La scelta
© Nicola Nicodemo
Stavamo
finendo il pranzo. Era un pranzo normale, niente di eccessivo,
qualche portata, un po’ di vino in tavola. Perché uno si aspetta
che gli avvenimenti importanti vengano preceduti da segnali
inconsueti o singolari, e invece ogni evento è così naturale, che
diventa una specie di legittimo prolungamento delle cose.
-
Sono stato ammesso. - disse mio fratello, alzandosi.
Gli
occhi di mia madre e di mio padre rimasero fissi nel piatto, mentre
portavano alla bocca i cucchiai di brodo caldo, ancora fumante nelle
ciotole di ceramica.
Alberto
si sedette, ma rimase a fissarli.
-
Mi hanno preso. - ripeté. Gli occhi lucidi di speranza. - Mi hanno…
Mio
padre alzò il capo. Il volto contratto. Al centro due occhi, nessuna
emozione. Lo sguardo plumbeo sostò sul viso ingenuo di mio fratello
per qualche istante. Poi roteò verso il basso e lui aspirò un’altra
cucchiaiata di brodo.
Mia
madre strinse le labbra e increspò la fronte. Guardò mio fratello
con aria dispiaciuta e si alzò dalla tavola. Mio fratello la seguì
con lo sguardo.
-
Mamma.
Lei
si fermò, immobilizzata dalla voce incrinata dalla speranza. Scosse
la testa, e uscì dalla piccola cucina in cui pranzavamo.
-
Perché? Perché non posso…
-
Basta!- urlò mio padre, sbattendo un pugno sul tavolo.
Alberto
ammutolì.
Ora
che aveva abbassato gli occhi, mio padre lo fissava con severità.
-
Ne avevamo già parlato.
-
Ma…
-
No. Non più. Ho deciso.
-
Ma io…
Mio
padre batté di nuovo con il palmo sul tavolo e si alzò. Temetti che
lo avrebbe colpito. Ma ora era cresciuto mio fratello, era da tanto
che non veniva battuto. Tuttavia, una sorta di paura si impossessò
di lui. Forse anche di rassegnazione. Abbassò la testa e lasciò
cadere il cucchiaio nella ciotola.
Rimanemmo
da soli a tavola. Lui mi guardò e io accennai un sorriso. Lui non me
lo restituì, ma si portò le mani al viso. Pensai che stesse
piangendo, ma non un rumore usciva dalle sue labbra.
-
Alberto. Cosa succede?
Scosse
la testa. - Niente, Leo, niente.
Sentii
le voci di mio padre in cucina e i moniti di mia madre, che cercava
di farlo ragionare. Era sempre così. Mio padre si arrabbiava spesso
e toccava a mia madre calmarlo. Altrimenti l’avrebbe sfogata su di
noi.
C’era
sempre un motivo, una questione importante, per cui mio padre si
arrabbiava. E non sapere quale fosse, mi rendeva incomprensibile la
sua reazione. E quella di mio fratello.
-
Alberto. - mia madre tornò a sedersi. Lui annuì.
-
Conosci le ragioni di tuo padre. - esitò un attimo. - Lo fa per il
tuo bene.
-
No. Non puoi dirlo. Non sarò il suo bracciante, non puoi condannarmi
a una vita come la sua.
-
Ha già scelto.
-
Studierò. Andrò a quella università. Con o senza il suo permesso.
Mia
madre socchiuse un occhio e agitò la testa.
-
No. Non è possibile. Chi pagherà i tuoi studi? Noi non abbiamo
nulla da darti.
Alberto
esitò, sotto lo sguardo apprensivo di mia madre.
-
Lavorerò.
-
Chi vuoi che ti dia da vivere, se non tuo padre?
-
E cosa dovrei fare allora? - gridò mio fratello.
Mia
madre abbozzò un sorriso dispiaciuto.
-
Tu sei un povero, Alberto. L’università è una cosa per ricchi.
Togliti dalla testa questa idea di studiare. Ti farà solo del male.
Pensa all’offerta di tuo padre. Guarda la realtà, dove credi di
andare? Sarai ridicolo, agli occhi di quei grand’uomini. Sarai un
povero ridicolo.
Mio
fratello si alzò e andò via. Non seppi mai dove.
Mia
madre disse che sicuramente era morto di stenti da qualche parte. A
mio padre sembrò non interessasse. Io sapevo che era avvenuto
qualcosa di importante, che avrebbe cambiato per sempre la nostra
vita. Ho conservato a lungo la speranza di rivederlo. Di chiedergli
se ce l’avesse fatta. Magari gli avrei chiesto di portarmi con lui.
Ma forse, chissà. Forse era morto davvero.
*La scelta è stato pubblicato
nell'antologia La sostanza delle cose