La rivoluzione colorata in macedonia

Creato il 20 maggio 2015 da Conflittiestrategie

In Macedonia sta andando in scena una Majdan 2.0, con poche variazioni nella sceneggiatura. E’ un film già visto in tante occasioni. Da Praga a Il Cairo, dal 1989 fino ai nostri giorni, nulla sembra essere cambiato. Ormai, rivoluzione è sinonimo di reazione e di tradimento del proprio paese. A tessere la trama di queste ribellioni, volte a sovvertire governi regolarmente eletti, ci sono sempre gli stessi, gli Stati Uniti e i loro alleati. C’è chi come Gene Sharp, nel 1993, ha, persino, sistematizzato in un manuale le azioni da intraprendere per “abbattere una dittatura”. Sharp però non cita l’ingrediente essenziale per costringere alla capitolazione i legittimi rappresentanti del potere politico, ovvero il sostegno finanziario e militare di una potenza straniera. Senza questo imprimatur estero le proteste, nonviolente o meno, si esaurirebbero in breve tempo, con il ritiro dei manifestanti sconfitti dai luoghi pubblici, vivi o morti. Nessun “dittatore” o leader politico è disposto a cedere “il trono” solo perché quattro svitati con le bandiere in mano reclamano la sua testa. Non avviene nemmeno nei regimi democratici, figuriamoci in altri sistemi statali meno aperti. In Ucraina, se non fossero intervenuti agenti segreti e paramilitari, confusi tra la gente, la situazione non sarebbe mai precipitata. Ci sono voluti i cecchini sui tetti, i terroristi paranazisti sulle barricate e la resa dei tutori dell’ordine per far scappare Janukovic. Alla testa dei cortei più combattivi, il cui scopo è quello di abbattere regimi non collaborativi con l’Occidente, ci sono sempre infiltrati dell’intelligence americana o persone da questa istruite. Sono loro che tirano i fili della massa mentre questa si muove disordinatamente, sono loro gli unici ad avere le idee chiare mentre il grosso dei rivoltosi si fa manipolare o si lascia conquistare dalle emozioni che suscita una piazza piena, tra inni e sassaiole. Dicevamo, il copione si sta ripentendo in Macedonia. Qualche giorno fa gruppi armati provenienti dal vicino Kosovo hanno attaccato la polizia macedone. Quando si dice Kosovo si pensa a Camp Bondsteel, la più grande base militare statunitense nell’area balcanica. Il Kosovo è un protettorato americano. Gli americani controllano questo stato fantoccio palmo a palmo. Se partono facinorosi armati da Pristina per attaccare la Macedonia gli Usa lo sanno. Se non lo impediscono approvano. Se approvano è perché sono stati loro ad organizzare la spedizione. A Skopje l’opposizione sta animando le contestazioni contro il premier Nikola Gruevski, per uno scandalo intercettazioni. Un po’ poco per giustificare disordini così elevati eppure sembra che stia per scoppiare il finimondo. In realtà, non viene perdonato al governo di non aver sostenuto le sanzioni europee contro la Russia e come ha scritto il nostro Piergiorgio Rosso ieri (http://www.conflittiestrategie.it/saipem-riprende-i-lavori-…) di aver aderito al “Balcan stream”: “Nel momento in cui la Bulgaria si è dimostrata non in grado di sostenere le pressioni USA/UE contrarie al South Stream, l’unica rotta disponibile per arrivare in Serbia ed Ungheria è passare per la Macedonia. Qualcuno ha giustamente battezzato questa via come “Balcan Stream”. Si fanno notare i significativi movimenti diplomatici che hanno interessato Ungheria, Macedonia, Serbia, Grecia e Turchia negli ultimi mesi che danno concretezza all’ipotesi. A supporto ulteriore valga la recente dichiarazione del Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Non poteva mancare infine il tentativo di una “rivoluzione colorata” in Macedonia, basata su intercettazioni telefoniche compromettenti di dubbia provenienza, sventato però nel gennaio 2015 dal Primo Ministro Nikola Gruevski con l’arresto dell’ex capo dei servizi macedoni e con il ritiro del passaporto al rivale Zoran Zaev accusato di tradimento. Le tensioni però restano scivolando su vecchie questioni etniche fra macedoni e la consistente minoranza albanese”.
L’uomo dei disordini è il socialdemocratico Zoran Zaev, un altro oligarca avanzo di galera, passato per le patrie prigioni dopo aver costruito illegalmente un centro commerciale a Strumica. Un Poroshenko in salsa balcanica a cui viene perdonato il passato perché ormai collocato dalla parte giusta della storia, con gli americani. La situazione economica della Macedonia, il paese più povero d’Europa, non aiuta l’esecutivo in carica che deve risolvere parecchi problemi di corruzione e di sottrazione di fondi pubblici dai soliti ladri di Stato. Tuttavia, le agitazioni in atto sono deflagrate proprio nel momento in cui Skopje immaginava di capitalizzare i vantaggi economici derivanti dalla sua posizione strategica lungo il corridoio del gasdotto russo-turco che porterà grandi investimenti nella zona. L’Europa è di nuovo in fibrillazione per le sue cattive frequentazioni filo-atlantiche, nonostante la lezione Ucraina, dalla quale non si è imparato un granché. La guerra ci entra in casa ogni giorno di più e siamo proprio noi europei ad aprirle la porta con compiacenza e servilismo.


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