La ricetta anti-crisi che non c'è

Creato il 06 agosto 2011 da Episteme

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (PdL)


L'Italia, come i telegiornali continuano a ripetere ormai con una certa insistenza, è da tempo uno dei centri della crisi finanziaria internazionale; le debolezze strutturali del Paese lo hanno reso un bersaglio privilegiato per attacchi finanziari di tipo speculativo e non solo, al punto che parole come spread, fino a non molto tempo fa sconosciute ai più, stanno diventando parte del lessico quotidiano dei mezzi di informazione.
Proprio per fare il punto sulla situazione economica il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha tenuto un discorso al Parlamento nella giornata del 3 agosto, alle ore 17:30 - dopo quindi la chiusura della Borsa di Milano.
Il testo del discorso, che si può trovare a questo link sul sito della Camera dei Deputati, può essere riepilogato nel seguente tag cloud, ottenuto tramite Wordle:

Tag cloud del discorso di Silvio Berlusconi
alla Camera dei Deputati


Il tag cloud permette di evidenziare i temi salienti del discorso di Berlusconi, ma si vede fin da subito come l'elemento didascalico abbia fortemente prevalso su quello propositivo: le parole dominanti sono infatti "governo", "Europa", "economia", "pubblico" e "Paese", ovvero termini più adeguati ad una lezione teorica sullo stato della crisi. Per dirla con le parole di Eugenio Scalfari su La Repubblica, termini più adatti ad una relazione della Banca d'Italia che ad un discorso politico di rilancio economico.
Domina a onor del vero nel tag cloud anche il verbo "fare", ma mancano le declinazioni di un simile intendimento. "Fare" cosa? Quali sono le proposte del Governo? La parola più di spicco in questo senso è "finanziaria", ma in questo aspetto il verbo "fare" è necessariamente coniugato al passato. I mercati hanno salutato l'approvazione della finanziara con un'ulteriore iniezione di sfiducia verso il nostro Paese, quindi riportare alla mente la manovra non fermerà la speculazione adesso. Si parla di "crescita", ma così come "fare", è una parola che senza alcuna specificazione può voler dire tutto e niente. Solo scendendo tra le parole più piccole si iniziano a cogliere alcuni dettagli come "sviluppo", "investimento", "decreto", assieme a qualche accenno alle famiglie e alla produttività.
Se, come emerso nel tag cloud, il discorso di Berlusconi è stato più legato alla circostanziazione della crisi che alle possibili vie d'uscita, l'analisi del testo del discorso non fa che confermare quanto emerso dalle parole chiave. La prima metà dell'intervento (49% circa del totale), infatti, è interamente dedicata alla descrizione della crisi internazionale e al posizionamento dell'Italia in questo contesto, in una lunga elencazione di provvedimenti già approvati e divenuti legge negli anni e nei mesi passati.
Solo nella seconda parte si accenna ad un programma per il futuro, articolato in più punti.
In primo luogo l'attuazione del federalismo, inteso in questo ambito come strumento di riduzione della spesa dello Stato centrale. In realtà la dichiarazione di Berlusconi non affronta il tema dello spostamento delle spese dal centro alla periferia, rendendo di fatto piuttosto vuoto il passaggio. Vi è poi un accenno alle privatizzazioni, ma di nuovo senza scendere nel dettaglio, agli investimenti nel mezzogiorno (circa 7 miliardi) e alla riforma fiscale. Per quest'ultima viene più volte fatto riferimento alla legge-delega di prossima approvazione, ma senza illustrare la direzione ed i contenuti su cui realmente si andrà ad intervenire. Questi passaggi, sommati assieme, occupano il 19% circa del discorso.
Gli unici interventi dettagliati di cui parla Berlusconi sono gli adeguamenti dei costi della politica (9% circa del tempo totale del discorso): abolizione delle province, riduzione delle auto blu, riduzione dei compensi dei parlamentari.
Eppure, pur essendo l'unico passaggio dove il Presidente del Consiglio ha mostrato concretezza, è difficile ritenere che questo punto programmatico possa dare maggior fiducia ai mercati: di fatto, la mancata approvazione della legge sull'abolizione delle province all'inizio dell'estate, la bocciatura dell'emendamento alla finanziaria che ne prevedeva l'accorpamento per quelle sotto il mezzo milione di abitanti, e soprattutto il rinvio di qualsiasi manovra in grado di incidere sui reali costi della politica italiana alla prossima legislatura rendono poco credibile, agli occhi di un osservatore esterno, quanto promesso dal premier; questa sfiducia di fondo, unita al valore comunque più simbolico che altro di questa tipologia di interventi, rende il passaggio di Berlusconi uno slogan elettorale più che una reale dichiarazione di intenti.
