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La “Scienza della pittura” di Leonardo da Vinci La pittura è nipote della natura e parente di Dio, i pittori sono nipoti a Dio

Creato il 21 gennaio 2014 da Rodolfopapa
Il prof. Rodolfo Papa terrà una conferenza dal titolo "Leonardo e la tecnica pittorica. La visione del mondo e dell'arte di Leonardo da Vinci, nei suoi scritti e nei suoi dipinti", martedì 28 gennaio prossimo alle ore 19.00 presso la Rettoria di Sant’Ivo alla Sapienza (Corso del Rinascimento, 40 - Roma)

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La “Scienza della pittura” di Leonardo da Vinci La pittura è nipote della natura e parente di Dio, i pittori sono nipoti a Dio
Per Leonardo la pittura è una scienza, appunto la “scienza della pittura”, e la tecnica pittorica1, come ogni tecnica, è per lui essenzialmente “saper fare”, implicando una profonda conoscenza e poi una conseguente applicazione, in un circolo virtuoso di conoscenza e rappresentazione in cui sono costantemente coinvolti mente-occhi-mani2. Lo stretto legame tra teoria e pratica è, infatti, l’aspetto ricorrente dell’attività artistica leonardiana, riscontrabile nella trattatistica, nei disegni, nell’opera pittorica, e nella stessa immagine che egli ama dare del pittore mentre dipinge: elegante, colto, sapiente, nell’armonia della musica e della lettura. E appare proprio come il volto di un sapiente il più celebre degli innumerevoli autoritratti a lui attribuiti, ovvero l’Autoritratto conservato alla Biblioteca Reale di Torino.
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Cercheremo di analizzare la tecnica pittorica di Leonardo rimanendo fedeli alla sua impostazione, e cioè tenendo sempre insieme la teoria e la pratica, analizzando dunque alcune sue opere alla luce della sua teoria e, in modo particolare, di quella grande miniera di conoscenza che è costituita dal Libro di pittura, la cui autenticità è da tempo provata e accettata e di cui possediamo una bella edizione critica condotta sul Codice Vaticano Urbinate 1270 a cura di Carlo Pedretti3.
Per il suo tenere insieme principi conoscitivi e precetti tecnici, il Libro di pittura manifesta innovazione ma non discontinuità rispetto alla trattatistica di bottega trecentesca, quale il Libro dell’Arte di Cennino Cennini, e si inserisce con originalità nella grande trattatistica rinascimentale, quale il De pictura di Leon Battista Alberti, redatto in latino nel 1435 e in volgare subito dopo, i Commentarii (soprattutto il III) di Lorenzo Ghiberti databili al 1447 e il De prospectiva pingendi di Piero della Francesca, composto tra il 1472 e il 1475.
Nel Libro di pittura leggiamo ripetutamente la necessità di combinare la teoria e la pratica: «Studia prima la scienzia, e poi seguita la pratica nata da essa scienza» (II, 54), ed anche «Quelli che s'inamorano di pratica sanza scienza, sono come li nocchieri ch’entran in naviglio sanza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica debb’esser edificata sopra la bona teorica» (II, 80).
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Leonardo definisce la scienza in termini aristotelici, come un «discorso mentale il qual ha origine da’ suoi ultimi principii» (I, 1), la ripartisce poi in tre gruppi principali: scienze meccaniche, scienze mentali e scienze semimeccaniche che hanno un'elaborazione mentale e un esito pratico: «Dicono quella cognizione esser meccanica la quale è partorita dall'esperienzia, e quella esser scientifica che nasce e finisce nella mente, e quella essere semimeccanica che nasce dalla scienza e finisce nell'operazioni manuale» (I,33). La vera scienza, secondo Leonardo, coinvolge sia la teoria che la pratica; implica sia le dimostrazioni matematiche che l’esperienza: «Nissuna umana investigazione si po’ dimandare vera scienzia, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni. E se tu dirai che le scienzie, che principiano e finiscano nella mente, abbiano verità, questo non si concede, ma si niega per molte ragioni; e prima, che in tali discorsi mentali non accade esperienzia, senza la quale nulla dà di sè certezza» (I, 1).
