La Sardegna e il Golfo di Cagliari dalla preistoria alla storia
di Giuseppe Mura
Un assunto, accettato unanimemente degli studiosi, afferma: l’antico sviluppo socio-economico delle isole è stato sempre proporzionato alle risorse interne disponibili: abbondanti risorse hanno assicurato rapido progresso, autosufficienza e produzione di “surplus” per l’esportazione. La Sardegna disponeva di enormi risorse di ossidiana, di terreni fertili, di ricche foreste, di una flora variegata, di una ricca fauna e, fattore importantissimo, di vasti giacimenti metalliferi. Poteva un’isola con queste potenzialità e in una posizione geografica che funge da crocevia per tre continenti restare emarginata dai processi di cambiamento portati dalla navigazione antica?
Evidentemente no, eppure, secondo la maggior parte degli studiosi di storia e archeologia degli ultimi due secoli, proprio il mare che circonda la Sardegna fu il principale ostacolo alla sua crescita: i Sardi restarono sempre all’interno della loro isola in attesa perenne delle novità provenienti dall’esterno portate dall’invasore di turno. Insomma, secondo questa linea di pensiero, in antichità i Sardi non amavano il mare, anzi lo temevano, quindi non navigavano. Questo sorta di pregiudizio, come vedremo, permane ancora oggi, anche se gli studi moderni dicono esattamente il contrario.
La conformazione del golfo di Cagliari, racchiuso da monti, invitava, ed invita, ad inoltrarsi all’interno verso la regione di Cagliari, facilmente identificabile per via del promontorio di Capo S.Elia proteso sul mare; regione ricca di spiagge per l’approdo. Si tratta di una regione che offriva condizioni di vita ottimali per la presenza di colli, di pescosissime lagune, di ricchissima flora e fauna, per l’entroterra fertile e per la presenza di importanti giacimenti metalliferi nelle immediate vicinanze.
Nel IV secolo il poeta Claudio Claudiano, non certo tenero, come tutti i latini, nei confronti della Sardegna e dei Sardi, scrive su Cagliari: “La città di Cagliari, fondata dai potenti Fenici, con i suoi baluardi che si affacciano sul mare, si estende per lungo tratto e affonda nel mare un promontorio dolcemente digradante ad attenuare lo spirare dei venti: così il mare, rinchiusovi, si fa porto e le acque, al riparo da tutti i venti, si placano in un’ampia rada”. A parte la fondazione fenicia, il concetto che lega la presenza del Capo S. Elia ad un approdo sicuro a Cagliari ha accomunato scrittori antichi e moderni.
Le principali culture della Sardegna antica.
Nel Neolitico (6000-2700 a.C.) emerge il fenomeno della diffusione dell’ossidiana, proveniente dai giacimenti di Monte Arci: rinvenuta in Spagna, Provenza, Liguria, Toscana e Lazio. La diffusione della preziosa ossidiana sarda nell’arco settentrionale del Mediterraneo occidentale dimostra, come minimo, l’esistenza di scambi reciproci via mare da e per la Sardegna, da escludere, quindi, qualsiasi forma di isolamento.
Ma chi erano i vettori navali dell’oro nero sardo del Neolitico, indispensabile
per ottenere oggetti quotidiani e armi di assoluto valore?
L’argomento è stato approfondito da alcuni studiosi statunitensi (Balmuth e
Tykot), i quali hanno svolto numerose e lunghe campagne di scavo in
importanti siti preistorici della Sardegna.
Queste, in breve, le loro conclusioni:
“Non c’è bisogno di attribuire i primi insediamenti e lo sviluppo Neolitico delle due isole (Sardegna e Corsica) alla diffusione dall’Oriente: esistono prove documentate sull’occupazione precedente e sulla presenza di capacità marittime. Lo scambio a lunga distanza di queste isole è una conseguenza del sistema esistente in precedenza, piuttosto che il potenziale incentivo procurato dall’adozione dell’agricoltura.”
Quindi prove documentate sull’esistenza, nelle due isole del Mediterraneo occidentale, di capacità marittime nel Neolitico, capacità che risultano indipendenti dall’apporto proveniente dall’Oriente. Quindi niente isolamento dei Sardi, e questo circa 8000 anni fa.
L’ apporto orientale citato dagli studiosi è quello della domesticazione di animali e piante che, nato nella Mesopotamia intorno all’IX millennio a.C., si diffonde in Occidente tramite una lenta migrazione umana che dura millenni. Ad esempio in Sardegna arriva intorno al VI millennio a.C. Come è noto il fenomeno si accompagna alla diffusione della ceramica cardiale, pertanto il rinvenimento di questo tipo di reperto, in area mediterranea ed europea, ha consentito all’archeologia di ricostruire la mappa geografica di questa espansione.
