Pausania
Proseguiamo il discorso sugli
storici antichi che in qualche modo siano utili alla conoscenza del remoto
passato della Sardegna.
Facendo un salto temporale di alcuni secoli
analizziamo l’opera del periegeta Pausania, erudito greco del II secolo d.C.,
grazie al quale siamo in grado di avere notizie molto interessanti sui primi
mitici civilizzatori dell’Isola.
Lo scritto di Pausania appare in
parte influenzato e debitore delle tradizioni precedenti, soprattutto quelle
importate da Timeo[1] e Diodoro Siculo.
La narrazione sugli avvenimenti riguardanti la
Sardegna prende spunto dalla notizia di una delegazione di sardi che nel VI
secolo a.C. portarono al santuario di Delfi una statua di bronzo “di colui che diede loro il nome”[2]; nel proseguo del
suo discorso l’autore fornisce una descrizione storica e geografica dell’Isola
che, a suo dire, regge il confronto come dimensioni e fertilità con quelle più
importanti e famose.
Il periegeta ci fornisce anche le misure,
infatti, secondo lui, raggiunge una lunghezza di 1200 stadi e 470 di
larghezza; a fronte di questa precisione
dichiara di non conoscere quale fosse il nome originario della Sardegna.
Il nome Ichnusa fu dato dai greci
che navigavano per commercio perché la sua forma ricorda quella di un piede
umano, il nome attuale viene da Sardo figlio di Maceride, l’Eracle
egizio-africano, autore di un celebre viaggio a Delfi. che, con una colonia di
libi (africani), si stabilì in Sardegna.
I nuovi venuti furono accolti pacificamente
dagli indigeni (di cui Pausania non conosce l’origine e che Strabone definisce
Tirreni) più per la loro superiorità numerica che per mera ospitalità; né gli
uni né gli altri sapevano edificare città, quindi vivevano in capanne e grotte.
Aristeo, secondo il periegeta, è
il primo degli elleni a giungere in terra sarda, immediatamente dopo i libi[3] di
Sardo, qualcuno ha voluto leggere questo mito come il retaggio di contatti tra
Egei e Sardi in epoca Micenea.
Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene,
addolorato per la morte del figlio Atteone, non riuscendo più a vivere in
Beozia decise di recarsi in Sardegna.
Pausania riporta anche la notizia che, insieme
all’eroe greco, giungesse sull’isola anche Dedalo, il famoso architetto che
edificò il labirinto di Cnosso, fuggito a causa della pressione dei cretesi.
L’autore però dimostra di non credere a questa notizia perché secondo le sue
fonti Dedalo visse a Tebe al tempo in cui regnava Edipo.
Neppure Aristeo e i suoi coloni costruirono
città perché, secondo il mito, non avevano una sufficiente forza-lavoro a
disposizione.
Secondo alcuni studiosi il fatto
che nemmeno Aristeo avesse edificato città potrebbe retrodatare il ricordo
della presenza di gruppi umani provenienti dall’Ellade addirittura al neolitico
finale o inizio dell’eneolitico (per la Sardegna il periodo che corrisponde
alla Cultura di Monte Claro).
Dopo Aristeo giunse nell’Isola
una spedizione di Iberi capeggiati da Norace[4],
figlio di Ertea nata da Gerione e Mercurio, ai quali secondo il mito si deve
l’edificazione di Nora, la prima città della Sardegna.
Norace è quindi il primo
edificatore di città, la sua presenza in Sardegna è da ascrivere quasi
sicuramente all’epoca storica.
Il quarto eroe che mise piede
nell’Isola fu Iolao, a capo dei Tespiesi figli di Eracle e delle figlie del re
di Tespie e di un gruppo proveniente da altre parti dell’Attica.
I coloni edificarono la città di Olbia e gli
Ateniesi in particolare Ogrille.
In Pausania si evidenzia il
chiaro intento di ascrivere il mito di Iolao all’azione dei coloni Attici e, in
particolare agli Ateniesi, mentre questo non è riscontrabile nella tradizione
riportataci da Diodoro Siculo.
Secondo varie tradizioni a Iolao si devono
l’introduzione delle leggi e la costruzione di palestre, ginnasi e tribunali
che perdurarono per alcuni secoli e lo stesso Pausania riferisce che ai suoi
tempi (II sec. d.C.) esistevano ancora in Sardegna dei luoghi chiamati Iolaei in cui Iolao era venerato come il dio padre
fondatore.
Il Periegeta introduce anche il mito di Troia
attraverso l’espediente della dipartita dei Troiani dalla loro distrutta patria
e dal loro fortuito approdo nell’Isola dove si mescolarono con i greci
preesistenti.
Non manca un piccolo accenno ai “Barbari” abitanti primigeni dell’Isola definiti
Tirreni sia da Strabone, sia in uno scolio al Timeo di Platone[5], i
quali, secondo l’autore, non attaccarono i Greci perché il loro numero non lo
consentiva e perché tra i due schieramenti si frapponeva “l’invalicabile confine del fiume Tirso[6]”.
La compagine greca fu distrutta
da un’altra ondata di popoli provenienti dall’Africa e solo alcuni di loro si
salvarono, i Troiani invece riuscirono a sfuggire ai nemici rifugiandosi sulle
montagne mantenendo il nome di Iliensis fino ai tempi di Pausania, pur
assomigliando per usi, costumi e armamenti agli africani.
Le notizie del periegeta sono
frammentarie ed ammantate di apporti mitologici, egli scriveva nel II sec.
d.C., epoca in cui la Sardegna era solidamente sotto il controllo di Roma,
quindi è ovvio che le notizie in suo possesso provenissero da tradizioni di
seconda mano contaminate da elementi di cui è rimasta una traccia molto
vaga.
Fabrizio e Giovanna
Riferimenti bibliografici:
Pausania, Periegesi dell'Ellade
Ignazio Didu, I greci e la Sardegna
[1] Probabilmente Timeo di
Tauromenio, storico greco vissuto tra la II metà del IV secolo e l’inizio del
III secolo a.C.
[2] pausania, Periegesi
dell’Ellade, X, 17, 1 ss.
[3] Gli antichi identificavano
la Libia con l’intero continente africano
[4] Per il mito e le
implicazioni storiche di Norace rimandiamo ad un prossimo post che tratterà
specificamente le interpretazioni storiche dei diversi miti
[5] In tale scolio si narra
che il nome dell’Isola si deve alla moglie di Tirreno che si chiamava appunto
Sardò
[6] In realtà allora come oggi
il fiume poteva essere guadato senza
grosse difficoltà soprattutto da parte di presunti navigatori esperti quali
erano i Greci; in tal modo l’autore dimostra oltretutto di non conoscere
geograficamente il territorio oggetto del suo racconto.