Ciò che tuttavia rende quasi surreale il discorso del Presidente del Consiglio è il messaggio di fondo che traspare, da un lato di un'impotenza disarmante - "i fondamentali dell'Italia sono solidi, gli attacchi completamente ingiustificati" - e dall'altro di rivendicazione delle attività svolte quasi in una parossistica negazione della realtà dei fatti - "i mercati non capiscono quello che abbiamo fatto".
La pochezza delle proposte di sviluppo presenti nel discorso, sia in termini numerici che di consistenza, trova giustificazione agli occhi del premier proprio per la sua incapacità di comprendere come sia possibile un simile attacco al nostro Paese.
Eppure l'attacco esiste, e non è un caso che sia stata scelta l'Italia e non un'altro Paese.
Il discorso di Berlusconi non affronta il nodo cruciale: se è operativa una speculazione contro l'area euro e l'Italia è divenuta meta privilegiata degli speculatori, le cause possono essere o economiche oppure politiche.
Se i nostri fondamentali sono sani, il problema deve essere politico; se non lo sono, tocca comunque alla politica rimetterli a posto. Ma se le proposte del Governo sono poche e confuse, difficilmente potranno convincere i potenziali investitori.
Berlusconi di fatto scommette che l'attacco al nostro Paese sia puramente virtuale, senza fondamento e quindi senza possibilità di intaccare l'economia reale del Paese; scommette che il fatto che i mercati valutino le banche italiane la metà del loro valore di capitalizzazione non avrà effetti sulla salute di quelle banche; scommette che i tassi di interesse che siamo costretti a pagare sul nostro debito per via della speculazione non manderanno fuori controllo i nsotri conti.
Si tratta di una visione forse obbligata per il premier, incapace di pensare che egli stesso possa essere la causa, o quantomeno una delle cause, della sfiducia con cui il mondo guarda all'Italia.
Eppure l'immobilismo legislativo che sta caratterizzando questi anni, l'assenza di progetti concreti per lo sviluppo, l'assenza di reali misure contro la corruzione che attanaglia il sistema economico del Paese e contro l'evasione fiscale, l'ossessione del Presidente del Consiglio per il tema della giustizia a scapito di qualsiasi altro argomento, la negazione - fino a non molto tempo fa - dell'esistenza stessa della crisi economica globale e quindi l'assenza di misure in campo per arginarla e contrastarla sono tutti fattori politici che contribuiscono fortemente a rendere il nostro Paese il bersaglio ideale per attacchi speculativi.
Come far cambiare idea al mercato? Se veramente esiste un piano, un "complotto", per far naufragare l'euro, formato da imponenti poteri finanziari sia dentro che fuori la moneta unica, difficilmente sarà possibile tenersene al di fuori; una simile sfida ha dimensioni ben superiori a quelle degli Stati nazionali e non può essere affrontata e vinta se non con un fronte ampio e coeso di politica monetaria - fattore che comunque manca all'Europa, essendo la BCE prona al volere tedesco ed essendo la Germania stessa tra i principali sospettati di volere la fine dell'euro o comunque l'uscita dalla moneta unica di alcune economie deboli.
Ciò che rientra nelle possibilità di uno Stato è tuttavia la capacità di porsi al di fuori della lista dei papabili per gli attacchi speculativi. Perché lo spread della Francia è - pur in salita - così inferiore al nostro? Perché le economie dei Paesi nordici, con un PIL così inferiore a quello italiano, non sono prese di mira dagli speculatori? Possibile che sia solo questione di debito pubblico?
La risposta, con ogni probabilità, è politica. Altrove la serietà delle istituzioni e le loro capacità di intervento sono garanzie sufficienti. In Italia no. E non è nemmeno un problema costituzionale come afferma il Presidente del Consiglio in modo forse subdolo - "non riesco a salvare il Paese perché non ho sufficiente potere" - dal momento che tra i Paesi al momento non a rischio vi sono situazioni istituzionali piuttosto simili alla nostra in termini di ampiezza del potere esecutivo e che la stessa Italia, anche in passato, ha saputo dimostrare con questa struttura costituzionale di potersi tirar fuori dalle crisi economiche.
Il problema è quindi la fiducia: come è stato anche evidenziato in questo articolo di Termometro Politico gli attacchi al nostro Paese non hanno impedito la vendita degli ultimi BTP a interessi nettamente inferiori a quelli di mercato; inoltre, a fronte di una situazione economica e politica sempre uguale a sé stessa negli ultimi anni, è solo nelle ultime settimane che i nostri tassi di interesse hanno iniziato ad andare alla deriva, ovvero da quando le ultime elezioni amministrative e le consultazioni referendarie hanno reso il Governo - già squassato da vere e proprie faide inetrne - ancora più fragile.
Il discorso di Berlusconi ha consentito di arginare, almeno in parte, questo fenomeno? Per rispondere, è sufficiente osservare l'andamento dello spread del nostro Paese dal primo luglio, confrontandolo con quello di altre due economie paragonabili alla nostra, Spagna (sotto attacco come noi) e Francia (al momento al sicuro).

