaginazione dei lettori la possibilità di ipotizzare cosa avverrebbe, in Italia per esempio, se tutti i parlamentari subissero a fine mandato un processo preventivo. Ciò che importa sottolineare, in definitiva, è una riflessione, indubbiamente soggettiva e perfettibile: gli antichi seguivano un'ideale di democrazia maggiormente rispondente al significato profondo del termine ed ai diritti essenziali e inaleniabili di cui tutti i cittadini dovrebbero godere.
Natale Zappalà

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