di Paolo Balmas
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L’attuale governo giapponese guidato da Shinzo Abe sta affrontando una serie di riforme che hanno come obiettivo un immediato rilancio dell’economia del Paese. All’estero, l’attenzione del pubblico è per lo più rivolta alla realizzazione del programma economico-politico, noto con il nome di Tre Frecce. Tuttavia, in Giappone, un’ampia parte del dibattito pubblico è riservata alla nuova interpretazione della Costituzione che permetterà la riorganizzazione delle Forze Armate e la possibilità di intervento in scenari di guerra per difendere i propri alleati. Ma negli ultimi tempi, anche un’altra questione sta suscitando l’interesse degli osservatori: la riforma del sistema di intelligence
Nel 1945, il governo di occupazione statunitense impose lo smantellamento delle Forze Armate e la creazione di una Forza di Autodifesa nazionale. Il sistema di intelligence fu ridotto al solo settore interno. Sin da allora manca un servizio esterno di raccolta delle informazioni. Eccezion fatta per le attività di Ambasciate e Consolati, l’intelligence internazionale dipende di fatto dagli Stati Uniti che, in nome dell’alleanza, forniscono una parte dei dati che raccolgono negli scenari ai quali Tokyo è direttamente interessata e che risultano utili ai fini della difesa nazionale.
Le sfide e le minacce del nuovo secolo impongono una revisione di tale sistema, poiché è ormai ovvia la necessità di un’intelligence sempre più sofisticata. Tuttavia, alcuni passi sono stati fatti negli ultimi anni. Ad esempio, in seguito alle continue provocazioni della Corea del Nord attraverso il lancio di missili a media gittata nel Mar del Giappone, si è sentito il bisogno di sviluppare un sistema indipendente di raccolta di informazioni geo-spaziali (in gergo geoint). Dal 1998, infatti, il Giappone è in grado di collezionarle autonomamente per mezzo dei propri satelliti. Inoltre, i fatti recenti legati alla morte dei due connazionali per mano dei militanti dell’IS, ha dimostrato che non si può più attendere per la creazione di una rete internazionale capace di raccogliere informazioni direttamente sul territorio.
Attualmente, il sistema di intelligence giapponese è costituito da cinque Agenzie.
Naikaku Joho Chosashitsu (Naicho): noto anche con la definizione inglese di Cabinet Intelligence Research Office (Ciro), raccoglie dati open source (tutto ciò che viene detto e scritto, non relativo a documenti classificati, in gergo osint) e geoint. Riporta ogni settimana i propri risultati direttamente al gabinetto del Primo Ministro e teoricamente dovrebbe coordinare il lavoro delle altre Agenzie; una funzione che di fatto non ha mai ricoperto. La difficoltà del lavoro risiede nel fatto che ha un numero limitatissimo di agenti (meno di duecento).
Johohonbu o Defence Intelligence Headquarter (Dih): è il servizio di intelligence del Ministero della Difesa. Raccoglie i dati provenienti dalle intercettazioni di diversi sistemi di comunicazione e dalle trasmissioni elettroniche (signal intelligence o sigint), grazie alle sei basi di ascolto e intercettazione dislocate per il Paese; è stato fondato nel 1997 per integrare e ampliare il lavoro della Forza di Autodifesa. Il personale è per lo più militare.
Ministero degli Affari Esteri: un ufficio interno al Ministero, l’Intelligence Analysis Service, ha il compito di raccogliere ed elaborare le informazioni provenienti da Ambasciate e Consolati.
Koanchosacho o Public Security Intelligence Agency (Psia): dipende dal Ministero di Giustizia; ha il compito di controllare i gruppi estremisti e sovversivi, oltre alle funzioni di controspionaggio e antiterrorismo, ma gli agenti che ne fanno parte non hanno la facoltà di organizzare azioni di polizia ed effettuare arresti. Dopo la riorganizzazione dell’agenzia avvenuta nel 1996, è stata aperta una sezione che si occupa della raccolta di informazioni in territorio straniero (Cina, penisola coreana e Federazione Russa. Presumibilmente, anche in altri Paesi dell’area). È l’unica agenzia, per il momento, che ha un servizio di raccolta diretta all’estero. Il totale degli addetti si aggira sulle 1.500 unità.
