Da quando hai aperto il contest, gentile mannalisa, non faccio che pensarci. Alle imperfezioni che adoro, ne avevo pensate tante, poi una mattina di dicembre una mi si è ficcata nella mente e da allora dipingo dentro di me questo post. Non ho foto, se non questa che adesso mi sono fatta, ma che non rende.
Ho sempre odiato andare dal parrucchiere. Non mi piaccio molto, ma con l'età si scende a compromessi con lo specchio e m'accontento. Di certo nelle notti insonni, quando mi faccio delle interviste e mi chiedo cosa vorrei cambiare di me, la risposta pronta è: i miei capelli. L'imperfezione che amo è quella dei capelli colorati e abbandonati al loro destino. Quella delle donne che incontro per strada, a scuola, al supermercato e che parla della loro vita e della nostra. La ricrescita delle adolescenti che si dipingono di blu per fare emergere la vena ribelle e che poi si abbandonano nel tempo a quel sottile e normale marrone che da dentro fuoriesce. La ricrescita delle mamme afflitte dai problemi, dai casini, dal lavoro e dalla parrucchiera che viene a casa e taglio e piega fanno dieci euro. La ricrescita delle nonne che vedo all'asilo che portano e prendono i bambini, tanto vecchiette mi sembrano e fragili e tenere che si direbbe che i bambini accompagnano loro e non viceversa. Ma anche la ricrescita di quel cinquantenne che abita in fondo alla via e che paga così la sua insicurezza. M'immaginavo in queste settimane, mentre pensavo a questo scritto, di poter possedere un'invisibile macchina fotografica e testimoniare con affetto quest'umanità che ha in testa un gran casino, a testimonianza del fatto che la finzione obbliga alla perseveranza. Ecco perché io di rado mi tingo. Perché ho la propensione alla ricrescita. In fondo spesso mi sento un po' tutte quelle donne: l'adolescente ribelle, la donna annaspante, la nonnina e perché no, il cinquantenne fragile.
