Nell’ultimo bollettino della Banca Centrale Europea compare un box dal titolo “Downward wage rigidity and the role of structural reforms in the euro area”. Secondo i tecnici di Francoforte, la rigidità dei salari verso il basso impedisce l’aggiustamento macroeconomico nei paesi periferici dell’area euro. I tecnici sottolineano che “Per migliorare la resistenza dell’economia agli shock, i salari devono riflettere adeguatamente le condizioni del mercato del lavoro e della produttività; da ciò l’importanza di riforme che favoriscano una maggiore flessibilità salariale e differenziazione tra lavoratori, imprese e settori”. Francoforte plaude quindi ai paesi che hanno implementato le riforme strutturali, riducendo la legislazione a protezione dei lavoratori, e in particolare le forme di indicizzazione salariale, le norme contro i licenziamenti e la contrattazione collettiva.
In sintesi, secondo la BCE, i paesi in difficoltà devono ridurre le garanzie a favore dei lavoratori così che essi accettino salari minori, i quali porteranno poi a maggiore occupazione. Si tratta della solita, trita e ritrita, teoria neoclassica del mercato del lavoro, secondo la quale la disoccupazione dipende dal fatto che, a causa di distorsioni introdotte dal legislatore, i salari sono più alti del valore di equilibrio che porterebbe alla piena occupazione.
Del perché questa modellizzazione sia profondamente sbagliata ce ne siamo occupati molte volte. Qui però vogliamo affrontare un altro problema: cosa succede se i salari (nominali) si riducono? Un effetto molto probabile è la riduzione dei prezzi (cioè la deflazione), o almeno la loro crescita a tassi irrisori, ben al di sotto del 2% che è l’obiettivo della stessa BCE. Un fenomeno che l’Europa vive da qualche anno e che la BCE, a parole, dice di voler combattere. La conseguenza della deflazione è che i debitori si trovano sempre più indebitati: la famiglia che ha un mutuo, mentre vede i salari ridursi, avrà sempre più difficoltà a pagare le rate; un’impresa che abbia acceso un prestito vedrà ridursi i suoi flussi di cassa e quindi avrà anch’essa più difficoltà a rimborsare i debiti. Il risultato è che le banche vedono aumentare vertiginosamente le sofferenze bancarie e rischiano quindi di fallire. Con le nuove regole del bail-in, poi, i fallimenti comportano la riduzione dei risparmi delle famiglie, come abbiamo visto nel caso delle quattro banche popolari recentemente ristrutturate in Italia. E con i fallimenti bancari torna lo spettro delle fughe di capitali e del congelamento del credito, che la BCE aveva cercato di tamponare con il Quantitative Easing.
Insomma, la ricetta della BCE sui salari rischia di mettere a repentaglio gli stessi obiettivi della BCE e potenzialmente persino la tenuta dell’eurozona. Nel resto del mondo hanno già capito da tempo che ridurre i salari è la ricetta sbagliata e che anzi andrebbero aumentati. In Europa siamo ancora al medioevo della teoria economica e all’età della pietra nelle politiche.
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