Keisatsucho o National Police Agency (Npa): alla generale funzione anticrimine, si aggiungono l’antiterrorismo e il controspionaggio. Nel Dopoguerra è stata l’agenzia che ha assunto la maggior parte delle funzioni di intelligence interne e ha chiaramente il compito di effettuare anche operazioni di arresto sul territorio nazionale. Il suo potere è dovuto al fatto che i propri agenti hanno accesso alle altre agenzie. Il lavoro di intelligence che dipende dal Dipartimento per la Sicurezza pubblica è organizzato in base a tre sezioni: affari internazionali, terrorismo internazionale e sicurezza pubblica. Ha un numero di effettivi maggiore rispetto alla Forza di Autodifesa: circa 300.000.
Ognuna di queste Agenzie riferisce direttamente al Primo Ministro, mantenendo una posizione parallela e indipendente rispetto alle altre. La riforma dell’intelligence si fonda sul principio che a questo sistema mancano due organismi: uno legato alla raccolta dei dati e uno alla gestione degli stessi.
Il compito del primo organismo consiste nella raccolta di dati attraverso l’esperienza umana diretta (in gergo humint) e sarebbe rappresentato da un’Agenzia capace di organizzare una rete di agenti per le missioni clandestine all’estero, che vada ben oltre i pochi agenti del Psia addetti alle missioni in territorio straniero. Il secondo, invece, avrebbe la funzione di raccogliere i dati di tutte le Agenzie e di rielaborarli per rendere più snello ed efficace il processo decisionale. Un filtro per organizzare l’intelligence prima di presentare i risultati al governo. Si tratta di una struttura ispirata allo statunitense Office of the Director of National Intelligence, istituito dopo i fatti dell’11 settembre 2001.
Mentre il primo avrà bisogno di un certo tempo per essere realizzato e portato a piena efficienza, il secondo beneficia di un passo già fatto nel 2013. Infatti, quell’anno è stata promulgata la Legge di segretezza speciale cha ha realizzato un sistema comune a tutte le agenzie di classificazione delle informazioni. Inoltre, ha imposto pene più severe per l’utilizzo illegale dei dati raccolti.
La riforma dell’intelligence giapponese non ha esplicitamente sviluppato la possibilità di istituire un’Agenzia specializzata in intelligence economica. Si tratta di un servizio di raccolta ed elaborazione di informazioni di tipo economico. Il fine è quello di fornire tali informazioni agli attori, sia pubblici che privati, direttamente impegnati in una determinata attività imprenditoriale con particolare attenzione ai settori strategici. Si pensi all’approvvigionamento energetico e all’industria mineraria. Ciò implica la delicata cooperazione fra settori pubblico e privato. In Giappone, si tratterebbe ad esempio di un’ipotetica collaborazione fra i servizi di Stato e le keiretsu, quelle grandiose corporazioni che detengono di fatto un’ampia porzione del potere economico.
Sebbene questo ambito dell’intelligence non sia in generale ancora sviluppato, si sente sempre di più il bisogno di affidarsi a nuove prospettive che permettano un miglioramento delle attività imprenditoriali da cui dipende la vita stessa delle nazioni. Questa riforma potrebbe essere un’occasione per il Giappone di finalizzare tale scopo. In fondo, gioverebbe alla nuova prospettiva di internazionalizzazione dell’industria che rientra nella politica del governo Abe.
La riforma dell’intelligence riprende quindi i due principi essenziali della legge che fu presentata sempre dal Partito liberal democratico di Shinzo Abe nel 2006: una rete di uomini per raccogliere informazioni all’estero e un ufficio che sappia sintetizzare i dati offerti da tutte le Agenzie, per aumentare le capacità d’intelligence e aiutare il processo decisionale dei futuri governi.
Nell’immaginario giapponese i servizi di informazione sono strettamente connessi alla sfera militare della società. In questa ottica la riforma rischia di diventare uno strumento politico nelle mani di coloro che mantengono ferma la posizione pacifista espressa dalla Costituzione del Dopoguerra. Infatti, uno degli effetti della proposta di legge è che una fascia della popolazione associa naturalmente la riforma dell’intelligence ai cambiamenti che il governo Abe sta applicando alle Forze Armate e all’industria della difesa.
Tuttavia, le condizioni in cui ci si appresta a operare nei prossimi anni negli scenari internazionali, impongono un rinnovamento del sistema di intelligence. Non solo per emanciparsi (almeno in parte) dall’ala protettrice degli Stati Uniti, ma anche per acquisire maggiore indipendenza e, soprattutto, affrontare le sfide del secolo che stiamo vivendo.
* Paolo Balmas è OPI Research Fellow e Head area Cina e Estremo Oriente
Photo credits: REUTERS/Issei Kato
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