Spread di Spagna, Italia e Francia (01/07/2011 - 04/08/2011


Dal grafico ricavato dai dati di Bloomberg1 si ricavano in particolare due conseguenze: da un lato che l'intervento di Berlusconi non solo non ha giovato all'Italia, e che anzi il nostro spread è salito di 21 punti base in un solo giorno; dall'altro che l'Italia vede comunque una progressiva erosione di fiducia superiore a quella degli altri Paesi.

Spread di Spagna e Francia in relazione all'Italia
(01/07/2011 - 04/08/2011)


Come si vede dall'istogramma che riporta lo spread di Spagna e Francia rispetto all'Italia, il nostro Paese partiva a inizio luglio con un credito di fiducia verso gli iberici di circa 50 punti, mentre il giorno dopo il discorso di Berlusconi ne restano una decina scarsa, e con un debito di fiducia verso i transalpini di quasi 150 punti, dilatati in meno di quaranta giorni ad oltre 300.
Il nostro Paese, in ultima analisi, sta soffrendo la crisi decisamente peggio degli altri Stati con i quali è lecito confrontarci; la politica, invece che porre un freno al problema, pare esserne parte in modo strutturale, a causa della propria incapacità di agire ed affrontare a viso aperto i problemi strutturali dello Stato; il Governo pare incapace di formulare un piano di qualsiasi genere per restituire credibilità alla nostra economia, trincerandosi dietro una negazione della realtà che non farà altro che peggiorare la nostra situazione.
Zapatero in Spagna ha già annunciato le proprie dimissioni e le elezioni anticipate, ritenendosi parte del problema. Berlusconi ha invece deciso di proseguire - ne ha d'altronde pienamente il diritto - fino a fine legislatura.
Ma i mercati internazionali - grandi gruppi finanziari e piccoli risparmiatori - lo hanno a quanto pare bocciato, e con lui l'Italia.
1: le pagine del sito di Bloomberg relative allo spread di Italia, Spagna e Francia entrano a far parte delle fonti del blog.

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