La vera scienza si identifica proprio con la scienza della pittura: «la quale (la pittura) è prima nella mente del suo speculatore, e non po’ pervenire alla sua perfezzione senza la manuale operazione» (I, 33); inoltre la scienza della pittura, con l’invenzione della prospettiva, rende “vedente” la geometria: «perché il pittore è quello che per necessità della sua arte ha partorito essa prospettiva, e non si può fare per sè sanza linee, dentro alle quali linee s'inchiude tutte le varie figure de' corpi generati dalla natura, e sanza le quali l'arte del geometra è orba» (I, 17). Dunque la scienza della pittura è vera scienza, coinvolgendo il discorso mentale, la razionalità matematica, l’esperienza e l’operazione manuale: occhi, mente, mani.
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Come la scienza, così anche la pittura, è universale: il pittore può, e deve, conoscere e rappresentare tutto: «Ed in effetto ciò ch’è ne l'universo per essenzia, presenzia o imaginazione, esso [il pittore] l’ha prima nella mente, e poi nelle mani» (I, 13), «l’occhio , che si dice finestra dell’anima, è la principal via donde il comune senso po’ più copiosa e magnificamente considerare le infinite opere de natura» (I, 19) ed ancora «l’opere che l'occhio comanda alle mani sono infinite» (I, 28). La conoscenza e la rappresentazione della realtà costituiscono un binomio indissolubile, ed è proprio questo legame teoretico-tecnico che consente alla pittura di giungere alla “conformità” con la realtà4, di superare con la sua espressività il significato delle parole (II, 19), di ingannare con la sua verosimiglianza sia uomini che animali (I, 14, 19 e 25).
La pittura è capace di considerare sia le opere umane che quelle divine, purché siano corporee: «Ma la deità della scienzia della pittura considera l’opere così umane come divine, le quali sono terminate dalle loro superfizie, cioè linee de' termini de' corpi » (I, 23).
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Da questa istanza teorica, derivano delle conseguenze pratiche: il pittore deve essere in grado di dipingere ogni cosa, e non può essere un bravo pittore se si limita alla rappresentazione di un solo genere di realtà: «Quello (pittore) non fia universale che non ama equalmente tutte le cose che si contengono nella pittura» (II, 60) e ancora «conoscendo noi che la pittura abbraccia e contiene in sè tutte le cose che produce la natura, e che conduce l'accidentale operazione degli omini, et in ultimo ciò che si po’ comprendere con gli occhi, mi pare un tristo maestro quello che solo una figura fa bene» (II, 73). In questa attività teorica-poietica che abbraccia ogni cosa, il pittore manifesta la sua discendenza da Dio: la pittura è nipote della natura e parente di Dio (I, 12), i pittori sono nipoti a Dio (I, 19).
La pittura, inoltre, è in massimo grado scienza comunicabile, ovvero capace di farsi comprendere da tutte le generazioni, nel trascorrere del tempo: «Quella scienza è più utile della quale il suo frutto è più communicabile, e così per contrario è meno utile ch'è meno communicabile. La pittura ha il suo fine communicabile a tutte le generazioni de l'universo" (I, 8).
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1 Cfr. R. Papa, Leonardo. La tecnica pittorica, Dossier n.281, Giunti, Firenze, 2011.
  2 Cfr. R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, Intr. Card. A. Cañizares Llovera, Cantagalli Siena, 2012
  3 ) Libro di pittura. Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C. Vecce, Firenze 1995. I rimandi al Libro saranno posti direttamente fra parentesi, indicando la parte in numeri romani e il capitolo in cifre arabe.
 
4 ) Per una analisi sistematica della nozione di conformità, cfr. R. Papa, La “scienza della pittura” di Leonardo. Analisi del Libro di pittura, Milano 2005, soprattutto pp. 135-142.

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