Playboy e scapolo impenitente, Demetrio Cultrera ha tutto ciò che desidera; è ricco, ha fascino e le donne certamente non gli mancano.
Tuttavia anche per lui arriva il momento di accasarsi e la scelta ricade su Rosalba, anche lei ovviamente ricchissima in quanto figlia di un industriale che ha fatto fortuna con la pesca del tonno.
Siamo in Sicilia ovviamente, e Demetrio detto Dedè ha una concezione arcaica sia del matrimonio sia della moglie, per cui subito dopo le nozze si trova a fare i conti con Rosalba che è donna moderna, assolutamente non incline ad accettare un ruolo subalterno al marito.
Come se non bastasse, la donna vuole che sia proprio Dedè ad adeguarsi alla sua vita mondana, coinvolgendolo in feste e costringendolo in pratica a frequentare l’alta società e il consueto corredo di feste e festicciole.
Se all’inizio Dedè sembra accettare la situazione suo malgrado, ben presto diventa insofferente al mondo che frequenta e così ripiega su Elena, una matura donna che lo appaga sessualmente la dove la moglie Rosalba rivendica anche nella vita sessuale la sua indipendenza.
Lungi dal migliorare, la vita di Dedè si trasforma in un incubo stretto com’è tra la spocchiosa personalità della moglie, i suoi insopportabili amici e l’ossessiva passionalità dell’amante Elena.
Drasticamente, Dedè decide di tagliare i ponti e si separa da sua moglie; per poter vivere una vita tranquilla senza l’ossessione di una moglie, ha la bella pensata di procurarsene una priva di una volontà propria.
E quale miglior soluzione esiste per avere una donna che sia obbediente, che non abbia un carattere proprio e che si lasci dominare dal maschio padrone se non quella di procurarsi come nell’antichità una schiava?
Così Dedè parte per l’Amazzonia con una borsa piena di denaro, deciso ad ogni costo a comprarsi una vera e propria schiava e con l’aiuto di Von Thirac, un vero e proprio ufficiale nazista la individua in Manua.
La donna è una splendida brasiliana che non parla una sola parola di italiano, ma che in compenso è conscia del suo ruolo subalterno a quello dell’uomo come del resto accadeva nella sua tribù.
Gli inizi della convivenza sono idilliaci, perchè Manua assenconda tutti i desideri dell’uomo, arrivando anche a fargli da “cavallo” e trascinando Dedè su un risciò per le strade.
Contemporaneamente Dedè si vede ammirato sconfinatamente dagli amici e detestato cordialmente dalla ex moglie e dal suo entourage, mentre si ritrova a dover combattere anche con la furia della ex amante Elena.
Così iniziano i suoi guai, anche perchè qualcuno inizia a fargli notare che lo schiavismo è moralmente inaccettabile e vietato dalla legge e da quel momento iniziano davvero i guai perchè la sua ex moglie…
La schiava io ce l’ho e tu no è una commedia divisa nettamente in due parti; nella prima c’è spazio per una garbata satira che in qualche punto è anche divertente pur partendo da spunti ormai triti e ritriti come il machismo siculo, il rapporto dominante del maschio in famiglia e via dicendo mentre nella seconda scivola inesorabilmente nel grottesco prima e nella farsaccia di terz’ordine poi.
Giorgio Capitani, regista del film, basandosi su una sceneggiatura di Sandro Continenza, Giulio Scarnicci, Raimondo Vianello tenta inutilmente l’impossibile mix tra la commedia satirica intelligente e la più scontata commedia sexy partendo sin dal principio con le polveri bagnate.
Ormai troppe pellicole avevano ( e avranno) un peccato originale consistente nell’abuso di luoghi comuni; i siciliani sono tristemente sempre i soliti, arcaicamente legati alle tradizioni, maschilisti e se vogliamo anche un tantino donnaioli per appagare un non meglio identificato gallismo che se è (secondo alcuni registi) un denominatore comune del maschio italico, assume ancor più concretezza quando si scende nel sud Italia.
Una visione quindi abbastanza grossolana della realtà familiare del sud, che aveva si qualche effettiva inclinazione ai raporti subalterni in famiglia tra uomo e donna ma non in misura così rilevante come descritto purtroppo in tante pellicole.
