Chi “produce” comunicazione – come risulta evidente dal contesto digitale – può valutare e persino conoscere chi verrà esposto alla stessa comunicazione. Però “cosa succeda nella mente di chi riceve/fruisce la comunicazione – lo dice Enrico Sola di Suzukimaruti – è materia per psicologi di massa, ricerche di mercato, analisi qualitative, focus group, cartomanti, aruspici, medium”: se la Rete non sposta i voti, vuol dire che la Rete li crea, e che però la misura dell’efficacia di un contenuto non può più essere basata sul numero delle visulizzazioni. Avrà ragione la “fisica” quando mette l’accento sulla differenza tra i nodi che rientrano all’interno dei “superatissimi” sei gradi di separazione?
In riferimento al Medio Oriente, a New York si è parlato di narrativa della rivoluzione, di condivisione emotiva, di empatia davanti alla sofferenza di un ragazzo che potrebbe assomigliarmi. La Rete si muove e interviene nello spazio-tempo delle regioni, e il contributo della politica nel superamento delle leggi che ne limitano l’accesso è davvero fondamentale.
L’esperienza della connessione quindi “è legata ai luoghi che abitiamo”. Il consumo di Internet – lo dice Giovanni Boccia Artieri – sta passando da una condizione di staticità (ovvero una connessione tra computer di tipo fisso) a una connessione “in transito”, che passa ad esempio attraverso i comunissimi dispositivi cellulari. La recente crescita di un social network come Twitter sarebbe in gran parte determinata proprio da queste dinamiche.
Dunque la Rete – che bisogna vivere per saper fare e che non è solo quantità ma qualità e psicologia – è davvero in movimento. È per questo che a dire che non si ferma a guardare la televisione non ci riesco.