Altri esperti, stavolta in genetica umana, hanno appurato che la diffusione
della domesticazione e della ceramica impressa corrisponde esattamente al
“processo demico”: ovvero, nel Dna attuale delle popolazioni coinvolte dal
lento fenomeno migratorio si riscontra l’apporto genetico delle genti orientali.
La mappa che riproduce la misura di questo gradiente genetico corrisponde a
quella della lenta diffusione del particolare tipo di ceramica.
In sostanza, la genetica umana conferma i risultati dell’archeologia.
Inoltre, nella mappa genetica che riproduce il fenomeno demico, non figurano la Sardegna e la Corsica: il gradiente attuale della loro popolazione (riferito a particolari marcatori genetici delle genti emigrate) risulta troppo basso rispetto alle altre aree esaminate. Infatti, le due ricerche coincidono ancora: la quantità di ceramica cardiale rinvenuta nelle due isole risulta nettamente inferiore a quella delle altre aree.
Col trascorrere dei millenni nascono nel Mediterraneo, dopo il Neolitico, nuove “mode” culturali. Culture, come mostra ancora le ricerca genetica, che si diffondono stavolta con scarsi movimenti di genti. Mi riferisco in particolare: al Megalitismo, al Campaniforme, alla scoperta dei metalli e alle costruzioni “ciclopiche”. Anche in questo lungo periodo (2700-900 a.C.) la Sardegna risulta pienamente inserita nei traffici marittimi e, spesso, con ruoli di primo piano.
Infatti le culture locali (Bonu Ighinu, San Michele, Filigosa, Monte Claro, Bonnanaro) che si sviluppano insieme a quelle di largo respiro mediterraneo, confermano la presenza di stretti contatti tra i Sardi e l’area mediterranea, ma con contemporanea e significativa differenziazione: Il Megalitismo assume aspetti particolari; il Campaniforme si diffonde in Sicilia dalla Sardegna, dove la particolare ceramica assume aspetti insuperabili sotto l’aspetto artistico; l’uso di metalli come piombo, argento e rame arsenicato risulta in anticipo rispetto ad altre aree europee e quello del bronzo addirittura autonomo; infine, come è noto, le costruzioni ciclopiche assumono nella nostra isola aspetti incredibili in termini di complessità e numero.
In questo contesto, quale ruolo assumono il golfo e la regione che gravita intorno alla città di Cagliari? Ricordo innanzi tutto la cultura di Monte Claro (2500-2000 a.C.) che, sviluppatasi proprio nel cuore della città moderna, si caratterizza per la produzione della particolare ceramica, diffusa in tutta l’Isola. Vasta anche la produzione di oggetti in rame, argento e piombo (riparazione contenitori); inoltre la tipologia costruttiva della cultura Monte Claro anticipa quella nuragica nell’elevazione delle mura ciclopiche (Monte Baranta).
Ancora nelle aree gravitanti intorno al golfo di Cagliari, ma nell’Età del Bronzo, si sviluppa un fenomeno impressionante in termini numerici. A cosa servivano le centinaia di nuraghi costruiti in prossimità della costa, sui colli e sui monti e, spesso, in vista tra loro e a presidio dei luoghi di possibile approdo (Solanas?)
Siamo di fronte, evidentemente, ad un fenomeno di stretta sorveglianza della costa che ricorda quello predisposto da Pilo nello stesso periodo in attesa di un attacco proveniente dal mare. Propongo una mappa della B. N. Francese, disegnata nel 1682, dalla evidente funzione strategica: chi intende sbarcare militarmente nella Sardegna meridionale deve dirigersi all’interno del golfo di Cagliari: altrove risulta impossibile per via dei monti a ridosso della costa. Pertanto i Nuragici, ormai organizzati in un sistema politico-economico espansionistico che prevedeva la navigazione, predisposero un sistema di controllo delle coste cautelandosi per eventuali controffensive che, come mostra l’intensità dei nuraghi, proveniva in particolare dall’Oriente.
Le immagini e i disegni sono dell'autore.
Oggi a Cagliari, alle ore 20.00, Giuseppe Mura, autore di questo articolo e del libro "Sardegna, l'isola felice di Nausica" terrà una conferenza presso l'associazione ProgRes di Cagliari, via Tempio 27. Il tema presentato si intitola: "Sherden, la Sardegna e il golfo di Cagliari nella navigazione antica." Ingresso libero.
Domani la 2° e ultima parte