Questo film non si discosta dalla media, pur partendo da un’idea base che avrebbe potuto essere svolta meglio.
Ma Capitani sceglie la via più facile, con un occhio al botteghino e l’altro al produttore.
Veronica Merin è Manua
Così ingaggia il re della commedia farsesca Lando Buzzanca che replica per l’ennesima volta il ruolo del galletto allupato che, questa volta, non va ad insidiare le donne degli altri ma cerca di procurarsi una compagna fedele e ubbidiente in tutto e per tutto reclutandola in pratica come schiava.
Idea già di per se aberrante, anche se mimetizzata dietro la facciata della commedia farsesca.
Ad un primo tempo in cui assistiamo alle difficoltà di ambientazione del buon Dedè nella società spocchiosa ed arrogante dei ricchi fancazzisti siciliani e osserviamo il suo impossibile rapporto con una moglie che stravolge i ruoli ordinari per tentare di plasmare il marito secondo i suoi gusti intellettuali segue purtroppo un secondo tempo in cui a tratti ci si vergogna anche di assistere ad una commedia che in fondo è cosa talmente leggera da non potersi prendere sul serio.
Gordon Mitchel è Von Thirac
Quello che da veramente fastidio è veicolare l’idea della schiava, mortificata dal suo padrone in ogni situazione; Dedè, per esempio, a tavola con gli amici costringe la povera Manua a mangiare un cosciotto quasi fosse un cane, la costringe a declamare un’assurdo decalogo in cui tutto si conclude con l’aberrante “la donna non deve rompere i co*****i”, che di per se è già un motivo per abbandonare la visione del film.
Adriana Asti è Elena
Una commedia farsesca, certo, ma che bisogno c’è, se non si vuole fare denuncia, di veicolare messaggi cosi tristi e squallidi come quello che vuole la donna utilizzabile solo come oggetto eminentemente riproduttivo e casalingo?
Capitani, che in seguito si specializzerà in commedie all’italiana (Pane, burro e marmellata, Bruciati da cocente passione, Aragosta a colazione, Bollenti spiriti ecc.) confeziona un film quindi moralmente molto discutibile e cinematograficamente poco interessante.
Il film funziona solo a sprazzi per merito del solito Lando Buzzanca che ispira simpatia solo con la sua presenza (una quarantina i film interpretati nel florido filone della commedia sexy nei soli anni 70) e che fa la sua parte, così come una bella Catherine Spaak e una sacrificata Adriana Asti (Elena l’amante di Dedè) fanno la loro.
La schiava Manua è interpretata dalla sconosciuta Veronica Merin, alla sua prima e ultima comparizione cinematografica; l’attrice si segnala solo per il suo petto ben fatto e null’altro, mostrando per tutto il film un’aria svagata come quella di una ragazzetta a cui hanno concesso una vacanza premio in una località esotica.
Nel cast c’è anche Gordon Mitchell (il folle nazista) e la solita schiera di comprimari.
Null’altro da segnalare se non la rarità con cui questo film è stato trasmesso fino ad oggi, che a ben vedere è più cosa buona che cattiva.
La schiava io ce l’ho e tu no
Un film di Giorgio Capitani. Con Adriana Asti, Catherine Spaak, Lando Buzzanca, Veronica Merin, Paolo Carlini,Nanda Primavera, Gianni Bonagura, Renzo Marignano, Corrado Olmi, Gordon Mitchell, Sergio Ferrero, Mauro Vestri
Commedia, durata 93 min. – Italia 1972.
Lando Buzzanca: Dedé
Catherine Spaak: Rosalba
Adriana Asti: Elena
Veronica Merin: Manua
Gianni Bonagura: Commissario Balzarini
Paolo Carlini: Manlio
Renzo Marignano: Corrado
Gordon Mitchel: Von Thirac
Regia Giorgio Capitani
Soggetto Nino Longobardi
Sceneggiatura Sandro Continenza, Giulio Scarnicci, Raimondo Vianello
Casa di produzione Medusa
Distribuzione (Italia) Medusa
Fotografia Sandro D’Eva
Montaggio Renato Cinquini
Musiche Piero Umiliani