La schiavitù dell’oro nero

Creato il 04 febbraio 2015 da Minox @slblog



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Comprare petrolioInvestire sul mercato petrolifero presenta un certo numero di vantaggi, sia per gli investitori a lungo termine che acquistano dei barili attraverso dei prodotti di investimento bancario quali le OPCVM (Organisme de Placement Collectif en Valeurs Mobilières, Investimento Collettivo in Valori Mobiliari) sia, e soprattutto, per gli speculatori a breve termine che effettuano delle transazioni sui mercati attraverso i CFD (Contract For Difference, Contratto per differenza)  proposti dai mediatori online. E’ noto che, tranne rari casi, l’evoluzione del petrolio segue un trend generalmente ascendente, in gran parte dovuto al costante aumento della domanda asiatica, ma anche a causa delle tensioni di mercato che animano i paesi produttori e che minacciano l’approvvigionamento di greggio verso l’occidente. Per tali motivi il petrolio è diventato un prodotto di investimento piuttosto ricercato; secondo gli specialisti, l’offerta non potrà soddisfare indefinitamente la domanda (che è sempre crescente) ed il suo prezzo, di conseguenza, non potrà che aumentare.Il petrolio ha anche il vantaggio di presentare una fortissima volatilità che permette ai trader on line (operatori finanziari che effettuano la compravendita) di ottenere molto rapidamente dei profitti attraverso i CFD o le opzioni binarie, scommettendo sulle previsioni degli andamenti al rialzo o al ribasso. Con queste soluzioni, si può quindi comprare o vendere virtualmente dei barili di petrolio sui mercati senza doverli possedere fisicamente.Esistono comunque diverse maniere di comprare il petrolio, ma la più semplice (e forse anche la più redditizia) rimane comunque la speculazione online con i prodotti derivati.  Per entrare su questo business bisogna però conoscere i fattori che influenzano direttamente i valori dell’oro nero. Questi i principali: – La relazione con il dollaro: come tutte le materie prime, il petrolio è quotato in dollari americani. Di conseguenza, quando il valore del dollaro aumenta, il barile torna ad essere costoso per gli investitori stranieri. Si osserverà quindi un abbassamento del prezzo del petrolio ed un conseguente rialzo quando il dollaro scenderà. – Gli stock americani: visto che gli Stati Uniti sono il paese che consuma più petrolio al mondo, lo stato dei suoi stock (pubblicato ogni settimana), permette di ottenere dei profitti rapidi. Quando gli stock reali superano le previsioni, si assiste spesso ad un ribasso dei prezzi e viceversa – I conflitti dei paesi produttori:  le notizie sullo status politico dei paesi produttori (spesso in guerra)  andrebbero seguite con attenzione e costanza perché eventuali conflitti provocano un rialzo dei prezzi in ragione dei timori di un arresto o di un rallentamento sull’approvvigionamento.Per diversi decenni tutti gli specialisti del settore consigliavano la speculazione sull’oro nero in quanto i valori di questa materia si evolvevano generalmente al rialzo. Recentemente questa previsione è andata disattesa diverse volte, al momento il suo prezzo è crollato a circa metà del valore di pochi mesi fa e, oltre al crollo del prezzo del petrolio, si è assistito ad un pesante e generalizzato scivolone delle borse (che son sempre legate imprescindibilmente al prezzo del petrolio), che non accenna a riprendersi nel breve periodo. Sappiamo che cambiamenti improvvisi di questo tenore non piacciono ai mercati e ancor meno graditi sono gli eventi più incontrollabili legati a fattori che sfuggono alle analisi dell’alta finanza. Quando si verificano quindi situazioni analoghe a quella attuale, segnata da un’andamento costante dei prezzi del petrolio iniziata dal 1973-74 fino al crollo della Lehman Brothers, le istituzioni politiche, economiche e finanziarie si organizzano e fanno quadrato per proteggere i propri interessi.Nel recente ribassamento dei prezzi del petrolio però, tutto questo non è successo per una serie di motivazioni strategiche molto interessanti.L’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries / Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio), dal quale sono esclusi alcuni grossi produttori (come Canada, Australia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti), non ha per niente ridotto la produzione allo scopo di calmierare i prezzi (lasciando la produzione stabile a 30 milioni di barili al giorno). E’ la prima volta quindi che, di fronte ad una diminuzione di prezzo così importante (-40% di calo in soli sei mesi), il cartello dei produttori non reagisce e le motivazioni sono ben lontane da un disinteresse economico.Bisogna tener conto che nell’organizzazione dell’OPEC fanno parte Algeria, Angola, Ecuador, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi e, secondo molti, la guerra silenziosa del petrolio che si sta combattendo tra l’Arabia Saudita, gli USA e Canada, verte essenzialmente contro la nuova tecnica di produzione introdotta nel 2005 dagli Stati Uniti, denominata fracking.Questo metodo richiede investimenti molto superiori a quelli necessari per la estrazione di petrolio tradizionale e, sebbene questa tecnica esista dagli anni cinquanta, è diventata popolare e vantaggiosa solo recentemente, quando il prezzo del petrolio ha superato i 100 dollari il barile.I motivi sono essenzialmente di supremazia economica e se da una parte vi è stato il rallentamento dell’economia mondiale (forse inaspettato) che ha ridotto la domanda mondiale, dall’altra, l’apertura di Washington nei confronti dell’Iran, sta minacciando seriamente la supremazia politica dell’Arabia Saudita nel golfo. Di fronte a questi due fenomeni coincidenti, la caduta del prezzo del petrolio è diventata l’unica arma per l’OPEC nel controllare di nuovo l’economia e la politica mondiale.I motivi sono evidenti: – più scende il prezzo del petrolio e più diventa svantaggiosa la tecnologia americana di estrazione – più scende il prezzo del petrolio e tanto meno conveniente sarà il programma nucleare iraniano (che nasce proprio per liberare risorse energetiche da vendere all’estero). Ne risulta che se le entrate delle esportazioni sono inferiori al costo del programma nucleare, allora il gioco non vale più la candela con l’ulteriore vantaggio dell’indebolimento della Russia di Putin, che è ad oggi l’esportatore di energia più importante per l’intera Europa.A seguito di queste vicende si potranno prevedere i decenni futuri ricchi di eventi imprevedibili e sconvolgimenti economici importanti che tenderanno a riportare gli interessi verso gli stati dell’OPEC, il ritorno sui propri passi nella gestione geopolitica degli USA e un sostanziale ritocco delle strategie economiche della Russia. L’Europa, di conseguenza, si adatterà ai poteri forti di chi ha ancora in mano, di fatto, l’energia mondiale.Una supremazia che ci tocca a subire ad oltranza o fino a che, tecnologie energetiche veramente interessanti (che già esistono), non riescono ad avere il giusto interesse di pubblico per essere finanziate e realizzate con fondi privati e non controllabili dalle multinazionali.tratto da una interessante relazione di R. Berdini

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