La Sardegna nel Mediterraneo del Bronzo

Creato il 08 febbraio 2012 da Pierluigimontalbano

Le relazioni della Sardegna con il Mediterraneo nel Bronzo.
di Pierluigi Montalbano

Nel corso dei secoli la civiltà nuragica è cresciuta autonomamente come una solida pianta ben radicata, ma è stata anche il frutto di continui processi evolutivi che in parte sono derivati da elaborazioni interne, in parte sono il riflesso di acquisizioni scaturite dai rapporti con genti d'oltremare. Le fonti letterarie antiche suggeriscono varie aree come luoghi da cui sono partiti gli stimoli per l'origine e lo sviluppo della civiltà nuragica: la regione iberica, quella egea e, più tardi, quella cretese e quella micenea. A giudicare dai dati finora noti, l'architettura sarda dei primi nuraghi non trova riscontro nelle regioni tirreniche. Qui non si conoscono né residenze fortificate, né sepolcri megalitici che possano in qualche modo richiamare la realtà sarda. Tuttavia i contatti attraverso il ponte della Corsica non dovettero mancare nel Bronzo, come suggeriscono le relazioni nell'ambito della ceramica e della metallurgia. Ben diversa è la situazione dei rapporti con la Corsica e le Baleari, come si evince dalle testimonianze dell'architettura.
Agli albori della civiltà nuragica, Corsica meridionale e Minorca, appaiono legate alla Sardegna da un rapporto speciale e propongono identiche costruzioni megalitiche: nuraghi in Sardegna, torri in Corsica, talajots in Minorca. Più tardi, nel corso del XIII a.C., in Corsica abbiamo edifici con torri circolari a più piani, che mostrano una slanciata volta nella camera. L'aggetto e la tecnica costruttiva regolare dei filari, indicano che la volta della camera di queste costruzioni era di sezione ogivale. Gli strettissimi rapporti con Minorca sono confermati dalla diffusione delle navetas, grandi tombe absidate megalitiche d'uso collettivo, costruite a filari sopra il suolo, che richiamano le tombe di giganti nuragiche. Nel campo dell'architettura sepolcrale della Corsica va osservato che ad un momento coevo a quello in cui si sviluppò in Sardegna la facies di Sant'Iroxi, celebre per le spade triangolari in rame arsenicato, vanno riferite alcune allèes. Abbiamo un'usanza, già documentata in Gallura: inumare i defunti all'interno di piccoli anfratti di roccia granitica, appena adattati artificialmente. Queste grotticelle prendono il nome di tafoni. Questo costume, proprio di comunità pastorali corse, si diffuse in Corsica e in Gallura già nel Neolitico, ancora prima dell'introduzione delle grandi sepolture a circolo e dei sepolcri dolmenici.
Spostandoci nelle regioni del Mediterraneo orientale, finora non sono state osservate forti somiglianze fra le costruzioni fortificate nuragiche e quelle cretesi e micenee nel periodo compreso tra il XVI e il XIV a.C. Creta non conosce neppure vere e proprie mura di difesa degli abitati, benché il palazzo regio sia costruito in modo tale da controllare almeno gli accessi. Diversamente, a partire dalla fine del XIV a.C., alcuni particolari costruttivi micenei presuppongono esperienze architettoniche note ai maestri sardi: corridoi coperti costruiti su due piani nelle cortine del bastione trilobato di Santu Antine in Torralba, e i corridoi di taglio ogivale dell'Unterburg di Tirinto. Altre affinità stilistiche le abbiamo nel taglio ogivale delle porte delle fortezze micenee che propongono anche il disegno del trilite realizzato con due lastroni laterali sormontati da una architrave, esattamente come in diverse tombe di giganti. Nelle fortezze ittite dello stesso periodo i tagli ogivali fanno la loro comparsa anche nelle porte, non diversamente da Micene e da alcune città del Vicino Oriente.
Dai confronti ora accennati emerge che i rapporti tra l'architettura nuragica, quella egea e quella ittita erano molto stretti nel XIII-XII a.C., benché nelle fortificazioni dell'est del Mediterraneo permanesse immutata la tradizione delle torri quadrangolari. Viene da domandarsi se nell'arte del costruire le cinte murarie i sardi subirono le più avanzate conoscenze degli architetti stranieri o viceversa. L'adozione della volta ogivale per la copertura delle camere e dei corridoi appare sempre più il prodotto di una trasformazione progressiva, in seno all’architettura palaziale protosarda, avvenuta nell'ambito di continui scambi di esperienze costruttive tra la Sardegna e il mondo Egeo. In queste relazioni la Sardegna, avendo la capacità di elaborare al suo interno, è capace a sua volta di offrire e trasferire altrove idee e uomini. La volta a ogiva, impiegata per verticalizzare le strutture qualche millennio prima dello stile gotico, è sistematicamente utilizzata negli edifici monumentali sardi, siano essi torri, corridoi di tombe e templi. È il risultato dell'adozione di soluzioni tecniche che comportavano il superamento di notevoli difficoltà di natura statica, come quella determinata dalla sovrapposizione di tre camere cupolate.
Al pari dell'architettura, ma non con le stesse modalità, gli elementi della cultura materiale mobile evidenziano i commerci tra la Sardegna e le altre regioni mediterranee.
Nel processo di sviluppo delle comunità protosarde, le miniere hanno indubbiamente esercitato un ruolo determinante. Particolarmente nell'Iglesiente, sono presenti strutture geologiche classificate tra le più antiche d'Europa, sicuramente le più antiche dell'area mediterranea; per cui la Sardegna, è considerata una delle regioni più interessanti d'Europa per ricchezza e varietà di minerali. Già dal Neolitico, le risorse minerarie della Sardegna erano oggetto di particolare interesse da parte di diversi popoli già socialmente ed economicamente evoluti che, dalle regioni orientali, avviavano colonizzazioni commerciali nel vasto bacino mediterraneo, raggiungendo le estreme regioni occidentali e toccando anche la Sardegna, cuore delle rotte navali fra oriente e occidente. La prima grande risorsa geomineraria a essere sfruttata in Sardegna fu certamente l’ossidiana, un composto di lava vitrea finissima di colore nero intenso e notevole durezza, presente nei vasti giacimenti del Monte Arci, presso Oristano. L'uomo del Neolitico fece uso dell'ossidiana per realizzare armi, utensili e oggetti d'uso comune, indispensabili per le esigenze della propria vita.
Nell'intero bacino mediterraneo, erano stati individuati appena cinque giacimenti di una certa rilevanza di questo prezioso materiale, tutti in isole: Melos (Egeo), Pantelleria, Lipari (Eolie), Palmarola (Ponziane) e Sardegna. Per millenni questa rara e preziosa materia prima percorse le più disparate rotte del Mediterraneo, raggiungendo i mercati più lontani dell'Africa settentrionale, dei Balcani, della penisola Italica, dell'Iberia e della Provenza. Solo la successiva scoperta dei primi metalli, rame e stagno, indusse l'uomo ad accantonare progressivamente l'uso delle pietre dure.
Nell'immagine: un elmo esposto al Museo Archeologico di Cagliari

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