Un numero sempre maggiore di persone sceglie di passare le vacanze in montagna, ma attenzione agli inconvenienti delle alte quote.
L'alta montagna - Il clima di altitudine (oltre i 1200 m) è caratterizzato da un'estrema purezza dell'atmosfera che consente una intensa irradiazione solare che non viene attenuata dal vapore acqueo, presente in quantità ridotta. La differenza fra la temperatura diurna e quella notturna risulta piuttosto elevata, la pressione barometrica è ridotta e più scarso il contenuto in ossigeno. L'azione di questo tipo di clima è di carattere tonico e stimolante: aumenta il numero dei globuli rossi, si ha un'accelerazione del metabolismo, vengono stimolate le energie fisiche e psichiche, il sonno è tranquillo e in grado di ritemprare l'organismo.
La media montagna - Nel clima di media montagna (tra i 600 e i 1000 m) l'aria risulta più calda e più umida. Sono più frequenti le nubi e le piogge, per il condensarsi del vapor acqueo che sale dalla pianura. Maggiore è anche la frequenza dei venti e si hanno spesso notevoli differenze di pioggia o vento a seconda dell'esposizione o meno al sole del versante della montagna. A questa altezza il clima è meno tonico, ma può divenire eccitante se la località è battuta costantemente dal vento.
Lo sport d'alta quota - Per chi si reca in alta montagna questo sport rappresenta spesso il vero motivo della vacanza. Oggi poi, grazie ai progressi nelle comunicazioni montane, si presentano spesso in alta quota persone del tutto impreparate.
Per chi voglia fare dello sport in alta quota (alpinismo, ascensioni) è assolutamente indispensabile un lungo periodo di acclimatazione (circa tre settimane). Durante questo periodo, infatti, il nostro organismo riesce ad abituarsi a quello che è il fenomeno più importante dell'alta quota: la riduzione della pressione parziale dell'ossigeno. Questa riduzione provoca la comparsa di alcuni importanti meccanismi compensatori:
- aumento della ventilazione polmonare, che comporta un aumento della pressione parziale dell'ossigeno e una diminuzione di quella dell'anidride carbonica;
- aumento della frequenza cardiaca, che permette di aumentare la quantità di sangue che giunge ai tessuti dei vari organi;
- aumento del numero dei globuli rossi che possono passare dai 5.000.000 per millimetro cubo di sangue fino ai 6.500.000 e, in taluni casi,,anche più. Questo aumento dei globuli rossi se, da un lato, è vantaggioso perché permette di disporre di una maggiore quantità di ossigeno, dall'altro può risultare pericoloso giacché accentua la viscosità del sangue e sottopone quindi il cuore a un incremento di lavoro e di fatica.
I disturbi più frequenti - La più grave complicazione che può verificarsi durante il soggiorno ad alta quota è costituita dalla comparsa di un edema polmonare (passaggio di sangue dai vasi agli alveoli polmonari). L'insorgenza di questo grave fenomeno è preceduta dal manifestarsi di vari sintomi (emicrania, vomito, nausea, gonfiore al volto, alle dita) che devono mettere in allarme e fare ricorrere immediatamente ai mezzi di difesa. La cosa più importante è portare il soggetto colpito a una quota inferiore. Durante la discesa si possono utilizzare bombole di ossigeno. Un altro disturbo, molto meno grave, che può colpire chi arriva sui 3.000 metri senza un'adeguata preparazione o troppo rapidamente (mediante la funivia) è il cosiddetto "mal di montagna" che si manifesta con emicrania, sonnolenza, incapacità di orientarsi, nausea. Lo si elimina scendendo a una quota inferiore.
Come curare i vari incidenti
In montagna non è difficile incorrere in alcuni incidenti tipici. Conoscendo i sintomi caratteristici, si può intervenire immediatamente con la cura adeguata.Distorsione - L'articolazione è dolente, ma il dolore non blocca completamente i movimenti. Il gonfiore si manifesta, nella maggioranza dei casi, in un periodo successivo. Cura: immobilizzare l'articolazione, fasciandola con una benda in cui viene interposto cotone idrofilo per meglio "imbottirla". Inutili le pomate, mentre sono più consigliabili gli impacchi freddi. Riposo per cinque-quindici giorni.
Lussazione - L'articolazione appare completamente deformata e i movimenti risultano bloccati. Cura: mantenere la parte lussata in una posizione che procuri il minor dolore possibile. Inutili le fasciature e le pomate. Portare al più vicino posto di pronto soccorso.
Contusione - Spugnature fredde e una leggera fasciatura comprimente.
Fratture - Ovviamente l'unico modo per accertare con assoluta sicurezza l'esistenza di una frattura è quello radiografico. Ci sono però dei segni che possono fare sospettare, entro certi limiti, la presenza o meno di una frattura. Alcuni tra i più importanti:
- dolore e impossibilità di muovere la parte fratturata; il dolore, nel caso di frattura, risulta, di solito, strettamente localizzato: se il braccio o la gamba che ha subito il trauma si mantiene mobile, difficilmente è presente una frattura;
- deformazione dell'arto: se dopo l'incidente si ha una deformazione dell'arto tale da alterare completamente la figura originale dell'osso, è molto probabile che esista una frattura;
- accorciamento dell'arto: un braccio o una gamba in cui esiste una frattura risulta quasi sempre più corta della corrispondente illesa.
