La ricerca della bellezza e la democrazia
Da Marcoscataglini
Sin da piccolo mi sono sempre sentito ripetere: non è bello quel che è bello, ma è bello quel che piace. Una frase che fa inorridire i critici d'arte e gioire tutti gli altri, perché sposta la responsabilità della bellezza al puro gusto personale, e sembra adombrare una democraticità dell'estetica. La questione è spinosa per chiunque si occupi di bellezza e della sua "comunicazione", cioè, in particolare, tutti gli artisti. Insomma, se diventa bello tutto ciò che la maggior parte delle persone ritiene sia tale, allora anche tutte le mostruosità commesse, ad esempio, contro il paesaggio, se alla maggioranza piacciono, non possono certo essere definite brutte. Le villette stile geometra che invadono coste, monti e campagne dell'ex-bel paese sono belle o brutte? Per chi ha un minimo di sensibilità sono orrende, ma magari per la maggior parte dei cittadini (quelli, in pratica, che le abitano) sono bellissime. Il critico e l'appassionato trovano splendido "Guernica" di Picasso, ma molti trovano che sia solo un imperscrutabile scarabocchio. Chi ha ragione? Se facciamo per alzata di mano, Picasso verrebbe liquidato come un incapace, e la stragrande maggioranza dei pittori, scultori e fotografi contemporanei come dei disonesti, furbi e venduti al mercato! Il punto è che la democrazia è un sistema assolutamente imperfetto, sebbene -come diceva Churchill- il migliore che sinora siamo riusciti ad inventare. Infatti,sembra intuitivo che lasciar decidere la maggioranza (di qualunque argomento si parli) sia il sistema più giusto per ottenere risultati degni. Ma perché possa definirsi democratico, un sistema deve mettere alla pari il voto di ciascuno. Il voto di un ignorante totale, che non legge i giornali, non si informa, snobba la cultura, schifa l'impegno verso gli altri, e magari è razzista ed evasore fiscale vale esattamente quanto il voto della persona colta e informata, che si interessa all'arte e al bello, che lotta per la salvaguardia del pianeta o per qualsiasi altra causa che possiamo immaginare. Eccola la macagna del sistema democratico: che non tiene conto del livello delle persone, e in nome della giustizia e dell'uguaglianza, azzera le differenze. Che ci sono, e sono pesanti. Inoltre non tiene conto di un'altro dato fondamentale: che la maggioranza è, purtroppo, indiscutibilmente mediocre. In altre parole: le persone brave, colte, gentili e disponibili sono tante, ma pur sempre una minoranza. La legge dei grandi numeri lotta contro l'ottimo, si accontenta del meglio. Si potrebbero immaginare dei correttivi, come il voto consentito solo a coloro che superano un esame che dimostri il loro essere buoni cittadini, ma è ovvio che siamo nel campo della fantapolitica. E anche il sistema di certo più funzionale, cioè l'oligarchia, quindi il governo dei migliori, scelti sulla base dei meriti assoluti e delle capacità intellettive, scivolerebbe facilmente nella dittatura e nella supremazia di pochi attirati solo dal potere. Perciò, mentre attendiamo che qualcuno si inventi un sistema un po' più intelligente ed equilibrato, possiamo almeno fare in modo che la democrazia non distrugga completamente il campo dell'estetica, trovando il modo di tener conto dei gusti personali, ma solo di quelli che in qualche modo seguono l'arte, hanno sviluppato un senso estetico, e perseguono il perfezionamento della propria sensibilità. Certo, tutto questo semplifica solo fino a un certo punto la questione. Come ha scritto lo scrittore Raffaele La Capria, "quando dico (...) che le Demoiselles d'Avignon sarà pure un punto di svolta della storia dell'Arte ma nun me piace, non parlo del bello e del brutto soggetto al mutare del tempo e alle oscillazioni del gusto, parlo di tutte quelle opere d'arte che non mi comunicano un'emozione artistica paragonabile allo stupore e alla meraviglia". D'altra parte, continua La Capria "i maestri dell'interpretazione dicono che l'ideale occidentale classico di bellezza si è oramai consumato". E, aggiungo, a quanto pare non siamo ancora stati capaci di trovare un altro "ideale" condiviso: perciò ci arrangiamo con ciò che piace, o con ciò che qualcun altro ci dice debba piacerci. Se non altro perché vale un sacco di soldi...
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