Sono da sempre un sostenitore dell’innovazione e della tecnologia, ho più volte pubblicato su questo blog apologie dell’ebook e delle possibilità da esso offerte. Ma adesso comincio anche ad avere un po’ di timore. Perché se da un lato la rivoluzione digitale aumenta per tutti le possibilità, dall’altro rischia di mettere a repentaglio una caratteristica che, da secoli, è l’ingrediente-base dell’essenza dello scrittore, vale a dire la sua sacrosanta, fondamentale solitudine.
Sì perché.. è indubbio che gli uomini di lettere che più hanno contribuito a far evolvere la cultura e che meglio hanno saputo interpretare la società per aiutarla a modificarsi sono stati quelli che riuscivano a osservarla dall’interno senza farsene però contaminare.
Lo scrittore è l’uomo che guarda il mondo che lo circonda e poi lo racconta per le reazioni che esso gli suscita, e fa tutto ciò senza minimamente preoccuparsi dei commenti altrui né, tantomeno, dell’eventuale consenso raccolto.
Se insomma il libro diventa liquido, multimediale, interattivo, si rischia di perdere l’idea di bene totalmente soggettivo e soggettivamente sincero. Il lavoro d’equipe necessario per la realizzazione di una storia che si possa sì leggere, ma anche ascoltare, vedere, magari modificare in base al proprio gusto darebbe il colpo di grazia all’indipendenza dello scrittore, e in più renderebbe il social sovrano assoluto, distruggendo la peculiarità dell’individuo, che dovrebbe invece essere la vera grande meraviglia del nostro essere uomini e donne.
Non voglio insomma un romanzo o un saggio in cui poter continuamente cliccare “Mi piace” o aggiungere commenti che mi facciano sentire protagonista; non lo voglio perché crederci tutti legittimati a stare sempre sotto i riflettori, per paradosso, ci rende infinitamente più invisibili e isolati.
Voglio qualcuno che mi racconti il suo punto di vista, il suo mondo, le sue reazioni emotive a ciò che accade. Voglio sentirmi libero di essere d’accordo o contrario senza però avere la stupida illusione di poter ogni volta dire anche la mia.
Insomma non voglio sempre partecipare.
Voglio anche essere costretto ad ascoltare senza che mi sia data la libertà di alzare ogni volta la mano per aprire il mio becco mettendomi sullo stesso piano di chi sta parlando.
Voglio, al limite, potermi alzare ed andarmene in silenzio senza che nessuno si accorga della mia dipartita, senza sentire tutte le volte il bisogno di far casino con le sedie perché il rumore da me provocato sia più forte della parola altrui.
Voglio fare delle scelte personali, avere delle idee, delle emozioni, delle gioie e dei dolori senza che queste diventino necessariamente una piazza in cui tutti dicono la loro e nessuno ascolta più nulla.