- fratture degli arti: si deve impedire l'esecuzione di qualsiasi movimento, utilizzando assette o anche rami ben ricoperti con imbottiture e fissati con bende o sciarpe o cravatte (a seconda delle disponibilità). Se vi sono anche ferite superficiali queste ultime vanno prima medicate per loro conto, e poi comprese entro la fasciatura immobilizzante;
- fratture delle dita delle mani e dei piedi: si immobilizzano con una "stecca" fatta di cartone, di legno, di plastica, ben imbottita con il cotone idrofilo. Per le dita dei piedi si può anche, più semplicemente, appaiare il dito fratturato a uno sano, che fa da sostegno.
- fratture della mano: si immobilizza la parte fratturata utilizzando un palmare, che può essere fatto anche di cartone robusto, con la forma vagamente somigliante a quella di una piccola racchetta da tennis. Vi si pone sopra la mano, con il pollice separato, e la si fascia mettendo un rinforzo con cotone idrofilo all'altezza del polso;
- frattura dell'omero (osso del braccio): si mette un pacchetto di cotone idrofilo sotto l'ascella e si fascia il braccio in modo da tenerlo aderente al torace e da sorreggere contemporaneamente l'avambraccio e il polso. Abbiamo così un braccio al collo che può permanere in questa posizione anche per alcune ore senza dare alcun fastidio.
Il pericolo delle vipere - Oltre al rischio di fratture, contusioni ecc. in montagna, al disotto dei 1.800 metri, esiste un altro pericolo: la vipera. È bene rammentare che le vipere non stanno al sole (come comunemente si crede) ma nei luoghi ombreggiati (fessure di muri, sotto le pietre nelle radure dei boschi ecc.). Non attaccano mai se non sono disturbate o calpestate inavvertitamente. Quando ci si decide a riposare in qualche prato è sempre meglio fare rumore, battere con i bastoni l'area dove ci si vuole arrestare cosicché il rettile fugge, intimorito dal baccano. Se si è attaccati da una vipera ricordarsi di fuggire sempre in salita, mettendola così in difficoltà. In discesa, invece la vipera può compiere anche dei balzi veramente pericolosi.
Il morso della vipera provoca un dolore violento che tende ad aggravarsi con il passare del tempo (diversamente dal morso degli altri rettili innocui). Dopo un quarto d'ora la zona diviene rigonfia, contraddistinta da un colore violaceo. La figura del morso è inconfondibile: si osserva infatti una fila di punteggiature provocate dai denti normali, sormontate dai due forellini dei canini attraverso cui passa il veleno. Dopo il morso si devono mettere immediatamente in atto alcune misure da cui può dipendere la vita stessa dell'infortunato. Per prima cosa bisogna cessare di camminare per bloccare il meccanismo a ' 'pompa ' ' dei muscoli che facilita la circolazione del sangue. Successivamente si usa un legaccio, una cravatta, un fazzoletto per bloccare la circolazione, frapponendola fra il punto della morsicatura e il cuore. È anche necessario tenere alzato l'arto colpito, così che rimanga a un livello superiore a quello del cuore. Bisogna poi cercare di spremere la maggior parte di sangue possibile, incidendo anche con un coltello il punto colpito e aspirando il sangue. Un altro metodo d'intervento è quello di immergere la parte colpita in acqua fredda che esercita, da un lato un'azione antidolorifica e, dall'altro, blocca la coagulazione facendo defluire una quantità maggiore di sangue. Si possono anche usare borse di ghiaccio, giacché la bassa temperatura degrada il veleno. Il rimedio migliore è, naturalmente, il siero antiofidico, che dovrebbe essere sempre presente nella sacca di chiunque si avventuri in montagna: In caso di morso, si può prima verificare la sensibilità del soggetto, iniettando una goccia sulla parte interna dell'avanbraccio. Se dopo 15-20 minuti non si ha alcun arrossamento significa che non c'è alcun rischio di allergia. In caso contrario (arrossamento, gonfiore, dolore) vuol dire che esiste un pericolo di allergia. Tuttavia, anche in questo caso si deve procedere all'iniezione del siero, poiché il rischio è troppo elevato. D'altronde la possibilità di uno shock anafilattico è rarissima. Il siero si inietta in quattro-cinque punti intorno alla zona della morsicatura (metà fiala), mentre la rimanente si inietta per via intramuscolare nel gluteo (se è stata morsicata la gamba) o per via sottocutanea nella spalla, se il morso è avvenuto negli arti superiori.
Le zecche - In montagna si può essere anche vittime delle zecche, che parassitano le pecore, e che possono infestare anche l'uomo, localizzandosi soprattutto nel collo, dove ledono qualche vena e si nutrono di sangue. In seguito si gonfiano, raggiungendo le dimensioni di un'oliva. Si eliminano passandovi sopra un batuffolo intriso di petrolio, che le fa contrarre e rende facile sfilarle dalla pelle con l'aiuto di una pinzetta (dopo averle tolte intriderle di alcol e bruciarle).