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La rivoluzione digitale è vera rivoluzione?
Consapevoli o meno, persuasi o critici, siamo tutti coinvolti nel passaggio onnipervasivo della rivoluzione digitale e tecnologica. Basta soffermarsi un attimo a considerare le implicazioni del telefono cellulare palmare in mano ai più, a partire dagli adolescenti, per rendersi conto del mutamento antropologico indotto dalla tecnica e delle sue ricadute totalizzanti.
I cantori del progresso si sono spinti a evocare la valenza determinante di questi strumenti di comunicazione per l’emancipazione delle masse mondiali sul modello occidentale liberal-democratico.
Tutti ricorderanno – ad esempio – i commenti entusiasti degli opinionisti sulla cosiddetta “primavera araba” levitata dai “social network”. In realtà, le cose sono andate ben diversamente dalle previsioni interessate dei redentori del progresso altrui, ma anche per questo è interessante provare a descrivere le dinamiche totalitarie della modernità per mezzo del determinismo tecnologico.
Oggetto delle più riuscite narrazioni distopiche contemporanee – si pensi al manifesto dell’iperdemocrazia di Gianroberto Casaleggio – quello che caratterizza nella realtà la presente rivoluzione digitale è il fatto che i consumatori non si ritengono semplici fruitori, semplici beneficiari, ma attori in prima persona, protagonisti del progresso, cioè dello spirito del tempo; la sentono e la vivono come cosa propria, creata, esercitata e voluta da loro.
Evidentemente, le cose non stanno così; tutte le proprietà che vengono assegnate a Internet sono a loro volta discutibili e di segno opposto. Su tutte, la trasparenza; solo per fare un esempio tratto dalla cronaca, nell’era dello scandalo NSA la trasparenza è quella dei governati nei confronti dei governanti, o viceversa? Eppure, ai “consumatori”, la trasformazione della personalità in alienazione fa apparire il fenomeno come aderente a un’individuale libertà di scelta nel mercato che, siccome appartiene a loro, è per definizione buona.
Anche l’evocata democrazia diretta esige un confronto diretto nello spazio pubblico. Gli internauti possono pure connettersi fra loro a milioni, ma restano nella sfera dell’atomismo minimalista del privato. Facebook dà l’illusione di avere degli “amici”, ma non è diventando dipendenti da una tastiera che si rimedia alla scomparsa del legame sociale; eppure chiunque manifesti perplessità o esprima critiche si oppone all’affermazione del bene, viene cioè emarginato come regressivo, reazionario, illiberale, antimoderno.
Ma perché mai la rivoluzione digitale è così popolare, così affettuosamente partecipata e condivisa? Vi sono due risposte, una di superficie e una profonda. Quella di superficie è la gratificazione che essa regala, la più grande, il senso di onnipotenza: in un oggetto che sta in mano c’è tutto l’immaginabile, tutto lo scibile, in forma relazionale ludica aperta, senza sacrificio. La seconda risposta, la più profonda, è anche più sottile; ha a che vedere con il suo carattere libertario, il suo non essere impositiva, autoritaria, il suo mettersi al servizio di una visione generica, indifferenziata e massificata di “umanità”. La sua orizzontalità giovanilistica è contrapposta alla verticalità gerarchica e tradizionalista. La rivoluzione digitale non è una cosa specifica e non impone contenuti particolari; è informe, muliebre, ammiccante, per connettere tutti con tutti, in un mondo in cui non vi sono più emittenti e destinatari, ma pari che si informano e comunicano con altri pari, in una singolare e definitiva realizzazione utopica della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità. Più di ogni altra rivoluzione tecnologica, quella digitale ha una portata ideologica immensa, nell’imporsi della modernità. Non a caso, è un passo determinante nell’incedere dell’affermazione della “forma-capitale”, tanto nella smaterializzazione dell’economia quanto nel dominio della finanziarizzazione. Nel giubilo liberistico imperante, si è realizzata negli ultimi anni la più rapida e massiccia concentrazione di capitale che la storia ricordi. Una corporation come Apple nel 2012 ha messo insieme circa 156 miliardi di dollari di ricavi e 46 di utili; Google, sempre nel 2012, ha avuto 50 miliardi di ricavi e 11 di utili.
DI EDUARDO ZARELLI
ilribelle.com
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